26 dicembre 2006

Quelli che restano

Und auch das größte Wunder geht vorbei
(passa anche la meraviglia più grande).
Wir Sind Helden, Die Zeit heilt alle Wunder

Ad esempio uno va a vivere in un posto. Lì si abitua ai percorsi, ai panorami, ai sapori di quei luoghi. Ma capita anche di conoscere ed assuefarsi ad un paio di occhi grigi, per dire. Purtroppo tutto in questa vita è temporaneo; così quell'uno se ne deve andare, mentre gli occhi grigi restano lì. Non ho voglia di parlare di chi parte: migliaia di anni di letteratura sul viaggio hanno sviscerato l'argomento. Oggi mi interessa chi resta. Perché uno non ci pensa, o forse non ci può credere, ma tutto continua a scorrere anche quando si è lontani. Fotogramma dopo fotogramma, le immagini che credevi permanenti si cancellano dagli occhi che hai lasciato. Resta il ricordo, ma il ricordo non esiste. Esiste solo l'interpretazione che se ne dà, e quella non la puoi controllare né influenzare. Nella città che è stata tua, la tua ombra nei luoghi che hai vissuto sbiadisce fino a scomparire; nel letto non c'è più traccia della tua figura sul materasso, e non c'entra l'essere magri. Gli occhi registrano, non si può chiedere loro di ricordare o di immaginare. Su quel ponte non ci sei più, non conta che una sera eri lì pensieroso e fumavi appoggiato al parapetto. Sul prato curato del parco ora gioca un cane o un bambino, non mi interessa quanto forti fossero le tue sensazioni quando ti sdraiavi lì. E forse per chi rimane è peggio, perché ogni giorno sente che ti allontani un po' di più nel tempo. E il tempo è cattivo, lo spazio forse è distratto, ma il tempo è davvero feroce: è inutile che lei ti tenda la mano attraverso di esso, non la puoi afferrare. Ci sono cose tremende e normali su questa terra. L'umanità dovrebbe vivere tutta nello stesso luogo e tutti dovrebbero poter ritrovare tutti, per come la vedo io. Solo cancellando lo spazio, diverrebbe un poco più tollerabile l'arbitrio del tempo che scorre e rosicchia la tua vita dalla fine.

E buon 2007 a tutti voi che leggete.

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21 dicembre 2006

Tanti auguri, proprio a tutti


Anche a lui. +1, vecchio, +1. E me ne stavo scordando: è proprio vero che sta venendo meno la memoria storica. E buon Natale anche a voi che leggete.

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Impressioni d'un pomeriggio invernale

La città è molto grande ed è piena di occhi. Lei non vuole che lui la tocchi così, anche se in questo momento sembra che al parco ci siano solo loro. Gliel'ha già detto mille volte, ma lui continua a non capire. Lei respinge la sua mano appoggiata sul suo seno, ma ne stringe il polso, perché non vuole che si allontani troppo. Lei ha la pelle d'oca, perché lui ha sempre le mani fredde e per altri motivi che proprio non comprende; lui la tocca, lei è felice e preoccupata, si guarda intorno timorosa che arrivi qualcuno. Ma finché non c'è nessuno, lui può tenere le sue mani con le dita lunghe e storte sotto il suo maglione di lana. Un dito più lungo o più fortunato degli altri arriva dove la pelle rosa e sensibile di lei è più rosa e più sensibile, proprio mentre le foglie dei tigli e degli aceri nella piccola macchia davanti alla loro panchina frusciano forte, con un rumore che le orecchie attente e inquiete di lei trasmettono all'istante al cervello. Lei si lascia scappare un gemito strozzato e irrisolto, di sorpresa e di piacere; gli afferra il braccio e lo caccia dal suo maglione. Era solo uno scoiattolino: la bestiolina esce dalla macchia e li guarda per un attimo. Forse li valuta secondo una qualche sua scala, forse no, di certo se ne va. C'è una nebbia sottile e umida, e lei ha gli occhi verdi. Lui la guarda tutta e la assapora: lei ha la pelle scura, anche se da un mese il sole rimane nascosto e quando si fa vedere è solo una luce bianca, che non scalda. E' come se il calore che lei ha dentro bastasse a bruciarne anche l'involucro esterno. Lui non pensa una cosa così precisa; tuttavia, la sente in maniera vaga ma profonda. Lui ha la pelle chiara, le sue vene sono guizzi blu sulle braccia che la toccano. E' biondo biondo e liscio liscio, lei ha sempre paura a farlo spogliare, perché ogni volta non sa smettere di far scorrere le sue mani su quella pelle incredibile. Lei ha paura del giorno in cui non saprà fermarsi, anche se sa che quel giorno è vicino ed è bello. Lei rimette il giacchetto. Lui fa un rumore strano, forse sbuffa o forse prende atto. Sul giacchetto di lei c'è una bandiera tedesca sulla spalla. Sull'altra spalla ha la toppa di un orsetto: l'ha cucita lei. L'orsetto ha gli occhi celesti e molto grandi. Lui guarda l'orsetto, i margini imprecisi della toppa, e si gratta la testa. Lei vorrebbe baciarlo e stringerlo a sé: però non vuole che lui le tolga di nuovo il giacchetto e le frughi sotto il maglione. Le piace quando lui lo fa, ma ora desidera solo baciarlo. Lei si gira verso di lui: sta ancora esaminando l'orso, chissà a che pensa. Io lo so, perché sono il narratore onnisciente, ma in questo caso sono riflessioni troppo nebulose e troppo personali perché le si riporti. Lei non lo sa; vede soltanto che lui è distratto e tenero e ne approfitta, gli è addosso con tutto il suo peso e i suoi pensieri e lo stringe. Lui ha un braccio bloccato contro lo schienale della panchina; con l'altro afferra ciocche di capelli scuri di lei e glieli piazza dietro l'orecchio. A lui piace la precisione. Lei avvicina il suo viso a quello di lui. I loro nasi infreddoliti, perché i nasi non sentono l'amore come il resto del corpo, quasi si toccano. Si baciano. Lei ha sempre le labbra morbide; lui ovviamente sente le proprie tutte screpolate dal freddo. Si vergogna un pochettino, poi s'indigna con se stesso per essersi vergognato per una cosa del genere. Mentre lui rincorre queste sciocchezze, lei ha un tremito. Lui se ne accorge, la fissa, l'accarezza. Lei stacca le labbra da quelle di lui e gli sorride, ma non smette di tremare. Lui le infila una mano dentro il giacchetto, attraverso la cerniera abbassata, di nuovo cerca i suoi seni. Stavolta lei non dice nulla. Sono così, quando davanti a loro appare una coppia anziana, che passeggia e scricchiola sull'erba ancora un po' brinata. La donna lancia uno sguardo severo ai due ragazzi: lei abbassa gli occhi, lui mantiene i suoi sull'anziana, mentre sposta lentamente la mano sui fianchi di lei. Poi, bruscamente, le dita di lui si insinuano in quelle confuse di lei. Lei porta dei guanti blu. Lui ha le mani nude e bianche, e stringe forte la mano della sua donna. Il vecchietto li guarda: è asciutto e ha gli occhi chiari, forse pensa che quel ragazzo somiglia a ciò che lui è stato. Il vecchietto non lancia sguardi particolari, continua a camminare appoggiandosi su un bastone vecchio e consumato come lui. La coppia se ne va. I due ragazzi guardano le proprie mani intrecciate, poi lui si riscuote e allaccia il giacchetto di lei. Se ne vanno anche loro, senza sciogliere il loro nodo. Il cielo è basso e grigio chiaro, quand'è così la notte arriva senza dirlo a nessuno.

