29 ottobre 2007

La grande battaglia del parco Giovanni Pascoli

Le forze in campo: da un lato i pensionati del quartiere, dall’altro una coalizione di scoiattoli e piccioni.

Data e luogo della battaglia
: il giardino pubblico Giovanni Pascoli, un giorno d’autunno.

Le cause: il controllo del territorio del parco e del commercio di acqua brillante.

Esito dello scontro
: vittoria decisiva dei piccoli animali.

Le prime avvisaglie dello scontro si ebbero che il sole era spuntato da poco. Reparti scelti di anziani straordinariamente mattinieri, come per un piano prestabilito, occuparono le panchine sulla riva del laghetto e si misero ad osservarne le rare increspature senza apparente costrutto, volendo probabilmente scongiurare la costruzione e il varo di una marina nemica grazie al presidio di tale posizione avanzata. Il contrattacco non si fece attendere, e fu affidato ad un’azione coordinata di terra e aria: ma se i piccioni costituenti l’aviazione furono respinti a forza di sbracciate e bestemmie, gli scoiattoli riuscirono ad infliggere gravi colpi a quei vecchietti distratti che erano usciti di casa con le pantofole, rosicchiando loro babbuccia e ditone. La guarnigione del laghetto ebbe dunque a lamentare perdite; nondimeno, tenne la posizione, poiché i roditori si ritirarono al sopraggiungere di potenti rinforzi nemici (due ferrovieri in pensione montati su biciclette da donna).
Questa parte della battaglia ebbe termine a metà mattinata, quando la maggior parte dei vecchietti si addormentò sulle panchine così valorosamente difese.
In seguito, alcuni anziani equipaggiati con thermos e gazzetta dello sport provarono ad impadronirsi delle panchine nella pineta, mettendo in pratica una manovra simile a quella della mattina. Le caratteristiche del luogo erano però favorevoli agli animaletti, che dall’alto degli alberi lasciarono cadere sui nemici una pioggia di pigne e deiezioni. Questo causò l’immediato scoramento e la fuga dolorante e uggiolante degli assalitori, poco assistiti dai loro nipoti che avevano promesso di recarsi al parco con delle fionde e che invece erano rimasti a casa dopo il pranzo a guardare Dragonball.
Galvanizzati da questo successo, gli animali si gettarono all’assalto della roccaforte nemica: il campetto da bocce. La strategia fu quella dell’attacco frontale: i piccioni furono i primi a piombare in mezzo al campo, alzando un polverone incredibile e infastidendo in modo notevole i pensionati. Un gruppo di vecchietti particolarmente animosi, ex partigiani o militanti del PCI nei primi anni Cinquanta, provò per la verità a mulinare i bastoni e a difendersi in maniera sommaria; ma la scarsa mobilità di questi permise agli scoiattoli di infiltrarsi tra i loro piedi, rischiando anche di farli cadere e causando tutto un florilegio di invocazioni alla Madonna e a Santa Maria Goretti. Vista la mala parata dei più valorosi tra loro, gli altri se la diedero a gambe con tutta calma. L’uscita dell’ultimo pensionato dal campetto segnò la vittoria della coalizione degli animali.
I resti di quello che fu un esercito moderatamente baldanzoso percorrono dunque a ritroso il cammino della mattinata, trascinando le gambe irrigidite e scatarrando rumorosamente. Rimangono sul terreno berrette a quadri, abbondante piumaggio e un cardigan coi bottoni strappati, a testimonianza della ferocia dello scontro, ai quali gli spazzini del comune diedero in seguito stupita sepoltura.

Le conseguenze della battaglia: i vecchi ora si ritrovano al circolo ARCI. D’altronde è ottobre e la stagione si va facendo rigida, non si può mica star fuori.

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26 ottobre 2007

Autosegnalazioni

Ho scritto di getto una cosa che ho trovato piuttosto ben riuscita: la trovate qui. Se vi capita, leggetela. Se poi non siete d'accordo con me, è segno che avete dei gusti deficitari. Noi ci rileggiamo lunedì o martedì. Passate un buon fine settimana e non infastidite dei montoni senza motivi validi.

