30 agosto 2007

Tutto si consuma, finisce, poi ritorna

Successe un giorno che le parole divennero lustre e consunte e implorarono pietà. Il primo ad accorgersi dello strano fenomeno fu un cantautore di poca fantasia che volle inserire amore nella sua canzonetta estiva: ma non ci riuscì, perché l'amore gli sfuggì, viscido, finì sul pavimento e lì si assottigliò fin quasi a scomparire, trascinando con sé tutti i suoi derivati. Così il testo della canzone scivolò fino al lemma successivo. Di lì a pochi giorni tutte le radio trasmisero "Amorfo mio grande", il nuovo successo del noto cantautore. Intanto nel paese le relazioni tra i sessi si fecero sempre più tese e difficili, perché nessuno riusciva più a giurare qualsivoglia tipo di amore al proprio compagno: si restava lì, con gli occhi lucidi e le labbra umettate, e si biascicava a vuoto finché lei non se andava, portando con sé i suoi fianchi generosi, i suoi seni impertinenti e il vostro inconsolabile e sorpresissimo rimpianto.
Poi capitò un caso simile alla parola denaro: l'abuso ne perse il suono e il senso. Più di un uomo d'affari, abituato a parlare solo di denaro, si stupì molto sentendosi discorrere di denasalizzazione o al limite di denatalità. Paradossalmente questo migliorò il tran tran coniugale di molte coppie: in certi ristoranti chic, non era raro vedere un distinto professionista, dal volto finalmente disteso, che discettava di fenomeni fonetici con una bionda signora ingioiellata e felice. I camerieri osservavano la scena con interessata tenerezza, preparandosi ad intascare mance generose.
Poi la scomparsa delle parole si allargò e si fece più drammatica. Ben presto scomparvero tutti i suoni di più largo utilizzo, né c'era verso di ricordarli o ripescarli dall'oblio in cui erano discesi a capofitto. La libertà divenne un libico, il sesso un sestante, l'odio un'odissea e la proprietà un propugnacolo. D'altra parte, le canestre stavano al guinzaglio e dai rubinetti scendeva acquartieramento. I giornali, volendo parlare di emergenza, scrissero emerite stupidate, quantunque i più non si accorgessero affatto della sostituzione.
A quel punto il governo fu costretto ad intervenire per decreto. Utilizzando ampie ed elaborate perifrasi (c'erano così poche parole per un così arduo concetto), fu introdotto il fermo biologico del discorso: per sei settimane tutti i cittadini dovevano impegnarsi a tenere la bocca chiusa, per consentire il ripopolamento del vocabolario italiano e per salvaguardare il futuro della più antica e nobile delle lingue romanze. I trasgressori furono prillati, ossia li si costrinse a girare vorticosamente su se stessi, sebbene l'intenzione originale fosse quella di condurli in prigione. Per la verità, l'autorità pubblica non ebbe necessità di prescrivere troppe giravolte, giacché il popolo italiano dimostrò una responsabilità e una coscienza del proprio dovere perfino insperate, smentendo una volta per tutte la sfiducia e la malevolenza di chi non crede alla grandezza della nostra Nazione. Invece gli italiani seppero mantenersi ligi alla consegna, capendo la gravità del momento, e si minacciarono a gesti e si amarono cogli occhi. Tutto scorse nel migliore dei modi; i giornali stranieri scrissero parole ammirate nelle loro lingue dissonanti.
I giorni passarono e di seguito le settimane; prima grigie chiare, poi più nette e convinte, infine nere e ben stampate, le parole perdute tornarono a riempire i dizionari. Quando infine si valutò che il peggio fosse passato, il governo preparò un proclama trionfalistico, pieno di parole lucide e splendenti, che le televsioni mandarono in onda a reti unificate. Gli italiani stavano tirando giù la pasta, quando il tono altisonante invase le loro cucine e li informò dell'avvenuta riconquista della lingua: divenuti discreti per il lungo silenzio, essi si guardarono e sorrisero. Grattarono il formaggio e sempre in silenzio si disposero a mangiare.

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22 agosto 2007

Istruzioni per fare l'amore

I. I presupposti.
Si può dare benissimo il caso di due giovani, maschio e femmina, belli e sani e attraenti, che si sdraino l’uno accanto all’altro su di un morbido giaciglio senza che assolutamente nulla accada; o comunque poco. E a volte poco è anche peggio di nulla. Questo perché? Perché forse i due non sono solo diversi, com’è utile e necessario che sia; sono anche lontani, sono estranei, sono altri. Questo invece non va bene. Il lui, o la lei, che invitate al vostro letto –sia il caso d’una sera, sia la scelta d’una vita- resta un lui, o una lei, ma dev’essere anche un po’ voi. Guardatelo: ci siete anche voi, in lui? E’ bene che sia così. Egli, infatti, sarà separato da voi quel tanto che serve a toccarlo e baciarlo: ma sarà anche voi, il tanto che basta a farvi toccare baciare scoprire e tutto.

