30 gennaio 2008

Il manifesto del negrismo

1) L'uomo che fece capolino dal buio che precedette i tempi, come conservandone sulla pelle una rimembranza, si affacciò negro all'inizio dei secoli. Noi combattiamo il pallore cadaverico della cosiddetta civilizzazione.
2) Noi celebriamo la rilassatezza, le risate a tutta bocca, l'imprevedibilità e l'amicizia coi gorilla.
3) Tutto ciò che è arte sofisticata e artificiosa è da dimenticare. Muoiano gli archi a tutto sesto e i guanti da portiere!
4) Lo studio della storia non ci interessa; è assurdo e improficuo. La vita e l'esperienza umana sono una banana: avidamente addenteremo la polpa, gettando in terra la buccia.
5) Il frastuono dei nostri bonghi è il battito primigenio del cuore umano e l'inno sincero all'esistenza che annichilisce l'immotivata e mendace musica classica.
6) I piccioni sono potenti negristi che offuscano la volgarità dei marmi bianchi e devastano Venezia, onusta di troppo candore ingiustificabile.
7) La madre obliata di tutte le nazioni, l'Africa che occupa il centro del mondo, accosterà di nuovo il seno gonfio alla bocca dei suoi figli ribelli e rachitici e ne investirà le gole di un vivido fiotto nutriente. Chi nega l'Africa nega la propria madre.
8) Coprire di ferro e cemento la terra, madre anch'essa, Africa di dovunque, e affannarsi a trasformare ciò che non ci appartiene significa insultare e rinnegare l'essenza dell'uomo, il quale è creato per godere a bocca aperta della bellezza e non ha diritto di mutarla. Il lavoro e la produzione di manufatti sono una febbre e una mania da cui l'umanità deve emendarsi.
9) Il cane lega l'uomo alla natura e deve essere amato e celebrato senza remore e senza limitazioni. Il gatto è il piccolo leone, l'eterno felino che un tempo ghermiva i nostri simili e ne straziava le carni, raffinata macchina di morte che nessuna tecnica potrebbe mai eguagliare; ogni famiglia deve venerarne uno o più di uno e ad esso sacrificare una parte del proprio pasto. Nei giardini zoologici finiranno gli psicologi e gli storici dell'arte, additati e bersagliati con frutta e stecchi dalle scolaresche rumorose.
10) Il sacrilegio della cultura si sintetizza nell'arco che falsifica l'orizzonte, suprema mirabilia del creato. Archi e cupole devono venir demoliti tra le danze giubilanti delle folle ebbre.
11) La bellezza è intorno a noi. L'arroganza dell'Europa è stabilire che promani da noi. L'uomo è bello solo in quanto esso stesso figlio della natura, in una parola, negro; l'uomo è bello se è originale ed autentico, nudo e orgoglioso della propria nudità che non necessita di orpelli. Ogni copertura nasconde la bellezza e nega la meraviglia; noi vogliamo scoprire quello che è stato vestito ed incatenato ed educare alla libertà i bambini, uomini piccoli, uomini più naturali e più vicini al centro della terra. Noi aspettiamo l'avvenire con un sorriso, fiduciosi che si presenterà con il proprio volto mai più devastato dalla trivialità della civilizzazione.

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24 gennaio 2008

La grande migrazio' dei marchigia'