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25 ottobre 2007

L'informazione italiana ha le mani sul volante

Lo so, non bisognerebbe sparare su Repubblica, specie nella sua versione puntoit: è facile come centrifugare un gattino o far piangere un ospite di Maria de Filippi. Però recentemente ho frequentato un master in mancanza di scrupoli e adesso sono perfettamente in grado di fustigare senza rimorsi anche gli amici giornalisti (LOL) de la Repubblica.
Il problema è questa cosa qui. Ed è un problema grosso: con tutta la buona volontà, di questo articolo non si salva né il contenuto, né l'approccio, né lo stile, né nulla di nulla. E' un pezzo semplicemente imbarazzante (oltretutto, perché Padre Pio è finito sotto Repubblica Motori?). Tuttavia, esso ha comunque un pregio non da poco, ad essere giusti: è commovente. E' commovente lo stile da bambino di terza elementare che compone i suoi primi pensierini, zeppo di informazioni inutili e stridenti con tutti i dettami del giornalismo, roba come
...dopo alcuni mesi, riuscii a incontrare il Padre Priore (che ricordo minuto e di bassa statura)...
E a me che cazzo me ne frega? E' forse un albo statistico sulla corporatura dei frati foggiani? Oppure
L'automobile all'epoca era targata FG 127061. Trasferendo il veicolo a Bari (luogo in cui avevo e ho residenza), la targa fu cambiata in BA 409940".
Dopo queste informazioni la mia vita non sarà più la stessa.
Poi, è commovente il genuino stupore del giornalista, che ha probabilmente dodici anni ed è finora vissuto coi lupi in una grotta sui Monti Sibillini, insieme ai suoi fratelli Mowgli, Romolo, Dotto e Ivan Drago.
"Ci è stato spesso chiesto di vendere automobili di ogni tipo - ha continuato Routledgee - appartenute ad ogni personaggio, dai capi di stato alle rock star, ma mai di un Santo".
Già, quel micragnoso di Don Bosco ha preferito rottamarla.
Più di tutto, però, commuove e colpisce la vicenda raccontata nel pezzo: la riassumo, perché ne vale la pena. Dunque: c'è Padre Pio che riceve in regalo un'auto di lusso in seguito ad una storia particolare, dice l'articolo, tanto particolare e interessante che non ce la raccontano. Che se ne fa? La vende e dà il ricavato in beneficienza per la causa dei Padri Priori rachitici? La utilizza per battere il record dell'ora di Moser? No: con un'efficace metafora sullo sviluppo industriale del Meridione d'Italia, la lascia ad ammuffire. Dopo qualche tempo arriva un tizio perfettamente sconosciuto e il frate decide di regalargliela, perché "è nu bravo guaglione". Vi pare una giustificazione ridicola o insufficiente? Dimenticate che Padre Pio è un santo e può vedere il bene nel cuore delle persone.
Difatti il bravo guaglione, la Mercedes donatagli, l'ha appena messa all'asta e punta a guadagnarci qualche centinaio di migliaia di euro.
Quando si dice il sesto senso.

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24 ottobre 2007

Il racconto di una madre

Ora che dorme nel suo letto, la maglia a righe biancorosse appoggiata sull’uomo morto, il pappagallo variopinto che sonnecchia sul trespolo, beh, guardandolo ora, tutti voi lo giudichereste un bambino normale. Un bambino normale che dorme il sonno sereno dei bambini normali, con i suoi incubi colorati, spaventosi e innocui.
Ma io ricordo il giorno in cui ho saputo di essere incinta, la paura, il terrore; e in tutto quell’aver paura ero molto felice. Poi la mia gioia fu spezzata e mi morì dentro, quando i medici mi dissero che il figlio che avevo in grembo era un pirata. Mi mostrarono l’ecografia: la macchiolina nera che si intravedeva appena, riuscivo a scorgerla?, non poteva essere altro che una benda da corsaro. Uscendo dall’ospedale mi sentii mancare: il mio ragazzo mi prese sottobraccio e mi condusse a casa. Ora è mio marito, non ha mai smesso di sorreggermi. Quella volta riflettei a lungo; poi decisi che poteva anche essere un pirata, ma era il pirata che usciva da me; perciò decisi di sfidare il buon senso scoraggiato degli amici e le mezze parole di sfiducia degli altri, perciò volli tenerlo. Quando nostro figlio è venuto alla luce, mio marito mi stringeva una mano; ha visto spuntare il tricorno e ha avuto la forza di continuare a sorridere, di farmi credere che tutto andasse per il meglio.
Oggi devo dire che aveva ragione lui, o avevano ragione le nostre speranze. Adesso che tutto vive nel ricordo, il suo primo Aaaahhhrrr, il momento in cui mi resi conto con orrore che sul cranio gli stava spuntando una bandana, tutto questo non mi inquieta più. Eppure, per quanto fosse mostruoso, per quante razzie e soprusi potesse compiere, io sapevo già che restava mio figlio. La mattina gli mettevo a posto la sciabola e la cartuccera e lo mandavo a scuola. Gli altri bimbi lo evitavano, perché puzzava di rum e perché saltava sulla cattedra e prendeva a piattonate la maestra. Non è stato facile crescerlo, ci sono stati momenti di sconforto che sembravano infiniti; poi sentivo la sua voce per le scale, i suoi Corpo di mille balene!, e di nuovo trovavo la forza per sorridere e tornavo a preparargli le gallette.
Pian piano, col tempo, ha imparato a dire grazie quando una vecchietta gli mormora che è proprio un bel pirata, e a togliersi il pugnale dalla bocca; se gli regalano una moneta, si inchina fin quasi a far cadere il pappagallo dalla spalla, poi la infila nello stivale e corre a giocare con gli altri bambini. A volte, di sera, mi sorprendo a domandarmi che sarebbe stato della mia vita se lui non fosse stato così: poi però lo osservo raggomitolato nelle sue coperte, mi avvicino piano piano e lo accarezzo sul capo. Lui cerca di raggiungere le sue pistole, poi si raddolcisce subito e bisbiglia un Ahr flebile e strascicato. Lo bacio a lungo, dolcemente, e so che è il mio pirata e non poteva capitarmi di meglio.

