29 maggio 2007

Einmal ist keinmal

Quello che segue è il racconto di un caso strano, eppure assolutamente veritiero. Ho riflettuto per qualche tempo se fosse opportuno o no metterlo per iscritto, o se invece non fosse preferibile tacerlo anche a me stesso (mi fa sorridere pensare che avrei potuto tenermi all’oscuro di tutto. Forse ora quest’ilarità vi appare oscura, ma una volta che avrete letto capirete); dacché sono infine giunto alla conclusione di descrivere il tutto, non avrebbe ovviamente senso che non lo leggesse nessuno, per cui lo affiggo qui in questa bacheca celeste. In qualche modo chiamo voi lettori a testimoni della mia sanità mentale, col mettervi a parte dell’incredibile vicenda che mi è accaduta; ma è bene che dia un taglio a quest’introduzione e mi accinga a raccontare.
Un paio di settimane fa sono salito sulla montagna a godermi la primavera che sta esplodendo in tutta una varietà di verdi, molti dei quali caratteristici e peculiari di questa terra. Mi sarei volentieri sdraiato a guardare le nuvole che trotterellavano in cielo; ma in Montenegro un appezzamento di pianura vasto come il corpo di un giovane uomo è raro e quasi introvabile, perciò sono rimasto in piedi e ho camminato un po’. Sotto di me si stendeva languida la città. Ho deciso di imitare le peggiori abitudini dei turisti e invece di vivere mi sono messo a fotografare. Da quella posizione elevata era visibile anche l’edificio in cui abito ora, con la finestra del mio appartamento: ho fatto ricorso allo zoom e l’ho immortalata, per avere un ricordo dei posti che sono stati miei. Appena ho esaminato la foto, mi è saltato agli occhi un dettaglio che non avevo notato e che non mi aspettavo: un uomo dai capelli neri, singolarmente simile a me, era seduto al tavolo della cucina e sembrava impegnato al mio portatile. Un intruso in casa mia! Eppure mi pareva di aver chiuso a chiave. “D’altro canto”, riflettevo scendendo a larghi passi dal monte, “non ho idea di chi possegga la copia delle mie chiavi di casa. Può anche darsi che sia io a possedere le copie, mentre l’originale è nelle mani di qualcun altro. O forse l’originale di fatto non esiste, e su questa terra anche la prima chiave non è che un rifacimento tangibile della chiave ideale che deve necessariamente aprire quella porta”; ma ho respinto quelle divagazioni vagamente borgesiane e mi sono dedicato piuttosto a correre. C’è tutto il mio lavoro in quel computer, diamine. Ho fatto le scale di corsa e mi sono gettato sulla porta: era chiusa a chiave! Terrorizzato dall’eventualità che l’estraneo se ne fosse già andato con le mie cose, ho aperto in un attimo: e ho fatto in tempo a vedere un tizio in polo, coi jeans risvoltati, che saltava in strada dalla mia finestra. Ho dato una rapida occhiata in casa e ho constatato che non pareva mancare nulla, poi ho imitato l’intruso che mi somigliava e mi sono buttato sul pavimento sconnesso della città vecchia. Lui era là in fondo, aveva quasi perso l’equilibrio mentre svoltava verso la piazza delle due chiese ortodosse; la commessa del negozio di calze, sulla porta, lo stava osservando distrattamente. Quando però le sono passato davanti, da disinteressata è parsa d’improvviso sgomenta: è impallidita e si è fatta il segno della croce. L’ho guardata per un paio di secondi, senza capire, poi ho proseguito. Sotto la grande bandiera serba che domina la maggiore delle chiese ho girato intorno lo sguardo, cercando di capire dove si fosse infilato il mio uomo. Ho scorto solo una scarpa azzurra in movimento, nel vicolo della libreria, ma tanto mi è bastato per individuarlo: mi sono gettato al suo inseguimento. Doveva essere poco pratico della città, giacché neanche tentava di seminarmi nell’intrico delle viuzze; si dirigeva apertamente alla piazza principale, dove contava verosimilmente di far perdere le sue tracce nella folla dei turisti o di sfuggirmi uscendo verso il porto. Non avevo molto tempo per adocchiare le persone che sfrecciavano intorno a me, eppure in ogni stradina che attraversavo si ripeteva la stessa scena, troppo uguale a se stessa per non risultare curiosa: gli stessi volti increduli, le stesse espressioni stranite, le stesse esclamazioni –di cui non potevo afferrare il senso; ma ne avvertivo il tono. Siamo infine sbucati nella grande piazza dell’orologio. Lo vedevo vicinissimo, ormai, potevo quasi afferrare il suo colletto a righe; quando si è fatta avanti, compatta, una comitiva di pensionati austriaci. Lui è riuscito a penetrare giusto in tempo tra i robusti anziani stiriani, mentre io mi sono trovato nel folto di quella selva di capelli bianchi e non ho avuto cuore di urtarne un paio per passare. Ho potuto solo osservarlo mentre infilava la porta della marina, ormai irraggiungibile per me. Un vecchietto dalla gambe magrissime mi ha fissato a lungo, per poi esclamare Das kann nicht sein!
Was meinen Sie?, ho ribattuto, ma non ho ottenuto risposta. Continuava a scuotere la testa e non aggiungeva nulla.
Mi sono quindi diretto ai bastioni per avere una visuale ampia della zona del porto. Non occorre dire che è stata grande la mia sorpresa quando mi sono visto: ero vestito come l’estraneo che stava al mio computer e stavo salendo su un autobus. Ho compreso tutto e sono tornato a casa percorrendo gli stessi vicoli che poco prima avevo divorato sotto i piedi. La gente che mi incrociava mi guardava strano: evidentemente a loro quella mattina non era capitato di incontrarsi.
Dopo di allora ho provato un paio di volte a tornare prima dal lavoro, per controllare se per caso fossi di nuovo lì; ma devo aver preso le mie precauzioni, perché non mi sono più visto.
L’inatteso incontro di quella mattina mi ha lasciato solo un’eredità: un breve testo, che ho ritrovato nel mio portatile e che dev’esser stato scritto mentre io ero al monte. Si tratta di una variazione sul tema –per la verità piuttosto trito- del doppio; non l’ho giudicato granché originale, ma non escludo un giorno di pubblicarlo perché possiate farvene anche voi un’idea.

