28 aprile 2010

Superignavo

Il mondo è pieno di problemi ed ha bisogno di qualcuno che li affronti e possibilmente li risolva; ma non io. Io sono Superignavo e mi guardo la punta delle scarpe. Potrei allungarmi a prendere il giornale sulla sedia di fronte, ma non ne ho granché voglia.
La vita mi scorre intorno e io non me ne curo. Aspetto che faccia il suo corso, poi riprendo a sospirare, lamentando una situazione che è solo colpa mia; sono Superignavo, tali i miei poteri. Sono estenuato, non che faccia qualcosa, sono stanco dal clima di scontro e di eterna contrapposizione, anche se io non ne ho mai presa alcuna, di posizione. Scavo nella mia mente in cerca di idee e non ci trovo nulla. Setaccio quelle che una volta dovevano essere le mie opinioni e le trovo secche come piantine dimenticate sul davanzale. Se non avessi la mia superignavia il fatto mi spiacerebbe; così, invece, quasi me ne compiaccio. I miei poteri funzionano.
Tra A e B scelgo niente. Tra movimento e stasi preferisco la stasi; ma se la stasi mi porta a riflettere, esco a fare due passi. Il mondo è pieno di cani e godo alla loro vista. Tuttavia non ne prendo uno per non averne la responsabilità. I cani cacano; questo è bello da vedere, ma la merda pesa. Mi distraggo dai miei pensieri divagando futilmente, poi depisto le distrazioni inventandomi altre deviazioni; a nulla e nessuno concedo di restare troppo a lungo nella mia testa.
La sera, esausto da quel lavorio, mi butto sul letto e dormo. Non ricordo i sogni che faccio e credo sia una benedizione. La mattina mi sveglio e mi accingo a buttare via un altro giorno della mia vita; è un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.
A questo servono i supereroi.

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27 aprile 2010

Nuove novità

Ho scritto un nuovo pezzo per Lacrime di Borghetti. Lo trovate qui: Dove son finiti i friulani. Grazie per l'attenzione.

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26 aprile 2010

Dissacratemi sto cazzo (note sul 25 aprile)

Ieri salivo per una montagna famosa per i lutti e le glorie della guerra di Liberazione e delle rappresaglie, quando sorpassando un gruppetto di studenti ne ho udito uno che faceva una battuta sui partigiani, che però non ho sentito; gli altri del gruppo hanno espresso qualche perplessità, al che il tizio ha ribattuto che "bisognava dissacrare". Non avendo capito la battuta, non ho detto nulla al gruppetto e ho proseguito; solo più tardi mi sono reso conto che il problema non era la battuta sui partigiani, il problema era quel "bisogna dissacrare".
Invece no, bisogna semmai consacrare. Quello che unisce una comunità o un qualsiasi gruppo umano è una serie di riti e di occasioni sacre; è insomma il credere tutti in qualcosa, è l'avere rispetto per dei simboli, è il celebrare la memoria dei propri martiri. Il 25 aprile è per l'appunto un'occasione sacra, che fonda un'appartenenza; è aperta a tutti, e tutti vi possono credere. Ma se vi sentite troppo intelligenti o troppo unici per limitarvi a credere, allora ne siete fuori: non c'è spazio per distinguo o appartenenze marginali. Si crede o non si crede, e se si crede ci si comporta in maniera consequenziale. Già troppo e troppo a lungo si sono tollerati dissacrazioni e distinguo.
Il 25 aprile si deve stare come in chiesa. È una festa, senz'altro, una festa che ci hanno regalato: dobbiamo mantenerla integra e pulita, nel suo senso, nella sua storia, anche nella forma. È la festa della liberazione, non quella di una vaga libertà né tantomeno quella della licenza: per questo non dovrebbero essere permesse, e credo sia tempo di chiarirlo, cadute di stile e fughe né sostanziali né formali. Non è la festa dei bonghi, non è la festa della battuta arguta, non è la festa dell'attualità politica e non la si può dunque rivolgere contro nessuno (al limite, si deve semplicemente e chiaramente riaffermare che chi non ne condivide i valori e i riti ne è fuori); è un dono che ci è stato fatto, e richiede la celebrazione e la gioia ma anche il raccoglimento e il rispetto dei morti e dei vivi, delle loro storie, dei loro simboli. Non è in alcun modo la festa dei sandali o dei pantaloni a righe da straccioni, non è la festa della pizzica e non è la festa della faziosità settarie o dell'astio mal indirizzato.
Quello che è, quel che significa, lo si trova scritto sui libri di storia. C'è poi ancora tanta gente che può spiegarne il senso, nel caso. È un momento religioso, un momento sacro, che fonda una comunità. Libera scelta quella di aderirvi; ma se si vuole celebrarlo, che lo si celebri rispettandolo.

