22 dicembre 2009

Amnesie

"Si chiama Moulineaux? O Molineaux? Potrebbe essere persino Moulineux, ma è poco probabile". L'uomo a letto con la propria amante si scosse infastidito, mentre ammetteva a se stesso, con ammirevole onestà, che non sapeva più con certezza il nome dello stadio degli Wolverhampton Wanderers, più noti come Wolves. La donna si accorse del brivido di disagio sul corpo piuttosto robusto e tutto sommato asciutto del proprio amante (la condizione di amante è in effetti reciproca e, apostrofi a parte, rigidamente unisex), e gli chiese - in quel tono sbagliato che hanno le donne a letto - di che cosa si fosse trattato. L'uomo rispose che non era niente, e in effetti non era niente.
Gli Wolves sono universalmente famosi per la loro divisa color oro e anche per qualche altro motivo, che ora però non torna alla mente dell'uomo nudo e robusto, ma tutto sommato asciutto. Da ragazzo il corpo di lui era più magro, e poteva sembrare gracile; col tempo, e gradatamente, si era aggiunta della carne solida alla fibra nervosa e agile del ventenne. Questo, tuttavia, era accaduto in maniera lenta e perfino armonica, cosicché nessuno poteva onestamente affermare che l'uomo risultasse ingrassato o appesantito, perché quella nuova robustezza sembrava rientrare in un legittimo mutamento di età e di condizione; all'uomo, tuttavia, mancava la magrezza dei vent'anni.
A pensarci un attimo, molto probabilmente la fama degli Wolves, con la loro maglietta oro, è dovuta ad un'amichevole o ad una serie di amichevoli disputate negli anni Cinquanta, quando ancora gli incontri internazionali tra club non rientravano nella normalità. Forse, dato il periodo, una almeno delle amichevoli poteva aver coinvolto la Honvéd di Budapest, la più forte delle squadre di club nella nazione allora più forte d'Europa. La supposizione era più che plausibile, e confermava l'acutezza e la capacità di ragionamento dell'uomo; ma non lo soddisfaceva affatto, per il suo carattere di toppa nebulosa e in fondo arbitraria, posta a copertura di quella che era e restava una falla nel suo sistema di vaste e rassicuranti conoscenze. L'uomo ebbe d'improvviso l'impressione di non sapere più nulla, sospeso in quel letto bianco, e quella nuova consapevolezza lo atterrì.
Gli sfuggiva il senso di ciò che lo circondava, di quello che costituiva fino a pochi minuti prima un'entità perfettamente ragionevole e confortante: il letto bianco nella stanza altrettanto bianca, il corpo roseo che lo abbracciava con inquieta ignoranza di tutto, gli sembravano altrettanto assurdi e inspiegabili della divisa tanto impegnativa degli Wolves. Perché mai la squadra di Wolverhampton, una compagine in ogni caso piuttosto secondaria, se si dovessero catalogare le squadre di calcio in ordine di rilevanza, avrebbe dovuto sfoggiare una maglia del genere? Il color sangue sulla divise della Honvéd, quel rosso semplicemente disilluso, più ancora che retoricamente profetico di un destino che non fu deciso dalle stelle, gli pareva giusto e razionale: ma perché la squadra di Wolverhampton - città industriale o postindustriale da qualche parte al centro dell'Inghilterra, avrebbe sentenziato un'enciclopedia - dovrebbe giocare con le maglie color oro? In uno stadio con un nome francese, oltretutto?