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25 maggio 2007

La domenica di un uomo all'antica

Ero lì che studiavo gli ultimi dettagli per il mio Parco Divertimenti della Malvagità (per la precisione stavo finendo il progetto dell’autoscontro con macchine guidate da donne incinte. Bam! Neonato in pista! Bam!), quando mi ha telefonato il cadavere di Joseph Göbbels e mi ha chiesto se andavo a casa sua a vedere il campionato spagnolo. Qui si apre una lunga parentesi, attenzione: essa è comunque riassumibile nella concisa proposizione “il campionato spagnolo fa davvero pisciare”. Se non volete leggere il paragrafo che segue, in effetti potete, in quanto esso non è affatto funzionale alla storia. Froci.
Non date mai più retta a chi sostiene che è un campionato spettacolare e cazzate varie. Anche una battaglia tra eserciti di civiltà precolombiane era spettacolare, con tutte quelle piume colorate svolazzanti, mazze di ossidiana che sfondavano crani di tipo mongolico, petti aperti e cuori palpitanti; ma non per questo era granché avanzata nell’arte militare. Il campionato spagnolo è più o meno assimilabile a quell’evento barbaro e arretrato, con l’unica e triste differenza che nessuno è ancora sceso in campo con una mazza di ossidiana per cambiare colore ai capelli di Santiago Cañizares, meglio conosciuto come l’Andrea Pelizzari obeso. Sono due mesi che guardo partite su partite di quella pagliacciata e potrei spiegarvi con dovizia di particolari tecnici il perché e il per come dei miei giudizi trancianti. Ma non lo farò. Invece mi baserò sul fatto che il 90% dei giocatori del campionato spagnolo hanno capelli orrendi; tipo lunghi, lisci e unti raccolti in code di cavallo da attore porno peruviano, oppure –peggio ancora- la mai abbastanza deplorata vokuhila, ossia “corti davanti-lunghi dietro”, come McGyver prima di diventare arcivescovo di Canterbury. Inoltre, ci sono un sacco di portieri con difficoltà di coordinazione e di apprendimento, un paio dei quali monchi, uno perfino cileno e uno negro. Ed è uno dei più forti del campionato! Quando tutti sappiamo che i negri non devono mai giocare nei seguenti ruoli: portiere, difensore centrale, mezzapunta. Mai. Perché? Perché sono troppo negri. E questo chiude ogni discorso sul campionato spagnolo. Ah, no: quasi dimenticavo che hanno lo sponsor scritto sul culo, come Lucio Dalla.
Insomma, ho risposto a Joseph che sarei andato volentieri. Abbiamo passato una bella domenica pomeriggio, decisamente meno bestiale di quella di Concato, giocando alla Polistil e buttando su qualche bomba. Poi abbiamo guardato il Tg2; quando hanno inquadrato Casini, il cadavere del gerarca nazista si è avvicinato alla tv e ha fatto finta di mettere il cannone in bocca al leader centrista. Che matto, quel Sepp! Parlandone da vivo. Ci siamo divertiti un sacco, in definitiva. Sono tornato a casa che erano ormai le nove di sera. Mia moglie, incinta di otto mesi e con in braccio il nostro primogenito Popocapetl (se nasce una sorellina la chiamo Krakatoa), si è fatta avanti sulla porta della nostra baracca e mi ha chiesto con arroganza inaccettabile quando mi sarei deciso a trovare un lavoro e a portare a casa del denaro. L’ho schiaffeggiata e sono andato ad iscrivermi all’Udeur. Tutto questo laicismo sta distruggendo la famiglia tradizionale, santa madonna.

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Ah, sono tornato in Italia. Yuppi.

20 maggio 2007

Ma ora neanche i bambini vedono che il re è nudo

Recentemente è morto un ragazzo in una scuola milanese; il fatto ha destato scalpore, perché poco prima del decesso questi era stato visto da diversi testimoni mentre fumava una canna. A seguito della notizia, il centrodestra italiano ha immediatamente sostituito il concetto di tempo con quello di causa ed ha deciso che la morte era stata provocata dalla droga. Un comportamento peraltro curioso, visto che quando in passato si erano verificati casi simili –per esempio: vari politici e personaggi loschi, tra cui un grassone ladro, aggiustano le cose e cambiano le leggi e Berlusconi diventa un ricchissimo monopolista; oppure, uno spacciatore di cocaina entra al Ministero del Tesoro e un sottosegretario ha il naso bagnato; o anche, la mafia dirotta i suoi voti sulla Casa delle Libertà e Lunardi parla di convivenza con la criminalità organizzata- gli esponenti della stessa parte politica avevano sempre sostenuto che si trattasse di coincidenze. Ma questo è polemica sterile e ora non ci interessa. Ci interessa invece la salute pubblica, ci interessa la prevenzione, ci interessa il benessere della nostra gioventù; che ha tutto il diritto di crescere sana, in modo da puntare nella vita a traguardi ambiziosi, quali diventare un concorrente di Amici o fotografare con il telefonino la salma di un anziano polacco, senza imbattersi nel flagello della droga che così tante vittime miete tra i nostri giovani. Il grafico seguente, basato su un campione di circa un migliaio di morti improvvise di 15-25enni, mostra chiaramente quanto alta sia la mortalità post-canna.



Lasciamo stare le prime sedici voci del grafico, che non contano, e concentriamoci sulla tremenda minaccia dello spinello. Che parlino coloro i quali tengono davvero alla morale pubblica, dico io.

'Mettiamo un test obbligatorio anti droga nelle scuole italiane, per i figli dai 14 ai 18 anni, [quindi alle medie si può pippare? Bisognerà alzare la paghetta settimanale, allora. Ndt] perche' la famiglia e i ragazzi devono sapere che drogarsi fa male ed e' necessario su questo problema evitare ogni ipocrisia': Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, ai microfoni di Radio Anch'io.

Non so se capita lo stesso anche a voi, ma a me Casini che chiede di evitare l’ipocrisia mi fa venire in mente Bin Laden che parla di sicurezza negli aeroporti. Che so, poniamo una sera a Matrix, una cosa così:

Mentana-On. Casini, lei che guida un partito cattolico dopo aver divorziato fregandosene dei dettami della religione cattolica [o forse perché ha divorziato? Non sarà anche questo un nesso causale? Ndt], che ne pensa di questa vicenda?
Casini-Io direi di evitare l’ipocrisia.
Mentana-E lei, Bin Laden?
Bin Laden-Credo sia importante rafforzare la sicurezza negli aeroporti e a bordo degli aviomezzi. La gente ha il diritto di viaggiare sicura [applausi].
Mentana-E così abbiamo sentito l’opinione di due capi di movimenti ad ispirazione religiosa. Per questa sera è tutto, vi ricordo che domani non ci saremo a causa dell’attesissima fiction Padre Pio infoibato a Nassiryia. Con Castellitto nella parte di qualsiasi cosa.