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19 dicembre 2006

La spigolatrice di Hollywood, CA

Presumo che tutti più o meno abbiano presente la battaglia delle Termopili. Se invece vi serve una rinfrescatina e non avete voglia di andare a guardare il link o vi siete convinti che il portoghese non si capisce, il che non è affatto vero, vi faccio un breve riassunto: nel 480 a. C., per lavare l'onta della sconfitta di Maratona e perché è del tutto normale che un Impero compia atti imperialistici, l'esercito persiano guidato dallo stesso imperatore Serse scende in Grecia con l'obiettivo di sottometterla. Al passo delle Termopili, stretto tra il mare e i picchi scoscesi, poche migliaia di opliti greci, del resto più che sufficienti date le caratteristiche del terreno, affrontano l'infinita schiera asiatica e la immobilizzano per giorni. Solo il tradimento di Efialte, secondo la tradizione, consente ai persiani di trovare un passaggio alternativo e di minacciare così d'accerchiamento i greci. Per permettere lo sganciamento dei più, rimangono e muoiono sul posto i trecento Spartiati guidati da uno dei re, Leonida, e l'intero contingente fornito dalla città di Tespia, settecento poveri eroi che non si ricorda mai nessuno. Il sacrificio dei lacedemoni e dei tespiani alle Termopili, pur sconfitto, salva la Grecia: dà il tempo agli Ateniesi di evacuare la città, toglie di mezzo qualche decina di migliaia di invasori, soprattutto dimostra ancora una volta che, combattendo alla greca, ci sono ottime possibilità di battere l'esercito persiano. Fin qui la storia; il mito che origina in seguito dall'eroismo degli spartani lo conoscono tutti. Lungo più di duemila anni, non si sono contati gli attestati di ammirazione e le citazioni riservati alle Termopili. Che io sappia, però, nulla di particolarmente pacchiano. Oggi poi la Grecia è di nuovo libera, anche se certo ha poco a che vedere con quella che difesero 2500 anni fa; di conseguenza gli opliti caduti possono dormire tranquilli il loro sonno senza sogni. Nessuno verrà a disturbarli.

Almeno fino ad oggi, almeno fino ad oggi. In effetti, ad Hollywood stanno preparando un film sulla battaglia delle Termopili. Ovviamente, si chiama 300 (non so che ne pensi il consiglio comunale di Tespia) ed uscirà l'anno prossimo nelle sale. Mi rendo conto di non aver visto nessuno spezzone del girato; mi rendo conto di non aver letto la sceneggiatura; mi rendo conto di non sapere nulla di nulla sul film in questione. La mia è quindi una critica del tutto preconcetta. Tuttavia, il solo pensiero di un film di Hollywood che abbia come tema "una battaglia dell'antichità classica" mi agghiaccia e mi raccapriccia. Ho paura che ad un certo punto tra i trecento salti fuori anche Carlo Pisacane, ho paura di sentire dialoghi come questo:
Spartano alfa (biondo, capelli a spazzola, tatuaggio tribale. Si terge il sudore con uno strigile marcato Maui):E' dura là fuori, eh Fidippide?
Spartano beta (negro):E' un fottuto inferno, Joe, volevo dire: Alcmeone. E' peggio che nella fottuta Messenia.
alfa:Già, hai ragione, Fidy...
beta:Credi che rivedremo le nostre ragazze, giù a Sparta? Credi che potremo correr loro incontro nel vialetto, abbracciarle strette, portarle fuori, lontano da questa merda?
alfa (sorride amaramente):Non rivedremo mai più nessuna donna, da' retta a me. Però dobbiamo rimanere qui, fino all'ultimo, non regalare un metro a quei figli di puttana.
beta:Perché? Per chi dobbiamo farlo?
alfa (raddrizza il viso, lo sguardo è limpido; in sottofondo, musica possente):Perché un domani qualcuno possa tornare al proprio vialetto e alla propria donna senza timore, per i nostri figli che dovranno essere fieri di noi, perché noi siamo Sparta... Soprattutto, per la LIBERTA'®.