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22 ottobre 2007

La pagina della cultura

Oggi La Repubblica scrive, nelle sue imprescindibili pagine culturali, di Hermann Hesse. Questo mi ha ricordato che a suo tempo ebbi modo di entrare in possesso di un brano di Hesse, purtroppo espunto per motivi ignoti dal Siddharta. Quindi intervengo nel dibattito, pubblicando il prezioso inedito*.

***

Vagava il principe Siddharta per il bosco, sempre addentro ai suoi pensieri, quando precipitò fino al ginocchio in una merda di yak. "Per il probo Ganesh", disse l'ottimo principe, "è mai possibile che in questo luoco non si possa rivolger la mente al trascendentale senza pestare una merda, come questa poderosa lasciata dal buon ruminante -che Shiva l'abbia in gloria?". Questo disse il magnanimo Siddharta, dal morbido crine e dal culo violaceo; e se ne andò nelle stalle a riempire di ben meritate nerbate quel vagabondo del giardiniere.
Tanto crepitò lo scudiscio sulle molli spalle del fannullone, che da allora non più ebbe Siddharta a pestare una merda. "Con la gentilezza si ottiene tutto", mormorava tra sé il principe titillandosi il membro dinanzi allo specchio d'ametista. E con lo sguardo volto al di fuori delle bifore osservava i passerotti, e rimirava le quaglie, e sorrideva ai tordi: "Per le innevate cime dell'Hindukush**!", queste parole usciron dal cuore purpureo delle sue labbra, "anzi n'ce starìa be' sula pulenta, sti uccelli del cazzo (morisse loro e chi l'ha creadi)!". Così parlò Siddharta, gioia dell'India, saggezza del creato.

*Questo pezzo è stato scritto da me nel 2004. Non ho granché tempo per creare ex novo, ora come ora; ma voi aspettate con fiducia e, se incontra il vostro gusto, godetevi intanto questo aperitivo.
**Anacronismo.

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19 ottobre 2007

Frontiere della scienza

La notizia del premio Nobel che ha sostenuto la minore intelligenza delle popolazioni africane rispetto agli occidentali "bianchi" è vecchia, trita e ha già dato occasione ad una torma di noiosi buonisti di sfornare giudizi noiosamente buonisti. Il che peraltro conferma l'evidente realtà che i buoni sono una molletta ai coglioni (ma questo esula dal punto). Dunque non la commenterò. Tuttavia, mi ha colpito il fatto che lo stesso vecchietto rincoglionito abbia detto in passato che la stupidità, essendo una variabile fondamentalmente genetica, sarà presto curabile.
E allora perché parlare di razzismo? C'è speranza anche per i negri.

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18 ottobre 2007

We are red! We are white! We are danish dynamite!