Questo in prima battuta. In seconda battuta, la parola Casini reagisce con la parola ipocrisia cagionando una fiammata verde e una bestemmia. Baaam! Però, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, stavolta Casini ha ragione: cerchiamo di evitare l’ipocrisia. Ad esempio, quando i nostri deputati e senatori intervengono sulla questione droga, ricordiamoci che uno su tre conosce la questione con particolare competenza, visto che fa lui stesso uso di droghe. Anzi, sapete cosa? Quando ci sono dichiarazioni pubbliche, ospitate o cose così, ne sorteggiamo per l’appunto uno su tre e gli appiccichiamo in fronte una bella pecetta con scritto “DROGATO”. Tipo a Matrix, due sere dopo:

Mentana-On. Scamorzetti, se c’è un tema scottante, adesso, è quello della droga. Lei che dice?
On- Scamorzetti-E’ bene evitare giudizi facili, dr. Mentana, o lasciarsi andare all’emotività [mormorii di fondo]. Aspettiamo che emergano elementi sicuri da questa dolorosa vicenda.
Mentana-Preferisce non esporsi, eh? Chissà se il combattivo Puzzolan la vede come lei.
Sen. Puzzolan-Non so, Mentana... Di sicuro ai miei tempi a scuola si studiava, altro che fumare o morire. E poi i risultati li vediamo nella perdità di competitività rispetto alla Cina e al Togo [applausi tiepidi].
Mentana-Lei riporta sempre tutto all’economia, Puzzolan… D’altronde proviene dal produttivo Nordest. Ma ora sentiamo il parere di un politico che invece ha costantemente a cuore la difesa delle basi tradizionali della società, l’onorevole Cuccupozzuolo; il quale, lo diciamo per chi avesse acceso solo in questo momento la tv, stasera è stato sorteggiato come tossicodipendente del terzetto.
On. Cuccupozzuolo (DROGATO)-Io non ho intenzione di nascondermi dietro un dito: la droga, l’omosessualità, le unioni libere e il laicismo, questi cavalli di battaglia della sinistra, stanno riducendo il nostro Paese come tutti vediamo. E adesso? Almeno di fronte alla morte di un ragazzo, la sinistra saprà riconoscere il fallimento delle sue battaglie ideologiche? La verità, caro Mentana [si accalora], è che non ci sono droghe pesanti e leggere, ci sono solo droghe. E vanno tutte punite e tenute lontane dai nostri giovani. Perché bisogna ricercare la salute dei nostri ragazzi, bisogna ripulire le scuole, devastate dall’egemonia marxista, bisogna soprattutto difendere la famiglia, che è il fondamento della società, della religione, della patria [applausi scroscianti, pioggia di reggiseni push-up e banconote arrotolate].

Sarebbe tutto molto più chiaro, molto più onesto, molto più veloce. Ha ragione Casini, diamine, ha decisamente ragione: evitiamo ogni ipocrisia. Forza Italia.

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17 maggio 2007

Guerrieri della notte

(Vagamente collegato a quest’altro)

Oggi invece erano le 03.45 quando ho aperto gli occhi. Mi sono vestito di tutto punto –colletto inamidato da combattente della guerra delle Fiandre, ghette, alamari, finanziera*- e mi sono recato alla sede più vicina per vedere se potevo iscrivermi all’albo degli animali notturni. L’usciere mi ha fatto segno di aspettare e mi ha dato un libro da colorare sugli Assiri. Mi sono messo lì tutto placido cercando di non sbaffare gli impalamenti di massa; d’un tratto ho notato che in sala d’attesa con me, tra gli altri, c’era anche Andrea Caracciolo su un trespolo**. Avendo fallito come centravanti, puntava a riciclarsi come gufo. Purtroppo, a causa sicuramente del suo baricentro troppo alto, il legno (Car.) è crollato giù dal legno (il tresp.) e si è fatto anche un po’ male alla regione occipitale. Attirato dal rumore sordo della caduta, è piombato nella stanza l’opossum addetto all’accettazione dei candidati e ha cacciato via l’attaccante, sostenendo che primo requisito dell’animale notturno è l’agilità. Caracciolo ha cercato di corromperlo offrendogli una fascia di capitano del Brescia appartenuta a Roberto Baggio; ma questo genere di animali sono caratterizzati da uno spiccato odio per i buddisti, come già aveva notato Linneo nel classificarli, e il tentativo non è andato a buon fine. Conclusa la spiacevole faccenda, che getta ancora una volta cattiva luce sulla moralità del calcio italiano, l’opossum mi ha fatto cenno di seguirlo. Mi sono trovato in una stanza che somigliava un po’ ad un’aula universitaria, con l’impianto a semicerchio; assisi sugli scranni, decine e decine di occhi fosforescenti mi osservavano con attenzione. Sentivo un cupo ed uniforme Uhu! Uhu! di sottofondo: mi stavano valutando. L’ambiente era immerso nella più totale oscurità. Per fortuna ho fatto quel corso di paleografia e più o meno ero in grado di distinguere le figure. In prima fila spiccava un grosso gatto rosso. Mi sono meravigliato e gli ho chiesto che ci facesse lì, visto che non credo che il gatto si possa considerare a tutti gli effetti un animale della notte. Lui mi ha guardato stringendo gli occhi come Colin Farrell quando prova a persuadere i registi di essere un attore valido o quando la moglie lo spedisce a buttare i vuoti alla campana del vetro, poi ha iniziato una replica ispirata ed eloquente; ma si è addormentato quasi subito. Si è riscosso dopo una decina di secondi e si è dedicato a tutt’altra attività (il gatto; Colin Farrell, purtroppo, continua quella di attore). Per impressionare la commissione ho tirato fuori con aria noscialante un panino alla pantegana*** e mi sono messo a sgranocchiare la coda dell’animale. Un mormorio di approvazione si è levato dalla zona degli uccelli rapaci. A quel punto un lemure mi ha interrogato sulla sincerità della mia vocazione. Non basta dormire poco o nulla durante la notte, ha detto, per essere un animale notturno; nella scelta di questo modo di vita si ha invece a che fare con l’adesione incondizionata a tutto un sistema di valori, che vanno dalla difesa della tradizione e dei costumi che ci sono stati tramandati dai nostri padri, alla fede nella libertà personale e d’intrapresa, alla volontà incrollabile di continuare ad ergersi quando gli altri vengono meno o disertano, senza dimenticare la stoica sopportazione dell’alitosi cronica causata da una dieta a base di roditori. Io ascoltavo con attenzione. Lo scimmiottino dai grandi occhi, vagamente simile ad un Furby, ha concluso chiedendo:
-Sei dunque pronto a credere in ciò a cui crediamo?
-Diamine, ho risposto, riallacciandomi agli ultimi sviluppi della politica internazionale, sono perfino targato AN!
Un turbinio di miagolii, gemiti sommessi, graffi di donnola e cacate in testa ha segnato il pieno accoglimento della mia domanda: col nome di Piero Gattopuzzo****, ero entrato a far parte della comunità. Ristabilita la calma, un barbagianni si è informato su cosa fossi solito cacciare durante la notte, per decidere a quali compiti assegnarmi. Io ho detto che, nelle ore in cui il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, mi capita solitamente di ricercare pezzetti di fumo caduti in terra, donne e cornetti alla marmellata. Quando ha sentito “donne” si è rabbuiato. Mi ha confidato di essere anch’esso piuttosto attratto da quell’animale grande e polposo. Giusto poche sere prima aveva cercato di artigliare e portare al suo nido una ventitreenne con una quarta di reggiseno; ma tra pelle, ossa e stivali a punta la bestia giungeva a pesare una buona mezza quintalata, il che la rendeva una preda assolutamente improponibile per un uccello così piccolo*****. Colpito dalla sua disavventura e sinceramente deciso ad aiutarlo, al termine della seduta l’ho invitato a bere qualcosa e gli ho raccontato quel poco che l’esperienza mi ha insegnato sull’avvicinamento e la cattura del mammifero placentato Donna******.