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19 aprile 2010

Il giorno del mio funerale

Tema: il mio funerale.

Svolgimento: il mio funerale è un giorno importante per me e mi piacerebbe che tutte le cose andassero bene. Prima di tutto voglio una chiesa bella e spaziosa, possibilmente gotica. Se non è possibile trovare una chiesa fatta così mi va bene anche un museo dell'aviazione: in quel caso vorrei che le eliche degli antichi aerei della prima guerra mondiale fossero fatte girare costantemente per provocare grande emozione e un effetto fortemente evocativo nei presenti e, più tardi, anche un fastidioso torcicollo per via dell'aria. Le donne che partecipano al mio funerale dovrebbero avere tutte i capelli lunghi e lisci, e alcune dovrebbero utilizzarli per pulire in terra come gesto di grande disperazione per la mia prematura dipartita; gli uomini viceversa manterranno un grande contegno e non piangeranno, se non discretamente, senza lamenti e senza che le lacrime si stacchino dagli occhi.
Al mio funerale non entreranno uomini con i capelli rossi, perché non mi sembra serio né appropriato presentarsi ad un funerale coi capelli rossi. Io vengo forse al vostro funerale vestito da pagliaccio? Allora voi tenete fuori i vostri capelli rossi. Le donne invece entrano senza problemi perché sono porche. È pur vero che per l'epoca sarò morto, ma sono cattolico e credo fermamente nella resurrezione della carne. E comunque un po' di fica non fa mai male.
Inoltre vorrei che al mio funerale partecipasse Berlusconi, per tenere alto il morale di tutti e per portare quella ventata di freschezza e ottimismo che mi pare sia il sale dei funerali. Se per allora Berlusconi sarà morto e indisponibile, gradirei fosse piazzato al centro della navata un Berlusconi di terracotta. I chierichetti dovrebbero poi fare il giro della chiesa tenendo in braccio il Berlusconi di terracotta; chi volesse contribuire con qualche offerta alle missioni in Congo o al restauro delle chiese romaniche nell'entroterra marchigiano potrà infilare una mano in bocca a Berlusconi e lasciar cadere il denaro nel suo ventre cavo. Alla fine della cerimonia il Berlusconi viene rotto e i soldi vengono consegnati all'abate. Se invece Berlusconi è ancora vivo, dopo l'allegro momento di esequie si va tutti a Senigallia a mangiare il fritto; l'attuale presidente del Consiglio, che probabilmente avrà la parte sinistra del corpo totalmente paralizzata, sarà libero di toccare il culo alle cameriere, ruotando sul lato buono come un compasso, e di instaurare così un clima di grande cordialità. Poi si recheranno tutti alla spiaggia e Berlusconi, indicando la Rotonda, rievocherà i tempi in cui lavorava lì, lui, Attilio Regolo, Zoran Ban e Yukio Mishima. E tutti guarderanno il mare e penseranno a me, morto e privo di frittura di pesce.
La mia bara non la vorrei troppo complessa. Assicuratevi soltanto che i chiodi non fuoriescano e non facciano male a nessuno, per il resto se la dipingete di colori allegri mi fate un piacere: suggerisco bianco rosso e blu, anche come omaggio ai popoli slavi e ai loro vessilli. Di fiori non ne voglio: sono morto, mica finocchio. Al limite potreste mettere una foto mia mentre sorreggo con le mani la Torre di Pisa, o una sciarpa della Vigor in segno di attaccamento al territorio. Infine mi piacerebbe che a portare la mia bara fossero dei nani del Sudest asiatico vestiti di sgargianti camicie di seta, così, tanto per fare casino; e se possibile dovrebbero anche improvvisare un balletto, breve e sobrio ma gradevole. E poi per concludere il tutto uno dovrebbe dire due paroline su di me, senza esagerare ma anche senza dimenticarsi che in fondo, il giorno del mio funerale, al centro della festa ci devo essere io: d'altra parte, in fondo, è un fastidio breve. Poi voi avrete tutto il tempo di andare a mangiare il pesce e io resterò lì, morto e vagamente infelice.