Ecco. Ora, cari americani, perché dovete fare sempre così? Dite un po', vi risulta ad esempio che io scriva trattati su come ci sente bene a titillarsi il clitoride? No, non lo faccio. E sapete perché? Perché sono un uomo, il clitoride non ce l'ho. Mi sembra che abbia senso. Allora perché voi vi ostinate a girare film storici? Io non ho un clitoride, voi non avete una storia. Per come la vedo io, è meglio che teniamo tutti le mani a posto.

Aggiunta dell'ultimora: ho visto il trailer del film (disponibile al sito sopra indicato, nel menu "Media"): c'è di che essere assai preoccupati. A parte il fatto che c'è ancora una volta un negro incongruente, che funge se non ho capito male da ambasciatore persiano inviato a Sparta per richiederne la resa (o forse hanno ragione loro e mi sbaglio io. Sì, indubbiamente gli iraniani sono un popolo di colore, come dimostra il link), a parte questo mi pare che siamo di fronte ad una pagliacciata di proporzioni epocali. Per me la Grecia, sdegnata, dichiara guerra agli USA.

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17 dicembre 2006

I cani non sono mai stati di sinistra

Sono stanco e devo andare a dormire. Però ho pensato che se le scrivo qui, poi le cose non me le scordo (perché ho partorito delle interessanti riflessioni, oggi). Prima di tutto la cosa del titolo. Chi ha stabilito l'equazione? Poi quella cosa, di quelli che fanno i simpatici e gli ironici, ma in realtà io non te le voglio dare: vai via o no? Infine, faccio un nodo al fazzoletto, devo uccidere tutti gli autori di teatro dialettale. Dovremmo esserci. W l'Ecuador.

15 dicembre 2006

Alza le pensioni, Romano

L'avete vista anche voi la pubblicità della Tim. Certo che l'avete vista: la mandano sedicimila volte al giorno. Eppure ogni volta fa schifo come la prima volta! Ma non volevo parlare di questo. Avete notato chi compare in quella pubblicità? A parte il figlio degenere di uno dei maggiori registi della storia del cinema, c'è un'anziana attrice italiana, molto nota sia nel nostro Paese che all'estero.
Per cui quello che ci chiediamo tutti è: Sofia, era proprio necessario prender parte a questa pagliacciata? Smettila, Sofia. Lo sappiamo che voi anziani avete delle necessità: la badante, i regali per i nipotini, il caviale, la bamba. Con i 600 euro al massimo che le spediscono da Roma, che deve fare questa poveraccia? Ma noi siamo con te, Sofia: vogliamo difendere la tua dignità di artista e insieme il tuo tenore di vita. Perciò, abbiamo deciso di lanciare questa campagna.

Per te, sono pochi spiccioli... Ma per un anziano avido, fanno la differenza. Pensaci.


Nun fe' i migragnosi: De' do euri a un bisognoso


Spedite la vostra monetina in busta chiusa a FAAAAA (Fondazione Anconetana Aiuto Agli Anziani Avidi), via dei Cani Ululanti 16-18, 60100, Ancona, o portateli alla sede provinciale più vicina a voi. Per ora gli uffici della FAAAAA sono presenti a Lecco, Nuoro, Monopoli (nonostante non faccia provincia), Vibo Valentia e Trapani. Entro un paio di giorni-un mese al massimo apriranno ovunque, dato il valore dell'iniziativa e il gran cuore degli italiani.

Mi raccomando: contiamo su di te.

Sì, te. Fai poco lo sgarzellotto, ti ho visto.

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14 dicembre 2006

La ricetta della settimana

Il piatto che ci viene proposto questa volta si basa su ingredienti assolutamente diffusi e ritrovabili quasi in ogni mercato, piazza, bar della nostra bella penisola; purtroppo si trovano sempre più spesso anche nella redazioni dei giornali, nelle televisioni, a Montecitorio e negli altri luoghi dove si governa e si decide. Ci servono dunque:

-un fatto di cronaca particolarmente efferato;
-un immigrato (se lo trovate islamico è meglio, il tutto sarà più saporito);
-forze dell'ordine incapaci sia di prevenire che di indagare, ma in compenso arroganti e prevenute;
-una volontà preconcetta di attaccare i provvedimenti dell'esecutivo afferrando con forza anche il più lurido e doloroso degli appigli;
-una classe politica priva di responsabilità, coerenza, senso del limite e, soprattutto, di vergogna;
-un'informazione pigra e asservita.