Solo ieri, con colpevole ritardo, ho scoperto che l'Islanda (quella roba fredda in alto a sinistra) ha fatto parte del Regno di Danimarca fino al 1944. A parte che bravi islandesi, eh?, siete proprio bravi a strappare i peli delle palle a uno che dorme! complimenti davvero!, a parte questo, dicevo: vi rendete conto? Vi rendete conto di quello che poteva essere? Un blocco compatto dalla madrepatria alla Groenlandia, il trampolino di lancio di un progetto di esportazione della civiltà nordica in tutto il mondo. Voi direte: e va bè, Danimarca, Fær Øer, Islanda e Groenlandia, non è poi tutto 'sto gran impero. Ma quello è solo l'inizio. Se avessimo ancora -noi Danimarca, diciamo- queste isole, isolone ed isolotte nel mare del Nord saremmo in una invidiabile posizione di forza. Intanto, si potrebbe bloccare l'afflusso di stoccafisso e altri generi di prima necessità verso l'Europa continentale, obbligandola così alla neutralità e alla condiscendenza; in secondo luogo, il potere sui mari permetterebbe -a quasi mille anni da Stanford Bridge e dalla fine dei tentativi scandinavi di conquistare l'isola- di accerchiare e infine sottomettere l'Inghilterra. Segue grafico esplicativo, tratto dai più segreti bunker di Copenaghen.


In seguito, spetterebbe ad appositi commando anfibi provenienti dalle Fær Øer l'onere e l'onore di investire l'isola britannica. D'altra parte questi nobili quanto impazienti guerrieri non attendono altro che di essere lanciati contro l'obiettivo. A quel punto, danesizzata e civilizzata la Gran Bretagna, al resto d'Europa e poi del mondo sarebbero evidenti i vantaggi della resa dinanzi alla superiore società scandinava.

E niente. Peccato solo che l'Islanda sia indipendente dal 1944 e dunque questo discorso non sia valido. Peccato, ci sono paesi da cui sarebbe bello farsi invadere.

***

E poi volevo cogliere l'occasione per ringraziare il mio affezionato lettore di Kastrup. Non capisco che ci trovi, qui, però mi fa piacere che ci sia.


Degno rappresentante di una grande nazione.

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15 ottobre 2007

Chiudere i blog (come forma di tutela della convivenza civile)

A volte mi trovo a disagio a scrivere. Non tanto per lo scrivere in sé, quanto per il fatto che poi qualcuno leggerà. Ho come l'impressione di essere nudo e di masturbarmi davanti a voi che mi guardate, seduti a mezzo metro da me. Ecco, almeno potreste evitare di prendere i pop corn.
E' che il blog in sé è una forma di comunicazione inaccettabile. Non mi interessa nulla di quello che un tizio qualsiasi fa nella propria vita privata e di come questi dilapida il proprio non rimpiazzabile tempo di vita componendo baggianate su discutibili template di splinder: non solo, credo che non dovrebbe interessare a nessuno. Pena, la deportazione. Bisogna riscoprire quello che il mondo moderno, col suo barbaro voyeurismo, ci ha tolto: la dimensione del privato, del sobrio, del personale.
E ve lo dice che uno che in questo preciso momento sta cacando (grande invenzione, le reti wireless).

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10 ottobre 2007

Ancora una storia di macchie

Mi sono accorta stamattina, mentre mi mettevo in ordine davanti allo specchio, di una strana macchia scura nell’incavo di una spalla, estesa fino alla testa della clavicola. Si tratterà senz’altro di un livido, giacché la mia pelle è sempre stata incredibilmente delicata e sensibile ad ogni genere di urto, anche minimo. Pure, è strano che non ricordi assolutamente di aver sbattuto contro qualcosa. D’altronde sono piuttosto distratta, Giorgio me lo dice sempre. Oggi avevo proprio voglia di incontrarlo, ma stasera cena fuori con la moglie e i figli: il più piccolo ha una recita con la scuola, vanno a mangiare una pizza dopo la rappresentazione. Comunque Giorgio mi ha detto che con la moglie sono ai ferri corti, ormai stanno rompendo. Presto l’avrò tutto per me.
E poi ho le mammelle gonfie all’inverosimile, sarà il premestruo.

Giorgio è venuto a trovarmi e si è stupito molto della metamorfosi che si è prodotta in me: mi ha trovato molto più passionale del solito ed anche molto più bella. Sicuramente mi starà adulando, anche se non è proprio da lui. Sostiene che la mia pelle è diventata più chiara, quasi bianca, e che questo mi dona molto. Purtroppo il livido sulla spalla si è allargato e scurito, e ne è apparso un altro sopra la natica destra. Ma a lui non importa, dunque non importa neanche a me. Il seno non accenna a diminuire: mentre lui mi toccava, ho avvertito un piacere maggiore ed una sensazione radicalmente nuova rispetto al solito. Ora sono sola sul divano e il reggiseno mi infastidisce. Voglio toglierlo e premere le mani bianche sul seno nudo. Ma non sono affatto eccitata; è un curioso languore, il mio, che confina con l’esigenza.