***

E’ passato qualche giorno dai fatti raccontati sopra. Sono appena tornato a casa dopo una notte di duro lavoro sulla costa adriatica, con il collo a pezzi e qualche dolorino sparso. Però ho avuto la soddisfazione di vedere il barbagianni mentre usciva da un locale accompagnato da una bionda alta un metro e settantacinque; ho osservato allontanarsi nella notte l’Alfa 147 targata AN su cui erano saliti e ho sorriso tra me.

*Non lo so cosa cazzo è una finanziera. Però ci sono un sacco di romanzieri dell’Ottocento che usano questo termine e mi andava di farlo anche a me. Non mi va più che quando vado al circoletto Ivàn Turgenev mi fa le stecche e Guy de Maupassant mi avvicina l’accendino al culo mentre gioco a Tetris.
**Caracciolo, trespolo. Piuttosto sgradevole la vicinanza di questi due suoni. Potevo mettere che c’era Di Michele su uno sgabello e la cosa sarebbe filata molto meglio. Ma questi sono i rischi che affrontano gli scrittori i quali si basano esclusivamente sulla rigorosa osservazione della realtà.
***Lo stesso che –con apprezzabile eufemismo- i ristoratori posti all’uscita dei locali notturni (per l’appunto) continuano a chiamare con la porchetta.
****Faina.
*****Non c’è nessun doppio senso. Se lo vedete, siete dei malati.
******Courtesy Falloppio.

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12 maggio 2007

Facce di orde mongole prescelte dall'elettore

Adoro i sondaggi ben riusciti (Hannibal Smith).
Dunque la scelta dei nostri cugini è stata chiara e decisa: il prossimo presidente della Repubblica Francese sarà il piccolo ma combattivo Nicolas Sarkozy. Le commesse della 012 esultano: finalmente un loro cliente abituale arriva a ricoprire una posizione di potere che non sia quella di capoclasse alle elementari. E’ invero possibile che a facilitare la vittoria del cordiale Sarkozy, con la sua faccia che ispira simpatia quasi quanto una fossa comune piena di corpi sventrati e mutilati, abbia concorso anche l’improvvida decisione dei socialisti. Questi ultimi, a fronte di circa un milione e mezzo di specie animali conosciute (e gli zoologi ritengono che ve ne siano ancora molte da scoprire; d’altra parte non era possibile rinviare la data delle elezioni), sono andati a scegliere una donna. Lo slogan ideato dalla candidata, Per una Francia che sanguini cinque giorni al mese, non ha purtroppo fatto breccia sugli elettori. Ad ogni modo, questo va riconosciuto alla sua tenacia e serietà, Ségolène* Royal, dopo aver accettato senza recriminazioni la sconfitta, ha subito annunciato un’opposizione ferma ma dinamica e fattiva, che non dia tregua al progetto liberista e neoclassista della destra; poi è andata a comprare un paio di scarpe.
Sia come sia, noi che ci vantiamo di essere un sito di informazione e approfondimento non potevamo certo tralasciare di commentare un evento politico così importante. Due sono le domande cui ci è sembrato doveroso rispondere. La prima: non c’erano altri candidati di sinistra in grado di battere Sarkozy? La seconda: e ora che farà la Francia? Come già fatto con successo in passato, abbiamo deciso di dare la parola alla gente, affidandoci ad un sondaggio. La nostra squadra, composta da me, Mannheimer, Alzheimer, McGyver e Sberla dell’A-Team, si è dunque introdotta furtivamente nella sede dell’Olympique Marsiglia e da lì ha condotto l’indagine che presentiamo ora. Con metodi rigorosamente scientifici, quali la morra cinese e il Monopoli di Padre Pio, avevamo prescelto una rosa di candidati possibili; il popolo francese si è dunque espresso su un loro eventuale scontro con l’amabile Nicolino.
Questa immagine riassume tutte e nove le sfide che abbiamo proposto agli intervistati.