Per prima cosa si prenda il fatto di cronaca e lo si sminuzzi ben bene, portando alla luce i particolari più truculenti e pietosi. Al centro, dove c'è più sangue e più malessere, si metta in bella vista l'immigrato (prendete esempio dal Corriere della Sera, chiamatelo "marocchino", ché fa più figura). Tutt'intorno, che formino la crosta, ma stando bene attenti che non interferiscano troppo a fondo con il delitto, ponete una decorazione di sbirri incompetenti in pan di spagna; mescolate il delitto, finché gli schizzi non hanno sommerso l'immigrato (che però dev'essere sempre visibile e restare al centro della scena). A questo punto chiamate politici ed opinionisti, elzeviristi e grandi conoscitori della società italiana, che vomitino bile, fiele e pregiudizi sull'insieme. Presentate il tutto contornato di titolacci a caratteri di scatola, preferibilmente falsi e tendenziosi, e servite urlando la vostra indignazione (non già di cittadini; bensì di italiani).
Quello che vien fuori, anche da cucine prestigiose come quelle della Reuters, è una roba del genere. Ovviamente, si tratta di un pasticcio indigeribile, che non si potrà far altro che rimandare indietro con sdegno. Ma solo qualche anno fa un intruglio simile di paura, malafede ed ignoranza non ce l'avrebbero neanche presentato, se ci riflettete un attimo: vedrete che dovrà passare del tempo, forse, ma ci abitueremo a mandar giù anche di peggio.

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11 dicembre 2006

L'amore unge

Penso che tutti voi lì fuori siate preoccupati e allarmati quanto me per lo spaventoso rilievo sociale che sta assumendo il fenomeno dell'anoressia. Sempre più il modello di riferimento cui milioni di ragazze si richiamano è quello di una femminilità mascolina, senza curve, di una magrezza allucinante. Ciò non va bene per due ragioni, l'una obiettiva e l'altra considerata dal punto di vista maschile:
1)perché l'anoressia non è uno scherzetto, è una malattia grave, di cui si può anche morire, ma che in ogni caso porta con sé dei disturbi non da poco;
2)perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, nessuno vuole una donna che quando la chiavi cigola.
Che fare, dunque, come avrebbe detto il compagno Lenin (rest in peace muthafucka)? La soluzione secondo me è una sola: incentivare il consumo di cibi grassi. Con le vostre compagne, figlie, con le sconosciute che approcciate in discoteca, in treno o negli altri luoghi in cui si va per convincere delle donne a donare la loro più umida e squisita femminilità, siate cortesi ma fermi: donna, tu devi mangiare il grasso del prosciutto. Vuoi fare l'amore con me? Mangia prima questa pa' onta. E che la salvia goccioli aceto, diomadònna, non siamo mica a Uomini e Donne. Vuoi che ti accompagni a fare spese? Lo faccio con piacere, se prima ti togli i vestiti e ti spari un etto di gorgonzola dolce con fare lascivo. Ti servono gli appunti del corso per fare un esame all'università? Io i miei li ho ancora, sono fatti bene e costano solo due Thüringer con senape. Non un passo indietro, compagni: per il bene delle nostre sorelline (in senso lato) non c'è soppressato che sia di troppo. Accettate questo lardo di Colonnata e questo amore, stupende compagne delle nostre vite, che adornate con la vostra sola esistenza il nostro triste piattume di maschi. Soprattutto non date retta a chi vi vuole magre e infelici. Ricordate che la proporzione vera è questa: floridezza:eterosessualità=ossigeno:vita sulla terra. Senza l'una, l'altra cosa non può esistere.


Nella foto, uno dei sostenitori della superiorità delle donne troppo magre o scheletriche mentre si gode il bel mare di Capocolonna.
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Sia chiaro

Come forse avrete notato, questo blog è stato condotto alla versione "beta" di blogger, un raffinato avanzamento della tecnologia che d'ora in poi mi consentirà di utilizzare nei post raffinate funzioni di scrittura quali i punti interrogativi, le umlaut, la doppia v (w). Inoltre, è stato implementato nel sistema di blogger un 60% in più di sarcasmo, che già sta dando i suoi frutti sotto i miei eleganti polpastrelli da pianista. Poi, ci sarebbe anche la possibilità di aggiungere le categorie: ma siccome io, aggirando l'ostacolo, le avevo già messe, non utilizzerò al momento questa interessante aggiunta che mi costringerebbe a ritoccare tutti i post scritti da luglio ad oggi (e per chi cazzo mi prendete?). Quando avrò voglia lo farò. Non c'è dunque bisogno che mi si pungoli con degli stecchi appuntiti. Sono già perfettamente conscio di essere ciò che mi state rimproverando: un imbranato privo di voglia di lavorare.

Vi voglio bene anch'io.