II. Le carezze.
E’ una mano. Lo strumento che usate per sentire e conoscere la persona che avete scelto, non vi sono dubbi a proposito se lo si osserva con attenzione, è una mano. Ma è anche un aereo, che vola sulle pianure rosa e le montagne bianche del corpo allungato al vostro fianco; è un aratro, che solca e risolca e prepara il terreno al vostro seme; è un batiscafo, che sonda le profondità; è una nave, che non ha fretta di giungere al suo porto. Usate tutte queste possibilità con la necessaria prudenza, ma senza tralasciare l’audacia. La vostra mano è uno strumento potente, non sprecatela per le routine. Sorridendo, osate.

III. I baci.
La vostra bocca è umida e calda e piacevole il suo contatto, tenetelo ben presente. State solo attenti a non fare una fiumare della vostra umidità, avessero voluto la bava, sarebbero andati a letto con un cane o una lumaca, non con un essere umano; per il resto, baciate. Delicatamente ricercando quei fiori che stanno nascosti nei pertugi o addormentati sulla sommità delle colline, pronti ad erigersi al posarsi leggero della vostra rugiada, baciate. Baciate. Scambiando la vostra brina imperlata su labbra fameliche con quella che sorge dalla bocca altrettanto affamata del vostro amante, baciate. Baciate. Non c’è altro da dire, se sapete intendere e appassionarvi alla faccenda.

IV. Comunione e penetrazione.
IV/a. Per lei.
Quale buffo coso vi si para dinanzi in questo momento, barocco e tronfio come un nobile spagnolo! E’ rosa, si gonfia d’orgoglio e si erge come fosse chissà chi. Eppure è un coso buffo, bruttino, di natali oscuri, e chissà dov’ha sguazzato finora, in quali compagnie ha passato le sue notti trascorse eretto, a pavoneggiarsi. Ma non guardatelo come un estraneo, non lo è più. E non disprezzatelo come un bullo di paese: sebbene ora faccia il duro, di solito è di una tale tenerezza! Perché farlo entrare in voi, mi dite, un tomo simile, un siffatto esemplare di tetragona rozzezza? Ma avvicinatevi, dunque, osservatelo più da presso: accarezzatelo, baciatelo, vezzeggiatelo, scoprirete da voi la risposta. Soprattutto, non prestate fede alle enciclopedie mediche e alle chiacchiere dei cinici: non è un ignobile e rapace cazzo, non è parimenti un freddo corpo cavernoso, quello che pulsa sotto la lieve pressione delle vostre dita: è un treno merci, possibile che non lo vediate?, e domanda accesso nella vostra galleria. Cosa trasporta? Amore, esso è una cisterna carica d’amore. E più è dritto, più è amore. A voi tamponare eventuali fughe del carico, a voi apprendere con gioia della conformità della merce, a voi godere del suo arrivo a destinazione.

IV/b. Per lui.
E’ tutto buio e misterioso, eppure non è certo il caso di avere paura e di tirarsi indietro. C’è qualcosa di bello, lì in fondo, lì dove vi trascina la vostra stella polare, la vostra bacchetta da rabdomante, il vostro senso più fidato, benché sovente esso non sia prominente e sviluppato come avreste voluto. Ad ogni modo: fidatevi. Non ci sono insidie ad attendervi nel folto e nello scuro del boschetto che vi attira e vi avvince. Saggiatene la vegetazione, baciatene la terra, fate sì che venga la brina a rinfrescare quell’incanto. E poi siate forti, coraggiosi e tranquilli: esplorate. E’ una foresta fatata quella in cui vi inserirete, un dipinto di Rousseau, un libro di Salgari. Fate con calma, non tralasciate nessun anfratto, siate delicati ma decisi: è il vostro dovere e lo porterete a termine. Sentite questo calore equatoriale, questa stretta viscida e serpeggiante? E’ il vostro Brasile domestico, la vostra prova di coraggio, il vostro Carnevale e la vostra Epifania. E’ il posto più bello del mondo, vale la pena di restarci a lungo.

V. Contro gli inconvenienti.
V/a. Per lei.
Magari vi sembrava che fosse ora, invece dovevate aspettare un po’. Magari stavate aspettando da troppo, e lì sotto la cattiva abitudine si è fatta regola. Magari il coso è sì amichevole, ma un po’ troppo grosso, oppure preme con impazienza quando voi vorreste ballare un lento. Ebbene: fate un passo indietro, tenetelo sulla porta, calmate i suoi bollenti spiriti e stimolate i vostri, che sgorghino dalle profondità persefoniane del sesso femminile. Poi gli farete vedere chi è che comanda, poi metterete le cose in chiaro e lo sfiderete a premere ancora, se ne ha il coraggio.

