11 ottobre 2011

Il cuore della ragazza

Il Sor Morresi era un uomo fortunato e soddisfatto di sé, e non faceva nulla per nasconderlo: lo si vedeva da come saettavano intorno e intorno i suoi occhi piccoli, quelle volte che andava in paese, come se volessero segnare uno per uno tutti i compaesani con quel loro sguardo celeste, beffardo, e far pesare a ognuno la sua superiorità. Il Sor Morresi era ormai un uomo di mezza età, ma ancora forte, sicuro e tranquillo: quando attraversava l'arco all'ingresso del paese sporgeva sempre un po' la testa verso l'interno, per vedere chi fosse già là, e ricordava un po' la mossa del montone quando esamina gli intrusi sul suo pascolo, le zampe arretrate e il capo pronto a caricare.
Era nato contadino libero, ma con poca terra e tanti pensieri; in qualche decennio di amministrazione dell'eredità paterna era diventato un proprietario. Non un grande proprietario, ma in paese di grandi non ce n'erano e se ne trovavano pochi anche di medi. Il Sor Morresi, perciò, era di gran lunga il maggiore. Per meglio mostrare la sua condizione era andato a vivere su un poggio al limite estremo delle terre comunali e dei suoi possedimenti, sicché per recarsi da lui i paesani dovevano attraversare tutta la sua proprietà. La grande dimora di mattoni sulla collina era stata una volta la casetta di un mezzadro, una costruzione umile con una stalla troppo bassa e una colombaia. Morresi aveva cambiato e demolito tutto, ma la torre colombaia l'aveva tenuta e fatta allargare, e ne aveva fatto una stanza bianca e ampia. Da lassù si vedeva oltre la macchia che sorgeva dietro la casa; si scorgeva il campanile dell'altro paese e più in fondo il mare.
Nella colombaia, che anche se non era più una colombaia si chiamava sempre così, dormiva l'unica figlia di Morresi. Anche coi figli l'uomo era stato prudente e fortunato: erano nati subito tre figli maschi, sani e utili, poi la femmina. Allora si era fermato: c'era già tutto quello che serviva. Quella figlia, però, era il suo solo dispiacere, soprattutto perché era bella. Si erano accorti presto, già dai giochi e dalle corse della bambina e poi dai suoi primi lavori (perché stavano bene, sì, ma non erano ricchi; non abbastanza da non far lavorare una donna) che la ragazza aveva un cuore debole che si stancava facilmente. In quei casi doveva fermarsi e sedersi sotto il grande olmo, per riprendersi un po'. Poi tornava alla colombaia e se ne stava a letto per dei giorni, finché di nuovo non si sentiva di uscire e di accompagnare la madre alla messa. Si era fatta comprare dei libri dai fratelli che andavano in città con il carretto, a commerciare, e in poco tempo, ancora ragazzina, aveva imparato a leggere. Adesso ne aveva un bel mucchio, stesi in un baule che sarebbe dovuto servire per il corredo.
Una donna con il cuore stanco non la vuole nessuno; ma se è bella e porta una buona dote le cose cambiano, perché ci si può accontentare di quei pregi, almeno per un po'. Se poi quel cuore non dovesse reggere a lungo, ci sarà ancora tempo per una seconda sposa e una seconda dote. Per questo motivo molti spiavano la ragazza quando andava in paese - aveva la pelle chiara perché vedeva poco sole, e due grandi occhi verdi fatti enormi dalle guance pallide - e molti andavano alla casa sul poggio, sperando di trovarla sana e allegra sotto l'olmo; certi invece chiedevano di lei se non c'era e volevano salire alla colombaia ad augurarle una pronta guarigione, ma alla colombaia non si poteva salire, a salutare Cecilia.
Un giorno il Sor Morresi salì dalla figlia e la trovò che leggeva un libro verde (gliene aveva portati alcuni il fratello Saverio, che era tornato quella mattina da un viaggio di tre giorni, e poi le aveva accarezzato i capelli castani, del colore delle nocciole); la guardò e le disse che doveva parlarle.
- Cecilia, cominciò, ti piace leggere?
- Babbo, perché me lo chiedete? Lo sapete che mi piace, sì. E poi non posso fare molto altro, quando sono in queste condizioni, aggiunse; e sorrise di un sorriso un po' colpevole.
- Hai pensato mai che potresti farti monaca, qui in città? Lavoro pesante non ne avresti, potresti leggere quanto vuoi, e poi io e tua madre ti verremmo a trovare di tanto in tanto. I tuoi fratelli, non ne parliamo neanche: loro sono sempre là.
Cecilia lo guardò, con quegli occhi verdi che mettevano paura, da tanto erano seri.
- Babbo, mi volete mandare via da questa casa?
- No, figlia mia, non lo dire, anzi: non lo pensare proprio, rispose confuso e vergognoso il Sor Morresi, e gli veniva da chiedere scusa. A lui!
- E allora, babbo, se non mi mandate via io resto. Sono stata qui vent'anni, non sarà un gran danno se resto ancora qualche annetto (perché non saranno tanti, babbo).
