21 aprile 2007

Geopolitica per principianti

Era un bel mattino di sole, quando il sindaco di Belgrado, trafitto da un’improvvisa consapevolezza, smise d’un tratto di assaporare i suoi due quotidiani ovetti sbattuti e si affacciò alla finestra del suo bilocale.
-Gordana! Gordana!, prese ad urlare a squarciagola, con la voce eccitata come quella d’un ragazzino che invita i suoi amichetti a godere di un qualche spettacolo proibito.
–Che c’è, colombella mia, piccioncino mio impareggiabile?, rispose la grossa e affabile Gordana, comparendo nella stanza con un piumino in mano e le guance rosse di fatica e di salute.
-Guarda le macchine in strada, Gordana: sono tutte targate BG! Vieni qui a vedere, Gordana!, e la chiamò al suo fianco, battendo la mano dalla larga palma sulla coscia muscolosa di slavo del sud.
La domestica lo guardò con affetto, senza peraltro far mostra di comprendere le conseguenze rivoluzionarie della cosa. Eppure ce ne furono! Lasciami narrare, lettore, e vedrai anche tu che ce ne furono, né si trattò di bagatelle!
Con le mani ancora appiccicaticce di zucchero, il sindaco di Belgrado alzò la cornetta e telefonò al suo omologo di Bergamo (BG).
-Pronto?, rispose stancamente quest’ultimo, che stava appendendo i calzini al sole, sotto l’energica e minacciosa sorveglianza della moglie.
-Compagno! Amico! Compatriota!
Un vero torrente di parole fluì da quell’apparecchio! Per un attimo, il sindaco di Bergamo lo allontanò dall’orecchio, sorpreso e quasi rimbambito. Poi colse l’occasione con vero acume, fece segno alla moglie che si trattava di un importante affare di Stato e si allontanò da quei dannati calzini blu che sgocciolavano sulle piastrelle del cortile.
-Ma chi è che parla?, domandò allora il primo cittadino di Bergamo.
-Sono io! Il capo di Belgrado!, proclamò non senza esagerare l’altro capo del filo.
Il bergamasco si dispose ad ascoltare. Si sedette sotto la pergola, accostò una seggiola al tavolo e si apprestò a prendere appunti a margine di un albo di Garfield che aveva ormai terminato di leggere.
-Compagno! Amico! Compatriota!, riprese il primo cittadino della metropoli serba, Come ho potuto essere così cieco? Solo oggi mi sono reso conto della nostra vicinanza letterale!
-BG anche voi?, domandò il princeps degli orobici, che stava cominciando a vederci chiaro.
-Già! Anche noi! Certo, è una mera identità di forma…
-….ma la forma è sostanza, dico male?
-Vi siete espresso bene, invece, carissimo collega! Ho pensato dunque: perché non ci uniamo? Congiungendo la vostra solidità economica, la vostra tenacia, il valore artistico della vostra città capoluogo con il prestigio della nostra università, la nostra favorevole posizione geografica, la nostra tradizione di centro intellettuale e dinamico dei popoli slavi del sud, potremo realizzare entrambi un grosso guadagno e dialogare da pari a pari con le potenze mondiali. Ditemi se sbaglio, carissimo collega!
I due s’intesero ben bene, caro lettore! Da lì in poi fu tutta discesa. Già il giorno seguente i rispettivi consigli comunali votarono all’unanimità l’unione libera, eterna ed inscindibile del popolo bergamasco e di quello belgradese. I territori circostanti non tardarono a seguire l’esempio dei capoluoghi e si accostarono a quella nuova e seducente realtà. Ci fu per la verità un astuto tentativo di sabotaggio, effettuato dal sindaco di Zagabria (ZG), il quale fece balenare la prospettiva di una unione concorrente al suo omologo di Zingonia. Quest’ultimo, tuttavia, notificò la proposta al neonato soviet belberghese (o belgramasco, che dir si voglia), che rilanciò stabilendo che da quel momento in avanti la Coppa Campioni (o Campiù) conquistata nel 1991 dalla Stella Rossa sarebbe stata esposta per sei mesi nei locali del centro sportivo di Zingonia, che avrebbe egualmente ospitato gli allenamenti della suddetta Stella Rossa e del Partizan, mentre l’Atalanta avrebbe giocato per il futuro al Marakana di Belgrado. A quel punto l’offerta croata era superata. Sulle prime, peraltro, l’effetto delle maglie nerazzurre sugli ultras belgradesi fu piuttosto straniante: ma ben presto si appassionarono anch’essi alla Dea e comparvero sui muri serbi i primi graffiti anti-bresciani in cirillico. Tipo Бреса суни, roba del genere. Mentre fervevano i festeggiamenti per la feconda unione, con annessi concerti turbofolk nelle pittoresche piazze di Bergamo Alta (moj Bergheme, zagrli me, si sentì risuonare), gli inviati della Repubblica di Bulgaria, a cavallo di uno sciame di Lambrette munite di targa internazionale su cui svettavano le lettere BG, comparvero nei palazzi del governo orobalcanico. Quando videro quella targa, i deputati serbergamaschi esplosero in un grido di gioia selvaggia, precipitandosi ad abbracciare gli ambasciatori: vergarono dunque quel giorno stesso, tra una grappa prealpina e una rakija, l’atto di associazione del paese alla sempre più potente federazione Belberghese. Mercè i nuovi guadagni territoriali, la Confederazione Belberbù, come venne chiamata in ambiente diplomatico, si trovò ad avere uno sbocco al mare (Nero, Nero, Né, per citare Lucio Battisti); con l’ambizione slava e l’efficienza lombarda, nei nuovissimi cantieri navali della Bassa bergamasca si diede presto inizio alla costruzione di possenti scafi per le navi da guerra che avrebbero rapidamente disceso il corso dei fiumi alpini per raggiungere la base loro assegnata a Varna.