V/b. Per lui.
Non mi dite che la pressione sta già salendo! E’ proprio come l’Acquedotto Pugliese, giù in basso: il progetto era buono, in origine, però le tubature vanno tutte rifatte. Ebbene, calma. Non siete qui. Non c’è nessuna donna davanti e intorno a voi. C’è solo una valle, ampia, fiancheggiata da colline che digradano svogliate verso i prati verdi e il fiume che li traversa; il fiume è celeste, luccica, al di sopra della superficie balzano pesci argentei, sollevando una corona di spuma; là in fondo, cani e procioni lavorano insieme in armonia alla costruzione di un ponte in legno. Il capo-cane ha una cartellina da ingegnere, mostra il progetto ai carpentieri; tutti hanno il casco di sicurezza, giallo, e la linguetta deliziosamente al di fuori dei denti.
Se non basta questo a farvi superare l’eiaculazione precoce, andate da un andrologo. Ce n’è quanti vi pare.

VI. Conclusioni.
Se lui è crollato, se lei ha inarcato la schiena, se il bastione di lui è caduto, pur mai sconfitto, ma disfatto e soddisfatto, se l’abbraccio di lei si è fatto più forte e più tenero, se la battaglia è conclusa a questa guisa ed entrambi siete inermi sul campo ed entrambi avete vinto, ebbene: i miei complimenti. E’ la cosa più semplice ed antica del mondo, il motivo per cui siamo qui e per cui vogliamo continuare ad esserci, eppure ogni volta è una volta nuova. E girate i volti e guardatevi ora, adesso che siete stanchi e sudati, perché siete belli come non sarete mai più. Oppure di nuovo tra poco, il tempo di riprendere le forze, ma sarà ancora un altro inizio ed una storia diversa.

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09 agosto 2007

L'informazione italiana ha le mani sulla faccia

Io mi sono stufato di leggere notizie come questa corredate di foto del genere. Non so cosa stiate tentando di comunicare, amici di Repubblica, però so che avete fallito. Una donna vestita da mimo che si copre la faccia mentre il suo aguzzino familiarizza con un termosifone non mi dice "dramma", non mi dice "partecipazione", non mi dice "comprensione": mi dice solo Ma che cazzo di giornali leggi? Quasi quasi passo al Corriere, che è più serio.


Ecco. Una donna che prega e un tizio che si prepara a mingerle addosso. Ci mancavano giusto le velleità artistico-simboliche. In fin dei conti, mi sa che leggerò La Stampa.

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04 agosto 2007

Il primo portoghese nello spazio

Al mio oceano.
La mia città di qui non si vede, ma non m’importa granché. Quello che mi interessa è che si veda l’Oceano, e di quello ne ho finché ne voglio. Da bambino facevo lo stesso: andavo alla spiaggia, rivolgevo ostentatamente le spalle alla mia cittadina sonnacchiosa e mi mettevo a guardare l’Oceano. E l’Oceano era bello, bello, bello. Un giorno ho deciso che volevo partire; ma non potevo passare per la mia cittadina addormentata sulle dune, accoccolata e pigra come un gatto persiano, perciò pensai che avrei dovuto solcare l’Oceano. Però un giorno a scuola mi hanno detto che l’epoca delle grandi esplorazioni era finita da un po’, che non c’erano più destinazioni libere per mare, dato che ormai si sapeva sempre dove si sarebbe arrivati. Dunque partire non aveva più senso. Non ha senso partire se sai già dove vai.
Voi mi capite, vero? Non potevo andare avanti e non potevo andare indietro. Ero un ragazzino imprigionato sulla spiaggia e non sapevo cosa fare. Allora fuggii verso l’alto. Avrete letto anche voi del primo portoghese nello spazio: tutti i giornali hanno scritto di me. Tutto il Portogallo ha conosciuto il mio nome. Le bande cittadine hanno suonato per me e le ragazze mi hanno sorriso. Il presidente mi ha stretto la mano, grave, poi ci ha ripensato, mi ha sorriso e mi ha dato una pacca sulla spalla. L’arcivescovo ha mormorato qualcosa, quindi ha gettato dell’acqua e ha bagnato me e il mio casco rotondo; eppoi sono partito ed ero felice, perché non sapevo dove stavo andando. Guardando verso il basso, ho visto i fragori colorati dei fuochi d’artificio mischiarsi ai bagliori del mio razzo che saliva.
Credo che ormai il fumo si sia diradato, giù in Portogallo. L’arcivescovo starà rivolgendo altrove il suo aspersorio, il presidente avrà stretto fraternamente parecchie altre mani sconosciute, le ragazze staranno sorridendo ad altri uomini che non sono partiti. Io ogni tanto distolgo lo sguardo dalla notte in cui sono immerso e mi metto a cercare l’Oceano, con il casco rotondo appiccicato al portellone. Respiro. Poi ho sonno e dormo. Quando mi sveglio, è ancora buio: la mia navicella è una supposta grigia nel culo della notte. Rido.
Poi trovo di nuovo l’Oceano al di là del portellone, alla fine della notte, e sono felice. Mi viene in mente che sono uno dei pochi uomini ad aver realizzato il proprio sogno di ragazzino: sono partito davvero, sono il primo portoghese nello spazio. Quando tornerò, il presidente mi stringerà di nuovo la mano, la banda suonerà per me, le ragazze mi sorrideranno ancora. Mi fa un po’ male il cuore, e sono felice.

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