Allora il Sor Morresi se ne andò. Tornò qualche ora più tardi, dopo un giro nei campi, e disse a Cecilia che cominciasse a preparare il corredo, perché se non voleva andare monaca prima o poi sarebbe partita sposa. La donna annuì. E a tutti quei libri, disse il padre, si sarebbe trovato un posto più decente.
Cecilia iniziò a filare, aiutata dalla madre, e quando aveva fiato lavorava per delle ore; era curiosa di sapere cosa sarebbe stato di lei, una volta finito quel corredo. Intanto chiamarono un falegname, ché preparasse un mobile per quei libri. C'era un vecchio che aveva più o meno l'età di Morresi ma che pareva vent'anni più anziano; viveva dentro le mura, in un bugigattolo sotto il campanile in cui teneva anche gli attrezzi, ed era il falegname del paese. Gli dissero che c'era lavoro nella villa sul poggio e quello andò a vedere; ma siccome era una cosa facile la lasciò a suo figlio Luca, un ragazzo tarchiato e biondo che qualcosa doveva ancora imparare. Il lavoro era semplice ma andava fatto bene; perciò fecero salire Luca alla colombaia e gli mostrarono la parete. Poi Cecilia gli mostrò com'era fatto un libro, perché lui non ne aveva mai visti; rimasero intesi che l'avrebbe portato a casa, per avere un modello e prendere le misure.
Quando Luca tornò, Cecilia era a letto e non lo fecero salire in colombaia; ma li fecero parlare attraverso la porta chiusa, e lei gli disse di che colore voleva il mobile, quanti libri dovevano stare su ogni lato e il bisogno che c'era di pensare a degli spazi più ampi per certi libri giganteschi che avevano trovato i fratelli di lei, e se poi c'era anche la possibilità di mettere uno specchio al centro del mobile, perché Cecilia voleva potersi vedere anche quando il cuore la bloccava sul letto.
Luca tornò altre volte, e ogni volta portava con sé un pezzo di mobile e un libro che gli era servito da modello (aveva cominciato a sfogliarli e a guardare le figure). Ogni volta, che Cecilia fosse a letto o al telaio, c'erano degli uomini che chiedevano di lei. Qualcuno, credette Luca, qualcuno era talmente ben vestito e distinto che doveva venire dalla città. Poi Luca terminò il mobile e smise di recarsi al poggio; l'ultima cosa che dovette fare fu sistemare i libri, alla presenza del Sor Morresi che lo scrutava attento ed irritato per quella spesa frivola, seguendo le disposizioni della ragazza.
Un giorno di marzo il baule fu pieno di panni di lino e di cotone, e il Sor Morresi salì ancora alla colombaia. Sua figlia era sul letto e respirava male, e i suoi occhi erano sempre più grandi (ma a Morresi parve, di certo senza motivo, che fossero anche più verdi). L'uomo parlò comunque, perché la figlia lo fissava con curiosità.
- Hai scelto qualcuno, Cecilia?
- Sì. Voglio sposare Luca.
- Luca?, ripeté Morresi, e non capiva. Non c'era nessun Luca tra gli uomini che gli si erano presentati.
- Il figlio del falegname, babbo.
- Cecilia mia, che dici? Non si può e neanche ci si può scherzar sopra: io dovrei dare la tua dote a quel poveraccio? E quanto riuscirà a mantenerti?
- Quanto dovrà mantenermi, babbo? Un anno? Due anni? Vedrai che gli basterà la mia dote. E poi un poveraccio che sa un mestiere non per forza resta povero. Guardatevi nello specchio, là: l'ha fatto lui.
- Io non posso farti uscire così dalla mia casa.
- Prima volevate cacciarmi, babbo, e ora mi tratterrete per forza? Va bene, ne avete il diritto; ma se mi trattenete ora, io uscirò solo da morta.
Il Sor Morresi uscì e camminò per i campi, dove c'erano dei lavori da terminare prima della bella stagione; controllò che tutto filasse per il meglio, poi risalì al poggio e alla casa e fece gli scalini che lo separavano dalla figlia:
- Non ha neanche fatto la proposta, Cecilia.
- Mandatelo a chiamare, babbo: ditegli che ho da dolermi di una cosa.
Quando si sposarono, Cecilia partì dal suo olmo con il carretto dei fratelli. Qualcuno dei vecchi invitati pianse, quando entrò in chiesa con il suo velo inondato dalla luce e con quegli occhi verdi poco più piccoli del sole; piansero perché sapevano che non avrebbero mai più rivisto nulla di così bello.
La dote servì a pagare l'affitto di una casa dignitosa e di una piccola bottega nel paese vicino, quello che si vedeva dal poggio: Luca impiegò poco a diventare un bravo falegname, uno che si chiama quando serve un lavoro preciso.
Cecilia durò cinque anni: allattò due maschi e non sopravvisse alla femmina. Allora Luca decise che la bambina si sarebbe chiamata Cecilia: quando il prete protestò qualcosa, lui gli indicò dei passi nei Vangeli, che non parlavano di nomi ma di amore e di pietà. Per un caso che non smise mai di commuovere suo padre, la piccola Cecilia ebbe anche gli occhi della madre.

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