Questo fine settimana non ci vedremo: la moglie lo ha costretto a prenotare una stanza in un agriturismo in collina. Lui sopporta le imposizioni di lei in silenzio, ma lo fa solo per i bambini; non posso che rispettarlo per la sua pazienza e correttezza. Io però farei bene a preoccuparmi di queste strane macchie e di questo biancore sempre più evidente e spesso. Mi sembra che stia mutando il mio stesso viso, che si è allungato. Adesso vi campeggiano due occhi grandi che non sono i miei, occhi buoni e acquosi.

Il seno è sempre più gonfio e mi fa male. Le mie dita sembrano essersi accorciate e fatte più tozze, e io ho vergogna ad uscire di casa. Giorgio aveva intenzione di portarmi fuori per l’aperitivo, ma gli ho detto che forse è meglio se prendiamo qualcosa a casa mia. Non mi sento tranquilla.

E’ successo tutto in un momento: ero in bagno a massaggiarmi le mammelle sempre più indolenzite, quando uno schizzo bianco ha colpito la superficie dello specchio e io ho muggito di dolore e di sorpresa. Ho assaggiato il liquido che colava dal vetro e l’ho trovato buono, del buon latte tiepido e genuino, del sapore di quello che si compra fresco dai contadini. Ho vuotato le mammelle in un secchio. Sto finalmente meglio; soprattutto, in qualche maniera vaga e incomprensibile, mi sento felice.

Giorgio non verrà. Spero che non venga più, però ho bisogno delle sue mani.

Giorgio è venuto e mi ha portato via. Mi ha consegnato ad un uomo che non conosco, un uomo che mi ha esaminato minuziosamente con lo sguardo, mi ha dato una pacca sulla schiena e poi si è seduto vicino a me. Ha cominciato a toccarmi i seni mentre Giorgio era lì che guardava. Io mi sono sentita morire e avrei voluto chiedergli scusa: per le macchie nere, per la mia schiena pesante che mi inchioda a terra, per il fatto che mi piaccia così tanto il contatto di queste mani estranee. Avrei voluto chiedergli scusa, ma non riesco più a parlare. Giorgio allora si è girato e se ne è andato. I miei grandi occhi di mucca l’hanno seguito fino alla porta.