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17 aprile 2010

Io, sulle cose che faccio

Martedì 13, come molti sanno, ho partecipato ad un incontro-lezione presso l'università di Perugia (vedi immagine), in cui si è parlato del rapporto tra la Storia e il raccontare storie, in senso buono.


Quelli che appiccico anche qui, dato che non tutti hanno il mio contatto facebook (eppure potreste: è lì a destra) o hanno facebook (già questo me lo spiego di più), sono i miei spunti di riflessione sui temi di cui sapevo si sarebbe parlato. Mi interessa che li leggiate, perché per me sono importanti. Grazie per l'attenzione.

***

Motivi (personali e poetici) di elezione di una certa storia.

La mia esperienza personale e per così dire professionale, anche se non sono certo che lo storico sia una professione (e comunque nel dubbio non me la fanno fare) viene dal dottorato in Storia dell'Europa che ho frequentato a Roma tra 2005 e 2009, e prima ancora dal caso fortunato che mi ha fatto avvicinare alla vita di Ancona e del suo porto tra '500 e '600. Poi sicuramente c'è che sono affezionato e appartengo ad una certa storia e ad una certa comunità: sono marchigiano della provincia di Ancona, e nei primi documenti che ho sfogliato per la mia tesi, e anche in alcuni di quelli che ho utilizzato in questo libro, c'è la mia cittadina, la mia campagna, direi la mia comunità. Poi studiandoli ho compreso che anche altri territori dell'Adriatico erano e sono parte del mio bagaglio e, se non è una parola troppo abusata, della mia identità. Questa storia è la mia Storia, in qualche modo, e scriverla è stato in qualche modo anche una maniera di rendere omaggio a quello che sono o che sento di essere. Che poi di solito è la stessa cosa.

Il rapporto con il tempo, col passato.

La sensibilità e la passione per la storia mi appartengono da sempre. La ricordo come una delle mie prime passioni, una passione che non mi ha mai abbandonato. Si tratta dunque in larga parte di un qualcosa di istintivo, a volte perfino di un'ossessione. Poi oltretutto provengo da posti in cui la storia è evidente, non si può ignorarla. Non sono convinto dell'argomentazione secondo cui ricordare serve a non dimenticare e ad evitare gli errori del passato e così via; penso che per come è fatto l'uomo qualche errore lo commetterà sempre. Errare è umano, no? Anzi, credo che più o meno gli errori e anche i pregi dell'umanità siano sempre gli stessi, proprio perché l'umanità in fondo è sempre quella. Magari gli errori vecchi si ammantano di forme nuove, ma i peccati che li causano - la paura, l'arroganza, l'ingordigia, eccetera - sono e restano quelli. Penso allora che la storia la si debba studiare perché è giusto, perché è il motivo per cui siamo in una certa maniera e non in un'altra. La nostra storia ci ha reso quel che siamo, più o meno come succede con la biologia o con altre scienze; se vivessimo in una realtà a quattro dimensioni e non fossimo forme di vita a base carbonica, saremmo diversi. Allo stesso modo saremmo diversi se avessimo avuto un'altra storia: perciò credo sia fondamentale, per capirci, studiare il nostro percorso. Una società, o per meglio dire una comunità (mi piace molto il termine comunità, e il concetto che incarna) che non conoscano la propria storia le giudicherei come una persona che non conosce il proprio nome e va in giro senza documenti, non ha idea della propria famiglia e non sa nulla della propria professione. Diciamo che sarebbe difficile avere un'esistenza efficiente, ecco.

Il rapporto con il luogo della storia, il luogo nel presente e il luogo nel passato.

A mio modo di vedere, i luoghi sono e devono essere eterni. Nella percezione umana, perlomeno, perché ovviamente mutano con il tempo, ma hanno tempi diversi dai nostri. Ovviamente, i luoghi cambiano anche per intervento dell'uomo, e cambiano anche di molto: ma in questo caso quella che è cambiato è appunto la parte umana del luogo e della storia. Per il resto, il luogo in sé resta lo stesso. E penso che il luogo debba restare lo stesso, altrimenti non si può più parlare di storia: si parlerà di storie diverse, di società diverse, eccetera. Visto che ovviamente il tempo scorre, lo spazio dev'essere fermo perché possa esistere un'appartenenza e dunque lo studio della propria identità.
Su una nota stilistica, anche per non dover calcare troppo sull'elemento antropico del paesaggio (anche se questa forse è una scelta più che altro inconscia), tendo, più che a descrivere minuziosamente, a dare rapide pennellate, impressioni, dettagli slegati: mi piace pensare di star costruendo uno scenario in cui si muoveranno i miei personaggi. E oltretutto in questo caso mi pare evidente che lo scenario debba essere rispettoso della realtà storica. Quindi è bene non esagerare con le licenze.