Forse non era soltanto un momentaneo vuoto di memoria; forse d'improvviso il suo cervello aveva smesso di considerare come normali e legittime alcune costumanze che invece non erano tali. Questa donna, ad esempio, a che diritto faceva parte della sua vita? Ci era entrata senza parole, senza reclamare uno spazio particolare, un qualche giorno degli ultimi due anni. Quattro anni prima, l'uomo si era sposato, in una chiesetta di pietra dispersa per l'Italia centrale, con una donna conosciuta ed amata da poco; con lei aveva fatto due figli, per lei e per loro era stato ed era tuttora marito e padre premuroso e gentile, e nel corso degli anni nulla era cambiato in lui e nell'amore furioso e tangibile che portava alla sua famiglia.
Allo stesso modo, non era venuta meno, nel corso dei frequentissimi viaggi di lavoro, la sua abitudine di trovare una ragazza con cui parlare e, il più delle volte, con cui passare la notte o una piccola frazione del giorno, da qualche parte in un magazzino ricolmo di generi alimentari. Col tempo e col ripetersi dei viaggi, ad essere onesti, la varietà delle relazioni si era ridotta, ma non ne era cambiata la natura: per solite che fossero, le sua amanti gli restavano sconosciute ed estranee. Né questa abitudine aveva mai intralciato o oscurato l'amore di lui per la propria sposa, o avocato a sé una fetta soltanto del tempo e dell'attenzione che l'uomo riservava alla propria famiglia. Per quanto ciò possa sembrare strano o poco funzionale o addirittura disonesto a certi osservatori superficiali - che giudicano sulla base dei loro piccoli animi e della propria limitata capacità d'amare l'animo e l'amore altrui - quella era la consuetudine e la normalità della vita dell'uomo; allo stesso modo, ogni sabato che Dio dona alle gradinate degli stadi, calciatori mediocri continuano a vestire le loro incredibili magliette oro, disponendosi a mettere in pratica schemi carenti decisi da allenatori di scarsa competenza tattica e di limitata fantasia.
E tutto questo - le partite degli Wolves - avviene in un impianto con un nome francese; e, benché una simile successione di eventi sia effetti inspiegabile e irrazionale, succede ininterrotta da molti decenni. Pure, prima o poi accade che anche la più rodata normalità perda di significato o, peggio ancora, capita che qualcuno si fermi a domandarne il meccanismo; e, come chi si arresta su una scala a pioli, paralizzato e senza più memoria di come si potesse considerare banale quel movimento, così chi si ferma a chiedere ragione della propria vita è condannato, perché certe comprensioni non sono date agli uomini, i quali hanno soltanto il diritto di stupirsi e domandare; ma è un diritto gelido e penoso, che andrebbe esercitato con saggezza.
L'uomo nudo e robusto, che a guardarlo bene potrebbe avere il fisico di un calciatore, e in effetti per un paio d'anni è stato l'ala destra fantasiosa e veloce - ai tempi della sua massima magrezza - della squadretta di paese, in giro per campetti polverosi dell'Italia centrale, guarda il letto e l'amante con lo sguardo vuoto e impermeabile che prima o poi (tra un paio di giorni, o un anno) dovrà rivolgere anche alla moglie; poi si allontana e torna a vestirsi. Per qualche motivo, mentre si veste pensa ad un'ala destra degli Wolves, chiamata alla scatto da un passaggio lungo e ferma invece ad un passo dalla riga esterna, ad un metro dagli insulti dell'allenatore e in mezzo al mormorare del pubblico; e gli pare, mentre abbottona la camicia, di star buttando via l'immotivata maglietta oro e di dirigersi - insolentito e disapprovato, e forse mai più capace di tornare a giocare - negli spogliatoi di quell'assurdo stadio francese di cui non ricorda più il nome.