Ecco. Il primo candidato non-donna per la sinistra francese sarebbe potuto essere benissimo un lemure, stando alle nostre conclusioni –come detto- rigorosamente scientifiche. Lo so cosa state pensando:”Troppo facile battere un animaletto minuscolo, spaurito, tendente alla paranoia, decisamente indietro nella scala evolutiva e dotato di un’intelligenza scarsa o nulla!”. Verissimo; tuttavia, se vogliamo essere onesti, molti di questi difetti li ha anche il lemure. In effetti il confronto si sarebbe deciso al filo di lana; Sarkozy avrebbe prevalso solo grazie al voto dei francesi di origine ungherese, i quali formano una minoranza trascurabile in termini assoluti, ma in questo caso decisiva. Ci sono per la verità anche numerosi francesi che discendono da lemuri, però la loro tendenza all’ipocrisia e all’odio per le proprie radici avrebbe frustrato le ambizioni del preparatissimo scimmiottino malgascio.
Come la Royal, è nato in Africa Occidentale; in comune con la governatrice del Poitou** ha anche l’aspetto gradevole e l’età ancora giovanile, per quanto sufficientemente esperta, nonché i modi garbati; stiamo parlando ovviamente di Alpha Blondy, che sarebbe stato dunque un candidato perfetto, se non fosse che odia la Francia. Come molti cittadini francesi, peraltro, ma non abbastanza per superare il 45% delle preferenze. Più corposo il pacchetto di simpatie riscosso da Buju Banton; con le sue posizioni retrograde in campo religioso e il suo odio contro gli omosessuali, il cantante giamaicano è più a destra del neo-presidente francese su molte questioni. Questo gli avrebbe permesso di intercettare il favore di molti sostenitori di Le Pen e di uscire trionfatore dalla urne; quando però abbiamo ricordato agli entusiasti estremisti di destra che Banton, oltre a tendere al nero, è anche decisamente negro, in parecchi si sono ricreduti. Sarkozy appare quindi un candidato molto difficile da battere anche per sfidanti molto forti e credibili; solo il quarto dei nomi proposti riesce finalmente a prevalere. Si tratta del popolare Asterix, il quale, se rende forse qualche spanna di carisma e fisicità al suo eloquente rivale, ha tuttavia in comune con quello lo stesso sconfinato amore per la patria francese e anche una certa qual difficoltà con l’altro sesso, utile a creare una corrente di simpatia con gli elettori. In ogni caso, però, non si ricordano dichiarazioni anti-arabe del piccolo gallo; e questo avrebbe fatto pendere la bilancia dalla sua parte. Una vittoria ancora più larga sarebbe stata conquistata dal generale romano Ezio (non avendo foto recenti del militare, abbiamo messo al suo posto il principe Chobin. Speriamo nella vostra comprensione); il merito incontestabile di aver già in passato fermato il tentativo degli Unni di conquistare la Francia gli vale la fiducia del 60% dei mangiarane. Al contrario, qualora fosse stato candidato dal Partito Socialista al posto della consorte di François Hollande***, Günter Netzer avrebbe pagato pesantemente alcune circostanze sfavorevoli: l’ex faro del Gladbach è infatti bello, irriducibile, generoso, tedesco e sa giocare molto bene a calcio. Tutte caratteristiche che avrebbero irritato il complesso d’inferiorità dei francesi, condannandolo a sconfitta certa. E’ risultato poi che Sarkozy avrebbe battuto, sia pure di misura, anche una forma di camembert: i francesi, pur apprezzando molto il loro formaggio tipico, hanno dubitato del fatto che potesse durare sette anni su una poltrona bollente come quella dell’Eliseo. Viceversa, non ci sarebbe stata storia contro l’attuale presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Questi, infatti, è ombroso, cattivo, arrogante e assai portato all’autocrazia. Ha insomma le stesse caratteristiche del suo sfidante, ma più spiccate. Lo stesso Sarkozy ha dichiarato che avrebbe votato Putin, riconoscendone il valore e la ferocia. Il politico russo poteva poi contare sul sostegno incondizionato dei burloni d’Oltralpe, ansiosi di eleggere alla carica più importante un uomo il cui nome viene pronunciato Pütèn dalla rozza fonetica francese. L’unico francese che avrebbe egualmente sostenuto Sarkozy è il filosofo Glucksmann, per motivi che stava spiegandoci accoratamente e con passione al telefono; ma non ce n’è fregato nulla e abbiamo messo giù. Infine, abbiamo contrapposto al giovane e irruento ex ministro dell’Interno la solidità e l’esperienza di una seggiola antica: la volontà di dare una nuova impronta alla politica transalpina contro la fermezza e la difesa dell’esistente. Una scelta difficile, che ha portato i francesi a dividersi esattamente a metà. Se ne deduce che in caso di confronto alle urne, la sfida si sarebbe decisa per una manciata di voti; oppure che si sarebbe dovuta cercare una sintesi, tipo sette anni di Sarkozy in piedi sulla seggiola.
La seconda domanda che abbiamo posto agli elettori è stata: e ora che la Francia ha un nuovo presidente, cosa credete e auspicate che succeda? Vediamo i risultati.


Non si nasconde il 41% che ha risposto con decisione: la Francia ai francesi! Richiesti di una spiegazione, gli intervistati hanno chiarito che è loro speranza che si ritorni presto alla buona vecchia Francia di una volta. Sarkozy dovrebbe dunque allontanare dalla Repubblica, non importa in quale ordine, i maghrebini, gli africani, gli asiatici, gli italiani, i caraibici, i portoghesi, i latinoamericani, gli esquimesi, ecc… ma soprattutto i più subdoli di tutti, cioè i baschi, i còrsi, i bretoni, i nizzardi, i tedeschi dell’Alsazia e della Lotaringia e i provenzali; infine prendersi lui stesso per la collottola e tornare a fare il bagno nel Balaton (è perfino possibile che tocchi). A quel punto la Francia sarebbe nettata da perniciosi influssi stranieri e vivrebbe di nuovo il suo idillio primordiale, fatto di collane d’aglio e capelli unti di burro.
Un 18%, formato in maggioranza da intellettuali, sciampiste per cani e benzinai, giudicando la situazione in maniera squisitamente politica, ha ritenuto che per la Francia sia necessaria, rispetto al passato, una decisa hétérogénéité. Quando abbiamo chiesto loro di essere più precisi, ci hanno detto che non hanno alcuna idea di quello che potrà accadere e che volevano solo usare una parola così carina. Il 16% del campione, per lo più reduci dei Campi Catalaunici, teppisti e semplici simpatizzanti delle popolazioni barbariche, ma hanno risposto così anche molte ragazze da marito, ha dichiarato che è finalmente giunto il momento buono per riprendere il progetto interrotto a suo tempo da un altro piccolo Unno, di posizioni peraltro un po’ più moderate rispetto a quelle di Sarkozy, e instaurare col terrore e la sopraffazione un impero che vada dalle steppe centroasiatiche all’Europa Occidentale. Per ciò che riguarda i mezzi necessari ad un progetto tanto ambizioso, parecchi non hanno escluso che si debba far ricorso ad armi anche terribili e disumane, quali l’atomica o il ritorno sulle scene del piccolo Jordy (oggi un 32enne alcolizzato).
Il 14% dei francesi, con punte quasi plebiscitarie tra monache di clausura, rugbisti di colore e lavoratori dell’industria del porno e in generale ottime percentuali tra i cattolici, si è mostrato molto stupito di apprendere che c’erano state le elezioni presidenziali. Avendo seguito il dibattito finale, in cui si sfidavano una donna e un nanetto incazzoso, essi erano stati naturalmente portati a credere di trovarsi di fronte ad uno spettacolo di freak, un nuovo reality show o al limite una puntata di Genius. Tuttavia si sono mostrati molto sollevati di sapere che il nuovo presidente non è Pietro Taricone.
Infine, una ristretta minoranza di anziani imbecilli si è dichiarata favorevole ad una nuova alleanza con lo Zar di tutte le Russie al fine di togliere alla Prussia il vantaggio della sua potenza demografica e militare; altri hanno addirittura richiesto di mobilitare l’esercito imperiale per dare una lezione a quel giovane intrigante di Bismarck o perfino di richiamare in servizio, come ministro delle Finanze, l’ottimo Necker. Poi si sono addormentati al telefono, senza peraltro smettere di blaterare scemenze.
In chiusura, a titolo di curiosità, diamo conto della reazione del governo ungherese alla prestigiosa affermazione di un così brillante figlio della nazione magiara. Intervistato da una radio locale di Montelupone (MC), il primo ministro Gyurcsány, pur complimentandosi con Sarkozy ed esprimendo l’indubbio orgoglio di tutto il paese per la sua vittoria, ha dichiarato di voler assolutamente rispettare quella che è la sfera interna e la sovranità di uno Stato estero. Poi, credendo –solo perché il giornalista lo stava utilizzando per grattarsi la schiena- che il microfono fosse spento, il giovane gaffeur si è lasciato andare ad alcune valutazione personali, sostenendo che dopo l’indipendenza il campionato montenegrino è una ridicola pagliacciata, che il gulasch che aveva mangiato la sera prima in una trattoria di Buda non l’avrebbe trovato piccante e saporito neanche un neonato con la lingua molto sensibile, infine che la pallanuoto femminile è un’ottima occasione per vedere giovani donne che mugolano e si strappano i vestiti.
L’opposizione non ha tuttavia ritenuto di dover chiamare alla protesta il popolo, a seguito di queste nuove esternazioni; la manifestazione radunatasi nelle ultime ore davanti alle finestre del premier è dunque del tutto spontanea. Ad essa prendono parte un ristoratore insonne, per motivi personali, e decisamente incazzato, per ragioni politiche; e una centroboa lesbica di cento ottantasette centimetri (due pullman di ultras del Budućnost di Podgorica sono fermi alla frontiera per aver indicato nell’apposito questionario, come motivo del viaggio in Ungheria, “pestaggio del premier”). Avendo notato lo sparuto ma deciso drappello, Gyurcsány, al momento di lasciare l’ufficio, non può fare a meno di portare la mano al suo stivale destro.