Ci fu un tempo, molte ere fa, in cui la scarsità del personale delle Ferrovie dello Stato fece sì che dopo Foligno si dovessero serrare due vagoni del regionale diretto ad Ancona; sicché i marchigiani, le cui leggende e favole non nominavano altri luoghi in cui i loro più antichi e reconditi progenitori avessero mai posto le proprie dimore, e che erano dunque propensi a credere di esser stati creati insieme a quelle vetture e di abitarle a pieno diritto da sempre, furono costretti ad alzarsi in piedi e spostarsi verso le carrozze successive, superando insidie e difficoltà di ogni genere.
Ci dicono i canti che ancora oggi i rapsodi intonano nel mezzo di ogni circolo di marchigiani, quando il sole è tramontato e il vino forte ne ha addolcito le membra e predisposto all'ascolto le orecchie, che l'infinita teoria di donne e uomini e carriaggi si addentrò per miglia e miglia nel ventre del mostro d'acciaio, la cui difficoltosa digestione dei chilometri di terra divorati produceva un orribile rumore di mascelle; e che molti dubitarono a più riprese di giungere mai ad un posto a sedere, alle proprie case calde e lontane, all'abbraccio confortante dei propri cari. I poeti conservano e ripetono il nome di mille eroi che aprirono le porte a quella fiumana sfiduciata, ne sollevarono le valigie, affrontarono le schiere infinite (ma solo fino a Foligno; poi, drasticamente ridotte) di orchi e troll dai pantaloni verdi. Di simili mostri ugualmente ci tramandano e descrivono quei poeti, mentre le fiamme dei bivacchi silenziosi -intenti solo ad ascoltarli- illuminano di vampe il loro viso e la loro guzla, il muso ottuso contornato di ricci etruschi e la parlata umbra, grottesca caricatura di un umano discorrere, che era il linguaggio bestiale di quelle orde.
Al termine di tanti eroici sforzi e alla fine dei versi accorati degli aedi, i marchigiani furono accolti dagli orizzonti sconosciuti ma pacifici di un paio di vagoni più in là e poterono riposare i loro corpi sulla plastica azzurra dei sedili di Trenitalia; qui ricostruirono migliori le loro istituzioni e plasmarono una nuova epoca d'oro, negli scompartimenti divisi da rivi di latte e miele, alle cui sponde si accostavano insieme il leone e l'agnello, lo jesino e l'anconetano, senza che mai una lite venisse a turbare quella gioia e quell'idillio.
Questo è quanto dice la leggenda e io non so davvero in che misura prestarvi fede; so solo che infine le porte si spalancarono davanti ai miei occhi stanchi e, anche se era buio, io sapevo che in quella notte dormiva la bellezza della mia terra.

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22 gennaio 2008

Ritorno alla terra

Una delle scopate più belle che si possano fare è quando ti scopi la terra. Con queste parole non vogliamo riferirci a quel pallocco d'argilla animata che sono gli esseri umani e all'avere rapporti sessuali con loro; ciò che intendiamo è proprio il recarsi in un luogo non pavimentato, vergine d'ogni piastrellatura, afferrare ed accarezzare il terreno e fare l'amore con esso.
Naturalmente si darà la preferenza ad una terra né troppo fangosa, che sarebbe impossibile da baciare senza strozzarsi di guazza e batteri virulentissimi, né sterile ed arida, tale da opporsi ad ogni penetrazione. L'ideale sarebbe un bel prato di erba soffice frammista di fiori profumati, una terra odorosa e morbida che puoi baciare sul collo ed assaporare con voluttà mentre ti sdrai su di essa. Giunti a questo punto, sarebbe volgare, ed offensivo per il lettore, dare ulteriori indicazioni e prescrizioni: ognuno se la sbrighi da sé, faccia a faccia con il proprio io, solo di fronte alla platea invisibile com'è ogni uomo davanti alla propria erezione.
Ad ogni modo, terminata gloriosamente l'operazione, è buona regola slacciare i calzoni e lasciare che qualcosa della propria umidità arrivi alla terra; non potrete fecondarla, ma questo non vi impedisce di amarla e di testimoniare la vostra profonda dedizione. Poi restate lì a lungo ed abbracciate con il calore che merita la vostra grande amante, gravida di tutto e anche di voi.
Purtroppo la terra si può amare solo alla missionaria e non sono possibili altre posizioni; conveniamo che si tratti di un nobile obiettivo, ciononostante è arduo convincere il mondo a sedersi sul vostro pene.