Il rapporto con il documento.

Il documento è il legame che resta con una realtà passata, lontana, spesso frammentaria e difficile da ricostruire, ma comunque reale. Quindi credo che sia fondamentale, in qualsiasi direzione uno poi scelga legittimamente di muoversi, non tradirlo. Una ricostruzione di un passato storico non può essere basata su una falsificazione di quel passato, e penso che fin qui siamo tutti d'accordo. Ovviamente altra cosa è l'interpretazione del documento e anche l'immaginazione di quello che non dice, che si può fare ad esempio partendo dal tono delle parole del documento, dall'impressione che lascia. In questo senso il rapporto quasi fisico con il documento è fondamentale: bisogna provare ad entrarci dentro, ad immergersi in quello che si dice per capire quello che invece è taciuto. A quel punto comunque il risultato finale, un po' come il tempo, è galantuomo: una storia, ben scritta o ben narrata quanto si vuole, sarà credibile soltanto se poggia su interpretazioni credibili.

Il rapporto con la scrittura: quella che è esperienza di lettura e quella che è esperienza di elaborazione.

La scrittura è un sogno, una sensazione che si sprigiona quasi materialmente nel momento in cui incontri uno spunto valido, nel momento in cui fai nascere una storia; io quando scrivo vedo la storia che voglio narrare, e in parte - ovviamente con tutti i limiti razionali del caso. Non sono pazzo - la vivo. La scrittura è un modo di schierarsi a fianco dei propri personaggi, non necessariamente prendendo le loro parti, ma sempre cercando di capirli, di condividere il loro sentire. La scrittura storica, in particolare, ritengo sia un tentativo di rendere comprensibile il passato al presente, di far dialogare l'umanità passata con quella presente. Di dar voce ai morti, se vogliamo, ma senza retorica. Semplicemente perché non sono sempre stati morti; una volta erano vivi, e avevano delle cose da dire.

Il Mediterraneo: una riflessione su questa entità (solo geografica?).

“LʼAdriatico è forse la regione marittima più coerente. Da solo, e per analogia, pone tutti i problemi impliciti nello studio dellʼintero Mediterraneo”. Parole di Braudel. Io scrivo di Adriatico in un'epoca di conflitto e contrapposizione, e appunto l'Adriatico riassume questa contrapposizione che appartiene all'intero Mediterraneo. Oltretutto, si è anche in un'epoca di crisi, perché il Seicento decreta definitivamente quello che è già evidente all'epoca di Filippo II e della sconfitta dell'Invicibile Armada, cioè la marginalizzazione di tutto quel mare, dopo il fallimento del tentativo imperialistico spagnolo, che avrebbe forse portato oggi ad una sorta di globalizzazione cattolica, radicalmente diversa da quella anglo-protestante in cui ci troviamo a vivere. Io qui aggiungo peraltro un purtroppo. In ogni modo la crisi del Mediterraneo cattolico affossa anche quello musulmano, chiarendo che al di là degli scontri politici e religiosi a volte i destini geografici sono più forti e comuni. Si parla quindi di una guerra fra poveri, una guerra fra chi non è in grado di battere l'altro ed è sempre costretto a convivere: io non sono d'accordo con chi tratteggia la convivenza tra musulmani e cristiani nel Mediterraneo, magari per motivi politici o sociali contemporanei, come un esempio da imitare, o con tratti irenici che non appartengono alla realtà storica. La convivenza era una coesistenza forzata, dovuta alla debolezza comune. Questo non toglie che una coesistenza ci fosse, e che anche se entrambe le parti si strutturavano largamente anche in contrapposizione all'altro, comunque di fatto lo accettassero: anzi, l'esistenza stessa del nemico è fondamentale a creare la mia identità, credo che questo sia chiaro e già molte volte detto. Partendo da storie piccole e quotidiane, come ho voluto fare io, si coglie forse meglio la realtà della vita in quel mare, perché ci sono minori rischi di un pregiudizio che distorca l'interpretazione come quando si ha a che fare con guerre, trattati, eccetera. Io penso che per motivi proprio dovuti al suo sviluppo storico, alle vicinanze anche etniche di tante popolazioni, nonché alla geografia stessa, una certa unità del Mediterraneo sia sempre esistita. Solo che è una unità umana, non politica né storica, dunque come tale contraddittoria, limitata, piena di falle.