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06 ottobre 2007

Fieberlicht sul discorso

Il ben noto Fieberlicht insegnò, in una conferenza tenuta a Basilea, che la geografia e più specificatamente l’esposizione solare segnano e quasi determinano il pensiero e il modo di comunicare dei popoli. Secondo Fieberlicht, come sa qualsiasi ragazzino che abbia minimamente assimilato le prime nozioni di fisica, ad un aumento del calore corrisponde di necessità un aumentato movimento delle particelle. I pensieri che germogliano o marciscono nelle teste degli esseri umani, pur non avendo forma esteriore di particelle e non potendo essere isolati in laboratorio, egualmente non fanno eccezione a questa basilare regola. Chi nota la maggiore parlantina ed eloquenza delle popolazioni mediterranee scopre l’acqua calda; ma quello che non si sa è che tutto ciò è fisiologico, naturale, irrinunciabile e perfino sano dal punto di vista propriamente medico… Nel capo di un italiano i pensieri viaggiano ad una tale velocità, a causa proprio del calore del nostro astro, che egli deve giocoforza esporli in continuazione, a chiunque, ovunque, se non vuole che questi si perdano, si nascondano, vadano a finire in qualche impenetrabile recesso della mente umana. E tutti sappiamo che rovello insopportabile che è quello della perdita di un pensiero! Quante menti elevate sono state condotte alla pazzia da un dubbio o da una sensazioni iniziati a questa innocua maniera? Tante, troppe… Ma torniamo all’esposizione della materia. Un danese –ben conosco questa fiera stirpe scandinava, per aver fatto parte colà dell’Accademia Reale- può avere e sicuramente ha un numero di pensieri paragonabile a quello dell’italiano: ma i suoi pensieri sono contenuti in un luogo così poco minacciato dai caldi raggi solari, che essi risultano pressoché immobili. Il danese si sveglia la mattina ed ha un pensiero: si rade, fa colazione, si reca al lavoro e ne torna. La sera, sorbendo una zuppa, ritrova il suo pensiero più o meno dove l’aveva lasciato e lo espone alla moglie. Ella annuisce gravemente. Io stesso, cari signori, ho concepito questa conferenza una settimana fa circa in una birreria dalle pareti di faggio, non lontano da Dresda [brusii tra la folla. Isolati sghignazzi]. Credete forse che abbia dovuto chiedere carta e penna alla buona e stolida birraia per fissare il mio fluire di idee? No! La conferenza è qui da allora [si tocca il capo], e oggi mi limito a pescare le parole da pensieri già composti. Quanto al volume e alla modulazione con cui i popoli parlano, cari signori, essi discendono pure dalla velocità dei pensieri: il mediterraneo, che espelle cento parole al minuto ed anche assai di più, non può emettere una nenia monocorde e di basso volume, che annegherebbe i lemmi in un magma indistinto come cipolle nel brodo... Egli deve, e sottolineo deve, urlare e piangere e cambiare tono a bella posta per mantenere e richiamare l’attenzione sul discorso. Il melodramma italiano, che pare a noi uomini del Nord una così evidente distorsione della realtà, ne è in realtà lo specchio fedele... [a questo punto un tale chiede al pensatore come egli spieghi il comportamento sovente mediterraneo di alcune stirpi slave che pure vivono al Nord, in terre di poco e freddo sole. Fieberlicht riflette a lungo in silenzio, prima di ribattere. Poi dice che ha trovato la risposta, ma che –essendo un settentrionale- non ritiene necessario proferirla ora. Tale atteggiamento provoca gravi disordini nella sala della conferenza. La Basler Zeitung del giorno seguente scriverà di entusiasmi giovanili per un provocatore sofista... sconfortanti manifestazioni dello spirito del tempo... esagitati sguinzagliati per i luoghi dove dovrebbe esercitarsi la cultura, non la perversione... Solo l'intervento massiccio della forza pubblica ha potuto ristabilire l'ordine consueto nelle nostre lande. Prima ancora che queste parole vadano in stampa, i gendarmi hanno accompagnato Fieberlicht al confine della Confederazione.]

(ringrazio la signora pugliese, seduta a parecchi sedili di distanza da me, che qualche mattina fa, in treno, mi ha ricordato queste riflessioni urlando al suo cellulare.)

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03 ottobre 2007

L'attesa

Non so perché sia andato via. Gli ho fatto mancare qualcosa? Ha forse avvertito venirgli meno il mio amore? No, devo scacciare come tali queste insensate paranoie: io e lui esistiamo ancora, esisteremo sempre, giacché non siamo un momentaneo frutto della passione o del capriccio, ma la conseguenza seria e consapevole di anni di conoscenza reciproca e di affettuosa convivenza. Tutto si basa sulla stima e sul rispetto, tutto quello che è noi ed in noi, e da queste solide fondamenta nascono anche i nostri slanci. Il nostro è l’amore vero, adulto, non un amore fatto come un gioco di bambini, che comincia con grida e corse d’impazienza e d’improvviso s’affloscia e muore di noia, vinto dalla sua stessa natura effimera. Non nego di aver paura; purtroppo è insito nell’importanza stessa della nostra relazione, che forse dovrei chiamare vita comune, il terrore di perdere tutto ciò a cui gli anni ci hanno assuefatto col loro scorrere sereni. Io lo amo; ad una tale mancanza non saprei rassegnarmi. E’ banale, eppure non trovo migliore formulazione per il mio pensiero. Se lo perdessi, se egli se ne andasse (egli è già andato, in verità, e io sono qui che attendo; ma credo che tornerà. Sì, tornerà)… Non so davvero come potrei vivere un mondo privo dei suoi abbracci. Se è vero, come dicono, che il male è solo assenza di bene, allora non avrei rimedi alla sua perdita; non c’è toppa per un tale buco. Mi conosco e so quanto spazio egli occupa in me. Io lo amo, in definitiva, e l’amore non si sostituisce. Ma ora basta con le paure e le malinconie! Egli viene, lo sento. Non è forse il suo passo, questo che risuona per le scale? Sì, lo riconoscerei tra mille… Egli torna! Presto sarà di nuovo qui, e tutto sarà come prima!
L’uomo fece scattare la serratura ed entrò in casa. Prima ancora che potesse slacciare il giubbotto, il grosso cane bianco e nero gli era volato al petto, eccitato e commosso dall’amante ritrovato.

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