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08 dicembre 2006

Vagamente psichedelica

Ero lì che facevo sacrifici al traffico, quando suonò il campanello. Immediatamente Pallino sbavò sul tappeto. E' l'ultima volta che gli tengo il cane quando Pavlov va fuori per il fine settimana, giuro. Per farla breve, anche per evitare una nuova scampanellata con annessa nuova (abbondante) salivazione, mi precipitai ad aprire. Non c'era nessuno. In compenso avevano lasciato un pacchetto davanti all'uscio. Mi attenni come sempre alle rigorose disposizioni di sicurezza che consentono, in quest'epoca di terrorismo, di continuare a vivere senza soccombere alla paura, mantenendo d'altra parte le giuste precauzioni: tirai fuori la mazza da hockey su pista e cominciai a tempestare di colpi il pacchetto, per intimidire eventuali ordigni esplosivi o triturare a dovere e rendere inoffensivo il virus dell'antrace. Per fortuna non mi regalano mai piccoli animali! Neanche mi hanno mai spedito Baricco, però. In ogni caso, portai a termine la procedura e poi aprii con prudenza la busta gialla: dentro c'era solo una sciarpa degli ultras della Vigor Senigallia, accompagnata da un bigliettino. "Okkio al kranio", vi si leggeva in bella ed elegante grafia ottocentesca. Molto stupito, alzai gli occhi e mi trovai dinanzi, come sbucati dal nulla, quattro loschi figuri ed una leggiadra donzella. L'insieme non mi giungeva nuovo, ma sulle prime non collegai. Ad ogni modo, quello con la mazza da baseball e la faccia pittata di bianco e giallo lo identificai immediatamente. D'altronde era evidente, oggi è l'8 dicembre. Mi avvicinai a lui e gli baciai devotamente i Doc Martens.
"Santità, accogliete il mio umile omaggio". Avevo riconosciuto subito il mio illustre quasi-concittadino Giovanni Mastai Ferretti, più noto con lo street-name di Pio IX.
"Alzati, figliolo", fece lui, con una voce ferma e autorevole che poteva appartenere solo ad un discendente di nobile e di guerrieri.
Di nuovo in piedi, mi misi a studiare gli altri quattro. Anche i loro volti dovevo averli già visti da qualche parte: forse in un documentario su gruppi musicali italiani che fanno musica sottilmente ma apertamente commerciale e millantano nei propri testi di conoscere la realtà dell'alienazione metropolitana e addirittura di aver familiarità con il crimine, pur provenendo da uno dei luoghi più rurali ed idilliaci del mondo, cioè la provincia di Siena?
Esatto.
"Salve, membri dei Baustelle", li salutai affettuosamente.
"Bona!", risposero essi con fare gentile.
Mi rivolsi dunque al capo del drappello, nonché ex rappresentante della maestà della Chiesa di Dio sulla terra.
"Che cosa la spinge qui, Santità?".
"Mio buon figliolo, tu sai bene che giorno è oggi e cosa esso rappresenta per me: voglio dire, questa cosa l'ho decisa io...".
"Non aggiunga altro, Santità: la comprendo benissimo".
"E tu conosci anche il significato di questa festa?".
"Santità", mi impuntai quasi, "Lei mi offende: ho ricevuto il sacro crisma della Cresima dal buon vescovo di Senigallia, afferro e condivido gli obblighi e i dogmi di ogni buon cattolico".
"Mio diletto figliolo!". Il viso, già risplendente di giglio e oro, si illuminava vieppiù. "Proprio per questo motivo siamo venuti da te! Ci servono la fede di un miseno e le sue braccia lunghe, per pestare a dovere chi ignora o fraintende il senso di questo santo giorno".
"Quindi ora andiamo in giro, domandiamo alla gente se sanno che cos'è l'Immacolata Concezione e spacchiamo la faccia a quelli che sbagliano?".
"Sì!".
"Non mi pare democratico, in tutta sincerità".
"Ma pienamente cattolico, mio buon figliolo".
Non faceva una piega, messa così. Ma a me non andava di arrogarmi il diritto di esercitare violenza sui miei simili. Tanto meno volevo che mi si vedesse in giro con i Baustelle. Poi le voci corrono, si sa come funziona. Perciò li interrogai:
"E voi perché siete qui, ragazzi?".
Rispose il più impostato dei quattro:
"In tutta sincerità, vogliamo fare un po' di pratica di ultraviolenza per trasportarla in musica nel nostro prossimo lavoro. Non vogliamo che si pensi che siamo vuoti e artificiosi e trattiamo temi che non conosciamo affatto".
"State pure tranquilli", volli rassicurarli, "lo pensano tutti già da tempo".
"Grazie, ma ci servono davvero delle idee. Fin adesso abbiamo pronti due brani: uno sul vino rosso adulterato che ha condotto mio zio Vanni al suicidio, il secondo sullo smog che attanaglia le grandi città, mentre nel Chianti si sta così bene".
"Direi che siete già a buon punto, complimenti".
Intanto Mastai Ferretti scalpitava:
"Allora, andiamo o no a fpaccare qualche tefta di mifcredente?", proruppe in una domanda rivolta più a se stesso, mentre giocherellava con la mazza. L'aria di casa gli faceva bene: già parlava come Fabri Fibra. Dovevo giocare con attenzione le mie carte.
"Santità, non vengo certo a insegnarle il mestiere: ma non peccherebbe di omissione se non verificasse prima se anche i nostri compagni di spedizione sono ferrati a dovere sul dogma da lei stabilito?". Se i miei calcoli erano giusti, sessanta anni di comunisti al governo a Montepulciano avrebbero prodotto l'effetto desiderato.
Pio IX rifletté e stava per aprire bocca, quando si intromise il tono sicuro e altisonante del solito Baustelliano:
"Ma certo che sappiamo cos'è l'Immacolata Concezione, siamo gente di cultura, noi: vuol dire che la Madonna non ha mai chiav-".
Non poté finire la frase, che già le ossa crepitavano spezzandosi sotto una gragnuola di colpi. Io rientrai in casa a prendere il cane di Pavlov, ché venisse a sbavare al parco, se proprio doveva. Uscendo osservai di sfuggita il pestaggio: se fossero sopravvissuti, i Baustelle sarebbero stati sicuramente in grado di produrre un album denso di contenuti e di esperienze. Andando per la mia strada, canticchiavo sereno.
La guerra era davvero finita, almeno per me.

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07 dicembre 2006

Giorni di fiaba

Oggi non avevamo nulla di particolare da fare, così abbiamo preso Vladimir Propp e l'abbiamo catapultato nella realtà quotidiana. Per cui i personaggi della fiaba di oggi sono: appunto Vladimir Propp (V), un Tapino qualsivoglia (Tq), la Donna del tapino (Ddt). Ma passiamo alla favola. Tra l'altro le sigle neanche le useremo, ma ormai le abbiamo messe. Leggiamo 'sta cacchio di storia, va'.