15 aprile 2010

Andate via

Per l'esattezza vi chiedo di fidarvi di me e seguirmi nel mio Viaggio calcistico-sentimentale nella Pianura Padana.
Qui, invece, parlano di me in una maniera che mi ha molto colpito e quasi commosso.

12 aprile 2010

Esempi di scorretta lettura della mano

La chiromanzia è una scienza seria, complessa, cui ci si deve avvicinare con attenzione. Nella mano di un uomo, che è collegata al braccio, al cuore, che tocca la punta del naso e gratta la testa, che stringe altre mani e accarezza persone, sfoglia giornali, batte tasti, fa partire missili, indica direzioni, oltre a un sacco di altre azioni che la rendono dunque un campo d'indagine interessantissimo e direi cruciale nello studio dell'uomo (e della donna. Ma le mani delle donne di solito sono più piccole e c'è meno da leggere), nella mano di un uomo, dicevamo, sono contenute talmente tante informazioni che non ci si può accostare alla chiromanzia come ad un passatempo qualsiasi o ad una disciplina di poco conto.
Se ad esempio è vero che nel palmo di una mano di un uomo si può leggere del suo destino finale tracciato in evidenti solchi, e sarà allora perfettamente logico che un chiromante capace, esaminando la mano di un uomo vi scorga il momento in cui la sua linea della vita si scontra con quella di Aldegani Mario, in quel momento transitante in macchina per un incrocio poco trafficato dalle parti di Stradella ("Qui la sua linea della vita si scontra con un'altra, vede?", dirà il chiromante puntando il suo dito sul solchetto, "Sì, lo vedo... Ma poi prosegue un po' deviata, non vede?", "Non è la sua, quella che prosegue", "...", "Cosa va a fare a Stradella? È per lavoro?", "Sì, mi capita di passarci per lavoro". Ma quest'ultima risposta sarà data pensando ad altro), è altrettanto vero che nessun chiromante con un concetto adeguato della propria dignità professionale sarà autorizzato a concludere da un semplice tremito nella mano stretta che quell'estremità frema d'amore e di desiderio per il suo tocco sapiente; e se questo particolare chiromante dovesse trarre dalla sua immotivata supposizione motivo per risalire l'arto tremante, ricoprendo di baci l'intera superficie del braccio, con l'intento neanche troppo segreto di giungere al cuore e alle morbidezze che lo ricoprono, ebbene in questo caso la persona esaminata avrà tutto il diritto di ritirare il proprio braccio, rimproverare il lettore, rifiutare altresì di pagare alcunché per la prestazione e lasciare sdegnosamente lo studio, mentre il chiromante cerca di intravedere qualche riga che in precedenza gli era sfuggita nella mano che ora lo rimprovera, e comincia a sospettare di averne frainteso il significato.
È pur vero che questo genere di preferenze personali, che in ogni caso appartengono almeno in parte al libero arbitrio di ognuno e non sono rintracciabili sulla pelle, si manifestano a volte con un tremore improvviso e con dei brividi strani, che percorrono vie segrete all'interno del corpo e riappaiono poi in superficie quando già se ne sentiva la mancanza; ma sono tremori diversi e diversi timori, e non hanno nulla a che fare con il semplice balbettio di una mano appartenente ad una donna che probabilmente consuma troppi caffè. Confondere questi due diversi tremolii è scorretto, prima di tutto, e inoltre non sempre vantaggioso; non crediate in effetti che interpretare come amore e dedizione la mania caffeinica di una donna possa arrecare benefici alla vostra vita sessuale e sentimentale.
Allo stesso modo, un chiromante non può assolutamente cacciare via una persona - che aveva già aperto alla lettura la propria mano - giudicandola malvagia e indegna d'esame per il futile motivo che la mano in questione sia grassoccia e sudata. A quest'uomo sarà allora lecito tornare accompagnato dai carabinieri, ed esigere grazie alla presenza dei militi che l'esame sia portato a termine in modo soddisfacente e che tutti i risultati vengano presentati con chiarezza e senza fretta; in quest'occasione, è già successo, diversi militari approfitteranno del ruolo e del momento per ostendere anche loro la mano e conoscere così il proprio destino.
Un solo carabiniere, il più curioso di tutti, terrà ostinatamente in tasca la mano guantata, volendo evitare che le linee, le quali sanno tutto, gli rovinino la sorpresa continua che è vivere ogni giorno.

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