*Ma che cazzo di nome è Ségolène?
**Ma che posto di merda è il Poitou?
***Ma quant’è brutto François Hollande?

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08 maggio 2007

Che fine hanno fatto le donne di Battisti

Linda ha continuato a ballare e ridere ancora per qualche anno. Un giorno, d’improvviso, si è resa conto che gli altri, da lei, prendevano tutto quello che volevano. Ha smesso di ballare e di ridere, pian piano ha smesso anche di vivere. Ha cominciato a parlare d’amore, in compenso, ma in maniera ogni volta più cupa. L’hanno ritrovata un giorno qualsiasi degli anni Ottanta, riversa in un vicolo. Non c’era più luce nei suoi occhi mai stati azzurri.

Anna stava bene così, non voleva e non cercava nulla di più. Tanto meno si poteva far convincere da qualche parola melensa e ipocrita, dal patetico pianto di un uomo che non sapeva accontentarsi del bene che le aveva donato lei, del bene che lo attendeva a casa. Anna, invece, non ha atteso nessuno. E’ sempre vissuta da sola, ha un figlio ormai adulto, tuttavia è ancora molto bella: se la si osserva da dietro, i suoi capelli sembrano quelli di una ragazza.

Quella volta lì era proprio Francesca, non era possibile sbagliarsi. Aveva deciso d’un tratto di chiedere di più ai suoi capelli biondi e alla sua giovinezza. L’uomo che l’abbracciava la portò nei migliori ristoranti e locali più esclusivi, poi nelle sue ville, infine all’altare; si lasciarono negli anni Ottanta, quando di Francesca si invaghì un uomo grande e famoso, un politico di primo piano. Furono allora riflettori, viaggi, comparsate e denaro a non finire; poi ci fu la stagione degli scandali e delle umiliazioni, finché tutto tornò al proprio ordine naturale. Francesca è ancora bionda, ma è un biondo pesantemente artificiale, il suo; si veste sempre di rosso, ogni qual volta la invitano ad una prima, ma quello che sta bene ad una ragazza non sempre si addice ad una signora di mezza età. Francesca è ricca e passabilmente soddisfatta dalla vita. Solo ogni tanto, magari quando si trova bloccata nel traffico col suo fuoristrada, si domanda cosa sarebbe accaduto se fosse rimasta a casa ad aspettare lui.