C'era tanto tanto tempo fa, potremmo dire a Mondavio (PU) ma non lo diciamo perché nelle fiabe l'ambientazione dev'essere vaga e mai specificata, un tipo che chiameremo Giovannino lo Scemo [in questa fiaba, eroe. Nella vita, un testa di cazzo come tanti altri], benché in effetti si chiami Mauro Fanesi. Un bel giorno i primi raggi del solicello entravano nella sua stanzetta, quando Giovannino stirandosi e bestemmiando si avvicinò all'armadio per prenderne i vestiti.
"Chi madonna è!", urlò aprendo le ante di legno. Dentro l'armadio c'era un signore distinto con gli occhiali.
"Salve, fratellino! Sono Vladimir Propp [aiutante]".
"(A parte chi cazzo sei), chi t'ha fatto entrare?".
"Non lo so". Il linguista sgranò gli occhi chiari. "C'è di mezzo un blog, credo, ma io sono morto nel 1970, non è che me intenda tanto. Ce l'hai un soldino, fratellino? Non mangio da un sacco di tempo".
"Non ho capito un cacchio, però vieni al bar con me, tanto neanche mi fa pagare".
Uscirono in strada e si misero in marcia di buona lena. Cammina cammina, giunsero alle porte della città. Giovannino e Vladimir Propp entrarono nel baretto. Subito apparve ai loro occhi una donna di una bellezza tale che non si può dire né raccontare: era Maria, la figlia dell'oste [principessa]. Giovannino non fa in tempo ad ordinare: subito ella gli porge le tazze, la vodka e l'idromele. Un banchetto come non si era visto né sentito! Giovannino si bagna i baffi; subito Maria gli porge un fazzoletto. Finisce un pasticcino; ne appaiono altri due! Propp e Giovannino mangiarono a sazietà. Il resto dei clienti mormora e borbotta; l'oste non apprezza quel giovanotto impettito, ma a sua figlia piace: Bisognerà rassegnarsi!, pensa tra sé Arduino Schiavoni [padre della principessa]!
Ma il diavoletto ci mise lo zampino: al bancone del bar c'è Ivano Pandolfi [anti-eroe], che è innamorato di Maria; ma lei ha occhi solo per Giovannino. Da un po' va pensando a come staccarli. Ora gli è venuta l'idea! Guarda l'oste e capisce al volo i suoi pensieri. Si fa più vicino e gli domanda:
"Che ti angustia, Arduino? Non hai una bella cera, parola mia!".
"Chel testa de cas me s'magna nigo'*!", risponde l'oste, mentre accenna col volto a Giovannino.
"Per adesso, è poco male: si papperà i tuoi tramezzini, al più. Ma se sposa Maria, ti mangerà la casa!".
Il barista annuì gravemente. Pandolfi vide che il discorso era andato a segno; volle continuare:
"Se invece lo mandi via ora, tua figlia piangerà un po'; ma poi troverà uno migliore, che abbia rispetto per il tuo lavoro e venga nella tua famiglia per aggiungere, non per togliere".
Schiavoni era lento a capire, ma una volta capito agiva subito: non se lo fa dire due volte, prende Giovannino per le bretelle e lo lancia fuori dal locale, con la bocca ancora sporca di marmellata di more [sequenza 1 dello schema di Propp: l'allontanamento]; Propp fa appena in tempo a prendere un krapfen e ad evitare una pedata.
Così Giovannino si ritrovò in strada, sbigottito. Schiavoni stava sulla porta, e li minacciava:
"S'arveni' chi, te e st'altro ciambott', ve dag' tante de cle sberle che n've ne fe' n'idea!**" [sequenza 2: divieto].
Dentro il bar, intanto, il perfido Pandolfi festeggiava ordinando un camparino. Maria gli avrebbe riempito il bicchiere di fiele, avesse potuto; invece si limitò a sputarci dentro.
La sera, Giovannino si introdusse di soppiatto in camera di Maria [3: infrazione], dove anche col caldo ardeva sempre il focherello (quello di Maria stessa, in mancanza d'altro). I due giovani si scaldarono un po'. Rimasero poi a guardarsi negli occhi scuri come fanno gli innamorati, quando sulla finestra si posa il nero corvaccio; l'ha mandato il malvagio Pandolfi, che era mago e incantatore e aveva anche la patente della provincia per andare a cercare i funghi [4: investigazione]. Corvo Corvaccio vede la scena e vola da Pandolfi; bussa col becco alla finestra.
"Sei tu, Corvo?".
"Son io".
"Hai visto qualcosa?".