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15 dicembre 2009

Dicono di me

Questo. Dimenticavo di aggiungere che da un po' di giorni Exorma Edizioni, e conseguentemente anche il mio libro, è in distribuzione presso le librerie Edison, che sono sparse un po' per tutto il Centro-Nord d'Italia. Questo è l'elenco completo: http://www.libreriaedison.it/index.php?page=4.

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10 dicembre 2009

Del socialismo, del bianco e di altre cose che si rovinano

La colpa di tutto (tutto!) in fondo è del socialismo. Del socialismo e di Gary Lineker, alleati in un abbraccio vizioso che ha condotto un uomo di ventinove anni ad essere de facto un fallito. In termini strettamente tecnici, badate: non crediate che stia cercando conforto o comunque mi voglia lamentare di qualcosa.
Telecapodistria trasmetteva - trasmette ancora, ma le hanno cambiato o indebolito le frequenze, e oggi fa più fatica a superare il mare e ad inerpicarsi per le colline marchigiane; e in ogni caso da quando è crollato il comunismo fanno vedere solo merda - Capodistria, dicevo, trasmetteva le partite di calcio internazionali, dei campionati di Germania Inghilterra e forse Spagna. Ed era un sogno stare seduti in casa (raramente in poltrona, ché un bimbo ha una diversa frenesia che mal si concilia con quel genere di seduta; più facilmente sul cavallo a dondolo in legno, anche lui molto sloveno come foggia e concetto, che ha trasbordato la mia infanzia fino alle soglie della giovinezza, perché era robusto e ci sono rimasto seduto molto a lungo) e vedere le squadre tedesche coi nomi buffi - Uerdingen, Wattenscheid, Colonia; quest'ultima fa ridere perché normalmente la colonia la metteva nonno, oppure ci andavo nei tempi già per me remoti in cui ero piccolissimo, tipo due o tre anni prima - e quelle inglesi con le loro maglie bellissime.
Le squadre di calcio italiane, negli anni Ottanta, come peraltro oggi, avevano delle magliette orrende, con dei profondi scolli a V e delle colorazioni banali e stinte; stinte nell'anima, prima che nella stoffa. Potrei fare un'eccezione per l'Hellas Verona gialloblù, specie in certe rare versioni a quadri che oggi ricordano solo alcuni cataloghi di calcio in punta di dito; ma non mi spingerò oltre nella difesa dei nostri vessilli. Viceversa, in Inghilterra c'erano magliette da calcio celesti e rosso scuro (la parola "amaranto" l'avrei imparata solo tempo dopo; per me, dunque, l'Aston Villa era celeste e rosso scuro, o al limite bordeaux), bianche e blu a righe orizzontali, oppure gialle e verdi, ed erano tutte bellissime. Ricordo distintamente una partita tra Arsenal e Norwich City giocata sotto la pioggia e risoltasi in una mezza rissa in cui si sarebbe segnalato un irlandese di nome David O'Leary. In quella partita io sostenevo da lontano ma convintamente il Norwich, per via delle brillanti divise gialloverdi, che non potevano che entusiasmare il gusto primitivo di un bambino; solo il tempo e l'educazione alla bellezza mi portarono a riconsiderare la mia posizione, e a stimare le maniche bianche dei londinesi come un segno di eleganza difficilmente superabile.
Ma il migliore di tutti aveva la maglietta bianca; e nonostante quell'assenza di colore era già ai miei occhi infantili e tonti il più grande. Il bianco è spesso pesantezza, volgarità, ostentazione; un marchigiano, che vive nell'armonia, queste cose le capisce d'istinto, anche se non ha ancora ricevuto il sacramento della comunione. Eppure, per Gary Lineker non era così: il bianco delle divise del Tottenham era lo specchio fedele di una pulizia e di un'onestà tanto sincere da suscitare solo ammirazione, e mai invidia. Lineker e la sua maglietta bianca ripulivano perfino i sentimenti di chi semplicemente guardava: potevi voler diventare come lui, da grande, un uomo adulto e rispettabile che si guadagnava la vita giocando, e che nel suo giocare si era mantenuto lindo, divertito e onesto come un bambino che non abbia ancora iniziato la scuola calcio (lì, tutto ti insegnano tranne che l'onestà, o come si faccia a diventare, o restare, Lineker. Ma queste sono divagazioni).

Un modello, capite? L'ometto in bianco era un modello, ché dimostrava come si potesse essere belli e candidi e puliti come la sua maglietta anche da adulti, e come si potesse giocare sempre secondo le regole, senza una sola tentazione in tanti anni di carriera - senza un solo cartellino giallo! - e giocare comunque molto bene; anzi, benissimo, in maniera davvero ammirevole agli occhi capaci delle telecamere inglesi e dei ripetitori ancora jugoslavi, ma per poco, di Telecapodistria.
Dunque è colpa sua, perché non è vero che giocare con la maglia bianca sia sempre possibile. A volte, invece, uno si trova a pensare che la vita adulta sia molto più simile ad una rissa tra divise vagamente rosse (maniche zuppe e terrose, che han perso il loro bianco) e altre originariamente gialle e verdi, ma anche loro sporche e sudate e tanto lontane dalle tinte di partenza. Soltanto che Lineker giocava bene anche con la pioggia, e sempre pulito e forse perfino bianco e asciutto ed elegante; mi ha fregato, Gary Lineker, mi hanno fregato lui e i programmi televisivi delle reti comuniste.
Dovrei togliermi un momento questa maglietta bianca e citarli per danni, la Jugoslavia e Gary Lineker, ma come si fa? Erano entrambi tanto adorabili.

(pubblicato anche su Cabaret Bisanzio)

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02 dicembre 2009

Ancora pubblicità? Che noia questo blog

Sempre nell'ottica promozionale, e anche nella subottica "vi voglio tanto bene", ho deciso di rendere leggibili e scaricabili due dei racconti contenuti nel mio libro (che, vi ricordo, è questo qui).
Seguono i link su cui cliccare per scaricare e soddisfare la vostra sacrosanta curiosità. I due racconti si intitolano rispettivamente "Perché è bello andare ad Ancona" e "Storia di una persona inutile".
C'è poi anche uno dei dieci pezzi storici frammisti nel libro alle parti narrative e che dovrebbero servire a spiegarle e a renderle digeribili. Questo è quello che tratta di statistica e demografia nel Seicento e sull'Adriatico: si chiama "Secolo duro, secolo ingiusto".
Grazie per la lettura e fatemi sapere che ve ne pare.

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