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16 gennaio 2008

Il dramma si tocca con mano

Il momento più triste nella vita di un uomo segue di pochi secondi un attimo viceversa assai piacevole, ed è quando ti ritrovi con un pene in mano e le dita appiccicose davanti ad un portatile e ti penti di averlo fatto. Pochi secondi prima ti pareva tutto così naturale e dannatamente plausibile: l'insaccato pallido che ora ti muore in mano, perdendo volume a vista d'occhio, era un fiero cilindro color carminio, un mortaio austroungarico pronto a bombardare le trincee nemiche colpendo il nemico negli occhi, un amico per la pelle e una patente d'immortalità.
Ho un'erezione, dunque sono invincibile.
Adesso chiudi tutte le finestre con la punta degli indici, risparmiate esse solo dall'euforica esplosione di gioventù e benessere, mentre dai muri della stanza le stampe della battaglia di Castelfidardo ti osservano con severità. Impiastricciato e risoluto, riprometti a te stesso che non mai ricadrai nel vizio di Onan, che ti cercherai un lavoro serio e magari più avanti fonderai una città in grado di diventare una piazza importante per il commercio delle spezie. L'uomo che esce dal gabinetto, in cui s'era trascinato sbatacchiando qua e là la cintura slacciata e facendo frusciare i calzoni cadenti, ha ora le mani linde e fermi i proponimenti; è di fatto un uomo diverso, che esige per la propria vita solo azioni di cui si possa andar fieri anche dopo averle terminate.
Per fortuna, l'ordinamento giudiziario del maschio statuisce che l'erezione successiva cancelli all'istante e per l'eternità ogni obbligo.

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11 gennaio 2008

Come smisi di avere sonno

E' di certo doloroso e ingrato trascorrere un'intera vita senza gioia, senza sogni, affogando ogni mattina nella banalità più inutile, nella sola continua urgenza di giungere al mattino dopo; pur sapendo che esso sarà una volta ancora vuoto.
Tuttavia, è ben peggio vedere la propria felicità a distanza di un passo, potendo quasi sfiorarla con le dita tese, e perderla per sempre. La si è vista bene, la si è odorata e assaporata, era lì: poi si allontana e non ritorna più. Chi sarebbe allora in grado di mettersi l'anima in pace, di raccontare a se stesso che in fondo il proprio sogno non significava poi granché? Sarebbe un condannarsi ad un dolore nascosto e perpetuo, come una costola rotta che ti spezza il fiato ogni volta che provi a respirare più forte, non potendo più accontentarti del respiro sommesso di un'esistenza sottotraccia. Se si ha la fortuna di vedere la propria felicità, perché si badi che non capita a tutti, rincorrerla ed afferrarla è un dovere. E quando sembra sfuggire, quello è il momento di correre più forte.
L'orsetto pensò tutto questo, si scosse da quel torpore che non riusciva a scaldarlo davvero ed uscì dalla grotta, fermamente deciso a trovare del miele; fuori, l'inverno sembrava non voler terminare più. Ma non basta un inverno gelido a fermare un orso determinato.

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07 gennaio 2008

La dinamica di una coppia

Da anni si vedono tutti i giorni al parco, qualunque sia il tempo e la stagione. La lunga familiarità e conoscenza, con in più quella solidarietà che sempre si instaura in simili frequentazioni tra affini, è sfociata prima in una simpatia reciproca, poi è evoluta in attrazione, infine è divenuta amore. Eppure nessuno dei due fa un passo verso l'altro; fermi, inappuntabili, seri (o timidi?) al limite del marmoreo, stanno una di fronte all'altro e non si muovono. Non sanno confessarsi ciò che provano, condannati in eterno alla fissità e frustrazione dei propri sentimenti.
Stamane pioveva forte e ghiacciato, cosicché due pettirossi si sono avvicinati a loro per cercare riparo; poi, uscito il sole, si sono riuniti, si sono baciati coi becchi, teneri, e sono volati via in coppia. I due innamorati silenti li hanno osservati con indicibile invidia e rimpianto.
(l'amore tra panchine è disciplina statica e complessa.)

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