"Ho visto tutto, padroncino". E Corvaccio si mise a raccontare per filo e per segno [5: delazione]. Subito il tristo Pandolfi va dall'oste, gli racconta tutto. Com'è come non è, uno prende lo schioppo, l'altro afferra un bastone, sono già alla porta della stanza di Maria. L'oste bussa due colpi robusti:
"Apri, figlia! Il bastoncino è ansioso di pestare, lo schioppo vuole sparare, stavolta Giovannino non se la può svignare!".
La ragazza non sa che fare: la finestra è troppo alta, altre porte non ce ne sono! Ma esce Propp da un cantuccio:
"Presto!", dice a Giovannino, "metti questa grisaglia, prendi questa copia di Morfologia della fiaba [14: conseguimento del mezzo magico]. Vestiti da studiosi non ci riconosceranno".
"Ma tu eri qui anche prima?".
"Bando alle ciance, vèstiti".
Intanto l'oste bussa altre due volte:
"Apri, Maria, dacci Giovannino! Abbiamo portato il pane e il sale per accoglierlo in casa".
"Padre, entrate pure, ma Giovannino non è qui!".
Che storia era mai quella? L'oste e il pessimo Pandolfi entrano nella stanzetta, ma di Giovannino non c'è traccia: ci sono solo due insigni linguisti della scuola di Leningrado. Pandolfi si gratta la testa: eppure Corvaccio gli aveva giurato di averlo visto lì! Vorrà dire che gli avrebbe tirato il collo, all'uccellaccio mentitore.
Grazie al trucco di Propp, per quella volta i due la passarono liscia; però il giorno dopo tocca loro di andare a fare colazione in un altro bar [15: trasferimento dell'eroe]. Giovannino se ne sta lì mogio mogio, con i gomiti sul bancone. Pensa alla sua Maria, quando il barista maldestro gli rovescia addosso un cappuccino bollente [17: marchiatura dell'eroe]. Giovannino imprecò e imprecò fino ad addensare l'aria, poi si rivolse all'oste e gli disse:
"E sta' più attento, ortodosso! Oddio, poco male, facciamo che per oggi non ti pago e finisce qui".
E si rimise in tasca gli spiccioli che aveva già in mano. Poi si girò verso Propp, col viso triste.
"Che ti angustia, fratellino?", domanda questi, la bocca piena di mollica e maionese.
"La vedo nera! Il padre di Maria ha detto che se non comincio a portare a casa qualche soldino non potrò più rivedere la mia bella; già Pandolfi la insidia con le sue arti magiche".
"E non puoi trovarti un lavoro, invece di ciondolare tutto il giorno [25: all'eroe è imposto un compito difficile]?".
"La fai facile, tu: sono nato con le braccia stanche, lavori pesanti non posso farne, per stare seduto e guadagnare mi chiedono un curriculum: e io non ho mai fatto un cazzo tutta la vita, non so proprio che dovrei scriverci!".
Propp lo benedisse e sorrise.
"E' tutto qui il problema, fratellino? Ci penso io: modestamente, di fiabe me ne intendo".
Propp si mise subito al lavoro. Scelse le parole migliori, quelle dolci che sollucherassero e quelle fatate che convincessero i lettori. Tempo un giorno e sono già in fila alle poste; passa una settimana, e Giovannino si reca trionfante al bar di Schiavoni. Quello lo affronta sulla porta, lo sguardo truce, in mano una scopa di saggina:
"Co' voi?".
"Babbo, babbino, mi hanno assunto da Bikkembergs [26: esecuzione del compito]. 2500 euro al mese, buone prospettive di carriera, e non fo nulla dalla mattina alla sera! Solo cerchi dove ci sono già le righe e righe dove già c'erano i cerchi".
L'oste si illuminò.
"Llo' bocca, fiol', co' spetti?***". Poi si rivolse al nero Pandolfi, che era allungato su uno sgabello per ghermire uno sguardo a Maria:"E te si bruto come un mort', n'te se pol propio vede. Va' fora, camina, senò te dag i casot' a do a do finché en diventne dispari**** [30: punizione dell'antagonista]".
Così Giovannino da allora fu di nuovo il benvenuto nel bar e in casa di Maria; di Pandolfi non si sentì più parlare; Propp passava le sue giornate al belvedere, leggendo libri ponderosi, guardando le ragazze e mangiando kissel. Dopo poco organizzarono un matrimonio sontuoso [31: nozze dell'eroe]: la birra e l'idromele scorsero a fiumi, il mangiare era troppo per un esercito. Fui invitato anch'io, ma a Corinaldo ho sbagliato strada e quando sono arrivato avevano finito quasi tutto.
Chiarimento che a me sembrava superfluo ma invece pare che sia richiesto: ...e vissero felici e contenti.