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05 maggio 2007

La febbre del sabato mattina

Stamane mi sono svegliato alle quattro, come le galline. Perlomeno non mi sono rotto il culo cercando di fare un uovo, se vogliamo trovare il lato positivo della faccenda. D’altra parte i miei ipotetici sforzi, in senso lato, non avrebbero avuto senso, dacché ho già sei uova in frigo; e ci sono comunque modi più fruttuosi e divertenti anche di rompersi il culo (I want to break free, avrebbe detto Freddy Mercury, che la sapeva lunga. Sulle uova e non solo). Soprattutto ti danno più di 200 lire per farlo. Insomma ero lì che prendevo conoscenza di me e delle infinite potenzialità della mia mente, quando mi sono reso conto di avere tutti i boxer impiastricciati. Non mi ricordo se mi sono masturbato a letto o se invece si è trattato di una polluzione notturna, come ai bei tempi dell’adolescenza, quando il mondo era giovane e popolato di arroganti erezioni rosa. Peraltro inutili, perché nessuna me la dava e io non sapevo neanche domandarla. Mi divertivo a comprare bomber georgiani con i miei giochetti di calcio manageriale, mentre intorno a me un mondo di passere si librava nell’aria. E io lì, ignaro come un cefalo in assenza di gravità. Ma tutto questo è divagazione e non serve a nulla, come un sottosegretario qualsiasi del governo Prodi. Devo aver sognato che terminavano i lavori della Salerno-Reggio Calabria; inauguravano l’ultimo tratto di strada, e c’erano le autorità politiche e militari, i rappresentanti delle istituzioni, l’arcivescovo di Amalfi vestito come il Tenerone, la banda del paese, il cadavere di Gioacchino Murat, Miss Cilento 2027 e alcuni cani a pelo medio-lungo. Mi pare di ricordare che proprio mentre il presidente dell’organismo preposto alle inaugurazioni, on. Cuccupozzuolo, terminava il suo discorso e si accingeva a tagliare il nastro, io giungevo al culmine dell’orgasmo e macchiavo anche un po’ il cartello dell’uscita successiva. Per cui erano costretti a demolire l’autostrada, ormai profanata dalla mia bianca forza (sono le sette e dieci di mattina e se voglio cito Archiloco. Va bene?). Dev’essere andata proprio così. Adesso chiamo le istituzioni locali ed esprimo ferma condanna per il mio gesto irrispettoso e nemico dello sviluppo del Meridione e dell’intero Sistema Italia. Ah, sia chiaro che in tutto questo i boxer non me li sono ancora cambiati. Però ho il numero di Miss Cilento.
Poi ho acceso la televisione. Sul canale croato davano una interessante gara di velocità: storpi contro lavatrici. Avete presente quando le lavatrici sono vecchie e si muovono in avanti durante il lavaggio? Ecco. In questo caso i croati prendono delle prolunghe lunghissime*, poi mettono l’elettrodomestico –dipinto con i colori delle varie province del paese- sulla linea di partenza, accanto ad alcuni invalidi e\o mutilati, di solito a causa di incidenti domestici anche deplorevoli. Oggi ha vinto la lavatrice dell’Istria (Istarska), che giocava un po’ in casa, visto che la competizione si svolge all’Arena di Pola. Questo può spiegare i colpi di fucile che ogni tanto abbattevano al suolo gli storpi più rapidi. Tra il pubblico c’era anche il presidente del Parlamento Europeo, che si è complimentato con la nazione croata tutta per il brillante spettacolo e per l’importante momento di inserimento dei diversamente abili nella vita civile; poi ha assicurato che si impegnerà concretamente per sostenere l’ingresso del paese nell’Unione Europea –al limite di notte, quando gli austriaci dormono e i portoghesi sono distratti a guardare l’oceano; infine ha premiato personalmente la lavatrionfatrice, che centrifugava d’orgoglio e commozione.
Ho i vetri delle finestre gialli e unti, perché verso le sei mi andava un burek. Così l’ho ordinato: ho aperto la finestra e mi sono messo a urlare AAAAAAAHHHHHHHHHHAH!!! JEEEEDAN BUUUUUREK, MOOOOOOLIM!. Tanto ho un panettiere proprio sotto casa e non avevo voglia di scendere. La fornaia è uscita dal negozio, mi ha fissato con aria infastidita e ha detto:SAAAAA MEEEEEEESOM?. JEEEEEEESTE!!!!!, le ho fatto, e ho sorriso con galanteria. Siccome neanche la fornaia aveva voglia di salire, ha costruito una piccola catapulta di legno e pastafrolla e ha cominciato a bersagliare il mio palazzo. Con l’innato istinto per la balistica che contraddistingue questi tsernagoriani da sempre avvezzi alla guerra, ha aggiustato ben presto la mira e ha centrato la mia finestra. Ho preso il burek al volo, ho gettato l’euro che dovevo gridando HVAAAAALA LIJEEEEEEPO, GOSPOĐO!. PRIIIIIIJATNO!, ha ribattuto lei. Però la passione per l’artiglieria ormai l’aveva presa e non la lasciava; così, sempre urlando PRIJATNO! ad ogni colpo, si è prefissa l’ambizioso obiettivo di demolire l’edificio che mi ospita a colpi di cipolle e carne macinata. Io ovviamente ho chiuso la finestra; dato lo scarso coefficiente di penetrazione del burek e l’insufficiente leva rappresentata dalla catapulta rustica, questa semplice precauzione è bastata a frustrare i suoi propositi bellicosi. Ma non per questo si è data per vinta; ha continuato ancora per diversi minuti a caricare proiettili –non solo burek di carne o formaggio, ma anche pite di patate** o alla verdura***- e a prendere di mira la facciata della mia casa. Dopo un po’ la cosa dev’essere giunta all’orecchio dei pezzi grossi, perché il segretario dell’Unesco è placidamente atterrato in paracadute nella piazzetta ed ha preso la donna a male parole, sostenendo che è severamente vietato tirare dei burek o qualsiasi altra specialità gastronomica contro il tessuto architettonico di una città che è parte integrante del patrimonio culturale dell’intera umanità. La donna ha ribattuto facendo notare al diplomatico che aveva le slacce scarpate e un capello sulla testa; poi ha messo in dubbio le sue virtù virili. A questo punto l’uomo non ci ha visto più. Mentre scrivo, il segretario dell’Unesco e la panettiera sono impegnati in un incontro di boxe sulla distanza delle dodici riprese. Il mio personalissimo cartellino vede in vantaggio l’uomo, che ha leve più lunghe e vanta un discreto gioco di gambe; ma la montenegrina è atavicamente solida e incassa molto bene, per cui il tipo o la butta giù prima del limite o perde ai punti.
Sono le otto passate, è bene che mi faccia un caffè. Stasera inizia il Grande Fratello balcanico, speriamo che ci sia parecchia cocchia.

*lunghissime, lunghissime.
**krompiruše.
***zeljanice.