*trad.: quello screanzato si mangia tutto.
**: doveste tornare qui, tu e quest'altro perdigiorno, vi do tanti di quegli schiaffi che non potete averne idea.
***: e allora entra, figliolo, che aspetti?.
****: e tu sei brutto come un morto, non ti si può guardare. Esci, veloce, sennò ti prendo a cazzotti a due a due finché non diventano dispari.

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06 dicembre 2006

Matrimonio d'interessi

Du schaust mich immer auf so eine Weise an,
dass ich genau all deine Gedanken lesen kann.
Darum weiß ich, was du mit mir machen willst,
dass du von mir ganz bestimmte Sachen willst.

(Mi guardi sempre in un modo tale che posso leggere esattamente i tuoi pensieri. Per cui so cosa vuoi fare con me, so che da me vuoi delle cose ben precise).
2raumwohnung, "Spiel mit".


Smettila di fissarmi così, gatto. Ti porto da mangiare solo quando avrai finito quello che hai nella ciotola. Smettila, ti ho detto.

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03 dicembre 2006

Riepilogo della settimana

Ieri hanno sfilato a Roma parecchie centinaia di migliaia di persone, convocate dai partiti del centrodestra. Era dal Gay Pride del 2000 che non si vedevano così tanti uomini di destra in strada. Una giovane promessa della politica italiana, Silvio Berlusconi, ha concluso la manifestazione attaccando duramente il regime del centrosinistra, che ha occupato ogni spazio istituzionale e soffoca l'espressione della libertà con il controllo assoluto dei media. Tra le altre emittenti, anche la più importante delle tre reti televisive nazionali appartenenti al politico lombardo ha garantito la copertura totale del corteo.
Ma passiamo alle cose serie: il generale fellone Augusto Pinochet, ex dittatore del Cile, ha avuto un infarto e sembra in punto di morte. Gli è stata anche data l'estrema unzione. I familiari sono comunque preoccupati per come verrà accolto l'anziano criminale nell'aldilà, perché, come hanno fatto sapere fonti ben informate, "Kissinger è ebreo ma Dio non è detto".
Cronache italiane: a Casarsa, in provincia di Pordenone, molti cittadini hanno protestato per la decisione del proprietario di un sexyshop di esporre in vetrina il Santo Presepe. Qualche giorno fa importanti gruppi commerciali erano stati minacciati di boicottaggio perché non vendevano il presepe. Da queste due notizie, secondo un comunicato emesso dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), si deduce che "gli italiani sono una massa di teste di cazzo dediti per lo più a rompere i coglioni, mentre la situazione sociale e morale si aggrava ogni giorno e i giovani precari, i lavoratori salariati e la maggioranza della popolazione lo prende nel culo". L'OMS ha anche chiesto scusa per il turpiloquio, ma non riuscivano proprio a trovare un sinonimo per "italiani".
Mario Scaramella, ex consulente della commissione parlamentare incaricata di sprecare denaro pubblico fabbricando in modo dilettantesco prove inverosimili per incastrare politici del centrosinistra, è in ospedale a Londra, per un sospetto avvelenamento radioattivo. Tuttavia è fuori pericolo, dato il tempo eccezionalmente rapido con cui si dimezzano gli isotopi di pastiera 212. Il suo legale ha annunciato che Scaramella farà dei nomi di perturbatori dell'ordine democratico: il principe di Metternich e Topo Gigio già tremano.
Infine, gli ultimi soldati italiani presenti in Iraq sono rientrati in Italia. Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha dichiarato, a questo proposito:"Non è stata un'occupazione, ma un aiuto ad un popolo alla ricerca di futuro". E allora perché li abbiamo ritirati? Che egoisti che siamo.

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01 dicembre 2006

Io, Chiara e lo scuro

Era un martedì come tanti altri a Roma, città che, per chi non lo sapesse, si trova nel Lazio e nel tempo libero funge anche da capitale d'Italia. Ero in giro con la mia amica Chiara, che è riccia riccia e davvero molto carina. Davanti Montecitorio dei gruppi di paranoici distribuivano volantini di denuncia contro la tortura invisibile; dall'altra parte della piazza alcuni stringevano la mano ai deputati dell'UDC, complimentandosi per la loro dirittura morale. Insomma, le solite stravaganze di una grande città che però ci sorprendono sempre, noi poveri provinciali. A Piazza Navona stavano iniziando a montare le bancarelle del mercatino, le quali, a dimostrazione dell'esattezza delle tesi di Giovan Battista Vico, ogni anno fanno più schifo*. Non ci resta che aspettare che un anno vendano direttamente merda fumante e poi si ricomincia da un mercatino passabile, per via che tornano gli dei e non permettono ai bancarellari di vendere cazzate. In più la fontana dei fiumi era pure sbarrata e in restauro. Pare che stiano aggiungendo la Dora Riparia, in calcestruzzo e guano. Così ci siamo seduti di fronte all'ambasciata del Brasile (tra l'altro prossimamente scriverò un post sulla bandiera del Brasile e le maglie delle sue squadre di calcio; oppure non lo farò, dipende anche dall'allineamento dei pianeti) ed abbiamo guardato uno/a che entrava; con un culo dell'apparenza del marmo e possenti polpacci, stretti in abiti strizzati che facevano supporre una tale consistenza anche sul davanti. Dopo la necessaria sosta in Campo dei Fiori a rendere omaggio a Bruno Giordano e al suo ottimo inizio di campionato con il Messina, ci siamo buttati nei vicoli e siamo usciti dalle parti di Torre Argentina. Lì un uomo scuro come un cioccolato finissimo ci ha fermati con gentilezza e mi ha messo in mano un elefante, che, com'è noto, porta fortuna se esposto con la proboscide verso la luce che entra dalle finestre. Io non avevo dove metterlo e l'ho riposto in una tasca del giubbino (un Lonsdale amaranto di cui già vi parlai). Il tipo ha detto che eravamo una bellacòppia e ci ha fatto mille complimenti. Io leggevo il libretto sulla cucina senegalese che l'uomo (aveva dei peli bianchi sul mento, come se ci avessero spolverato del cocco) voleva vendermi**; la ragazza diveniva sempre più rossa e in imbarazzo, mentre lui ci prendeva gusto a darci duemila consigli, tanto cortesi quanto non richiesti, su una situazione che non conosceva affatto. Gli ho dato qualche euro in più di quello che costavano i libretti che ho preso. Lui ha detto a lei che doveva sposarmi. L'ho salutato come si saluta un senegalese, a suo dire figlio di un marabù. Quei libricini di cucina africana sono molto interessanti, compratene ai vostri cari per Natale.

Ovviamente il giubbino che conteneva il leggerissimo e fragilissimo elefante è cascato dall'attaccapanni quasi immantinente: l'elefante si è rotto una gamba. La lunghissima proboscide è rimasta stranamente integra.

*Rimarchevoli in particolare gli spacciatori di dolciumi colorati, in specie di quei grossi lecca lecca ad infiniti cerchi concentrici, del colore che contraddistingue i più mortiferi tra tutti i gechi colorati della foresta pluviale. La circostanza che ogni cerchio rappresenti una festa del patrono di Fondi (LT), San Luperio vergine, indica al di là di ogni ragionevole dubbio la loro venerabile età.
**Ricorre spesso il baccalà nella cucina senegalese. Non l'avrei mai pensato.

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