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04 maggio 2007

You are not an open book

Era quasi notte. Mani blu in tasche amaranto, camminavo per una strada male illuminata, alla periferia della città. Procedevo rapido ma pensieroso. Mi pareva tutto così incompleto e nebuloso: la polvere di luce che scendeva dai lampioni senza riuscire davvero a rischiarare, il respiro solido che usciva dalla mia bocca, i muri sbrecciati, lo stesso freddo irresoluto di un inverno senza neve. Ad interrompere le mie riflessioni giunse un rumore familiare, eppure inatteso a quell’ora e in quel luogo: il suono che fa una penna incidendo parole sulla carta. Mi fermai, poi decisi di seguire il rumore. C’era una filanda abbandonata da decenni, ormai priva di infissi. Dentro la filanda, baluginava una luce fioca. Entrai. Non ero solo nell’edificio, anzi: c’erano così tanti corpi che lì dentro il respiro non si tramutava in nuvoletta. Corpi di giovani maschi, per lo più; tutti guardinghi e impauriti, tuttavia con un lampo di consapevole fierezza negli occhi. Evidentemente orgogliosi del proprio vizio. Là in fondo, gli spacciatori. Mi avvicinai di lato per osservare la compravendita, stando ben attento a non dare l’impressione di voler fare il furbo e saltare la fila: non ero lì per cercare guai. Per rendere manifeste le mie intenzioni di semplice osservatore, non tolsi nemmeno i guanti e non tirai giù la cerniera del giacchetto. Appoggiato ad un pilastro, potevo vedere la scena e ascoltare con sufficiente chiarezza gli scambi di battute.
-Allora, che cerchi, disse con calma l’uomo che dirigeva il commercio, il possessore della merce. Notai con una certa sorpresa che era perfettamente sbarbato.
Dall’altra parte quella calma non c’era. Il maschio sui trentacinque anni si guardava intorno di continuo, tradendo un nervosismo al limite della nevrosi. Portava ai piedi belle scarpe inglesi e indossava un vestito di taglio elegante, ma il volto –che mi pareva vagamente familiare- non vedeva un rasoio da parecchi giorni e i capelli erano sporchi.
-Io, disse infine, con voce tremolante e sgradevole, io… io cercavo una metafora.
Spacciatori di letteratura. Pensavo fossero una leggenda, invece erano lì, a cinque metri da me. Non che la cosa mi stupisse: considerato il numero di scrittori in attività nel nostro Paese, la concorrenza, la necessità di ben figurare in qualche concorso o di spedire finalmente il racconto che ti hanno richiesto ormai due mesi fa, è perfettamente normale e logico che talvolta l’ispirazione e la fantasia debbano venir aiutate artificialmente. Specie se c’è qualche scadenza in vista.
-Beh, vediamo che si può fare, disse il pusher. E sorrise con l’innocenza di un bambino.
-C’è questa donna, bellissima, amata dal protagonista del mio racconto… Ma non riesco ad esprimere in un’immagine perché questa donna è così bella. Mi viene in mente solo che i suoi capelli biondi erano un sole, o un campo di grano, e lui…
Non finì neanche la frase, conscio della pochezza delle sue idee e improvvisamente vergognoso della sua patetica nudità.
L’altro continuava a sorridere.
-Hai fatto bene a venire, da noi, direi. Vediamo che si può fare. Se è bionda avrà anche gli occhi azzurri, dico bene?
-Celesti, li ha celesti. E’ finlandese: lui l’ha conosciuta ad un salone dell’architettura…
-Basta, per cortesia, lo interruppe lo spacciatore, stavolta senza ridere.
-Ma chi diamine te la pubblica questa merda?
Lo scrittore mosse le labbra, poi abbassò gli occhi. Probabilmente voleva rispondere a tono, ma in quel momento l’onore cedeva il passo al bisogno.
-Comunque sia, fece il pusher, ad una donna dagli occhi celesti si dovrebbe attagliare bene questa frase, dimmi che ne pensi. Tirò fuori da una tasca una biro e scribacchiò qualcosa su un foglio di carta ruvida che consegnò al compratore.
-“I suoi occhi avevano la pace e la luce di un mattino innevato”? Beh, può andar bene, credo. Si può fare di meglio, però può andar bene.
Si sforzava di sminuire la merce ricevuta, ma i suoi occhi brillavano. Provai un moto di repulsione; ciononostante, volli restare a guardare.
-Bene, fece lo spacciatore, ora paghi e te ne vai con il foglietto.
-E non sono mai stato qui.
-Non mettere in dubbio la mia professionalità, per favore.
Lo scrittore portò la mano al portafoglio e fece per trarne il denaro. Esitò, poi si rivolse di nuovo allo spacciatore.
-E senti…
Che schifo di incipit!
-Senti, continuò, hai anche una frase da mettere nella parte finale della storia? C’è un’ultima notte d’amore, ma entrambi sanno che la loro relazione finisce lì e che quello è un addio, sia pure meraviglioso. Io avevo abbozzato qualcosa come “la chiusura della loro passione fu all’altezza dell’inizio”, che dici?
Udendo quelle parole imprecise e dissonanti, storse la bocca anche il gigante biondo dai tratti esteuropei che faceva da angelo custode al pusher, impedendo che i clienti creassero disordini o pensassero di svignarsela senza pagare. Il venditore di parole preferì non commentare, anche se l’espressione del suo viso non si sforzò di fare altrettanto.
-Dico che hai ancora bisogno di me, rispose infine laconicamente.
-Considera che le sensazioni descritte sono quelle dell’uomo.
-Capisco. Dunque…
Si accinse a scrivere. Nel cesellare mentalmente la sua frase, il pusher tirò fuori la lingua e l’appoggiò all’angolo della bocca, come un bambino impegnato coi videogiochi. Poi ebbe l’illuminazione e vergò le lettere che cercava. Diede un’occhiata al biglietto e lo passò allo scrittore.
Questi lesse ancora a voce alta:
-“Quella notte lui eiaculò lacrime”? Mi pare eccessivo…
E fece per ridare il biglietto all’uomo, che però rimaneva a braccia conserte.
-Non è previsto rimborso, lo sai bene. La frase, una volta scritta, esiste ed è comprata. E se ti viene in mente di prenderci in giro imparando la frase a memoria, io e lui ti ritroviamo. Questo è il mondo reale, non siamo dentro Fahrenheit 451.
Faccia-da-slavo annuì gravemente.
In quel momento fecero irruzione nell’edificio i poliziotti. Tutto avvenne troppo velocemente perché si potesse credere ad un semplice controllo particolarmente fortunato. Qualcuno provò a scappare, ma in maggior parte gli uomini di lettere si rivelarono fiacchi ed appesantiti da cene e aperitivi in società; cosicché la loro unica reazione fu un confuso e ignobile vociare, che doveva servire a chiarire la loro presenza in quel luogo di malaffare. Davanti a me, all’altro capo della costruzione, il venditore e il suo compare si erano volatilizzati all’istante. Lo scrittore affermato lesse con avidità i biglietti, volendo evidentemente far sparire le prove prima che gli sbirri riuscissero a superare la massa piagnucolosa all’ingresso e a dirigersi da lui. Aveva gli occhi bassi sulla carta, quando uscii dall’ombra del pilastro e lo colpii con un calcio al ginocchio. Si abbatté pesantemente a terra, con i foglietti che biancheggiavano a pochi centimetri dal suo corpo dolorante. Un paio di pedate bastarono a rintuzzare i suoi tentativi di afferrare e strappare le frasi, poi giunsero gli agenti. Afferrarono e riconobbero l’artista; e infilarono in una busta trasparente i due corpi del reato, tracciati in bella grafia con inchiostro nero. Quindi si volsero verso di me, stupiti dalla mia presenza:
-Tu che ci fai qui? Sei uno scrittore anche tu? Sei venuto a cercare roba?
-No, passavo di qui per caso. Io sono solo un ragazzo.
Sorrisi. Mi chiesero se volessi testimoniare contro lo scrittore e li assicurai che l’avrei fatto. Purtroppo non avevo visto bene i due spacciatori, almeno così dissi, e non potei esser loro d’aiuto. Più per scrupolo che perché sembrasse loro possibile che fossi un intellettuale, mi perquisirono alla ricerca di letteratura incriminante. Non trovarono nulla e mi lasciarono andare.
In strada, mi rimisi a camminare tranquillo, di nuovo respirando nuvole.

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