La potenza economica, demografica e militare della nuova realtà alpin-balcanica non poteva non intimorire i vicini: tra gli altri, anche il Parlamento ungherese si riunì nella sua bellissima sede in riva al Danubio per discutere della questione. Ma a causa della difficoltà della lingua i deputati non si compresero affatto tra loro, pensarono di udire offese alle rispettive madri e sorelle e la seduta si concluse in rissa tra le colonne di marmo artificiale, poi in vicendevoli spedizioni a cavallo a scopo di razzia. Quando infine fu ristabilita la calma, pervenne al Parlamento –convocato allora sotto tende di feltro nei vastissimi spazi della Puszta, dato l’imprevisto ritorno ai costumi atavici- un dirigente della Honved (HN), il quale propose ai rappresentanti del popolo ungherese di rispondere all’aggressivo vicino celto-slavo instaurando a loro volta una federazione allargata a Herceg Novi* (Montenegro) e all’Honduras. L’idea fu tuttavia giudicata inutile e assurda, nonché lesiva della dignità della nazione magiara e della sua missione storica; cosicché il dirigente fu chiuso in una botte e precipitato dalla collina di Buda, come era accaduto tanti secoli prima a San Gerardo (Szent Gellért). La manifestazione di inaudita barbarie fu trasmessa dalla tv pubblica magiara e ottenne un buon successo di pubblico. Ci fu ad ogni modo un ungherese che trovò il suo guadagno nella vicenda: un lontano discendente di un ramo cadetto della famiglia Hunyadi, facendo presente che il suo eroico prozio aveva salvato Belgrado dai Turchi**, riuscì ad ottenere un provino nell’Albinoleffe, rivelandosi un discreto terzino destro e ottenendo un contratto biennale con opzione sul terzo. Qualche tempo dopo, si presentarono agli allenamenti alcuni punkettoni svizzeri, con l’improbabile pretesto di discendere dai monaci di San Gallo trucidati dagli Ungari nell’Alto Medioevo in una delle loro scorrerie. Poco convinto, ma desideroso di chiudere lì la faccenda, il fluidificante versò loro 22 euro e 50 centesimi in un’unica soluzione.
Peraltro, il potere attrattivo della tripla B continuava a farsi sentire in tutt’Europa: se la sollevazione della Borgogna fu repressa dal governo centrale francese solo con l’invio di notevoli contingenti militari, il primo ministro spagnolo Zapatero fu costretto a recarsi a Burgos e concedere alla città amplissima autonomia fiscale e linguistica (di cui la giunta locale approfittò per introdurre nell’alfabeto castigliano la pernacchia con le ascelle. Dopo la G). L’intesa che salvava l’integrità territoriale dello stato spagnolo fu suggellata da un audace ballo tra Zapatero e il primo cittadino di Burgos, che vollero così imitare la danza di Don Giovanni d’Austria sull’ammiraglia cristiana a Lepanto. Non ci fu invece modo di fermare il sentimento irredentista della nazione belga (BEL, ma va bene uguale), da tempo lacerata da una grave rivalità e diffidenza tra le sue anime vallona e fiamminga, rivalità che fu bensì superata aggregandosi ad una realtà più grande e nobile, quale quella abbozzata tempo prima da un belgradese davanti al suo zabaione. Seguendo l’esempio di Brugge, che per prima aprì le porte della città all’equipaggio della fregata M. Ganz (fu una notte indimenticabile, quella, per il comandante di Sofia e per il suo equipaggio di Dalmine, acclamato e fatto prigioniero da bionde bellezze fiamminghe), anche il resto del Belgio votò a grandissima maggioranza l’ingresso del paese nella Confederazione, divenuta ora Belberbulbè.
Lo sviluppo inarrestabile della nuova entità mise più di una pulce nell’orecchio della diplomazia statunitense. I più alti papaveri del dipartimento di Stato si recarono dal presidente G. W. Bush e spiegarono con inquietudine come il know-how belgradese, il trade management e l’insider power bergamasco, per non parlare delle rose di Stara Zagora e delle birre trappiste belghe, rischiassero di trasformare la potenza imperiale americana in un patetico second line rifler. Bush sorrise, fece finta di aver capito e si infilò un dito a caso in un orecchio. Penetrò troppo forte e si perforò il timpano, ma non smise di sorridere. Mentre i migliori veterinari di Washington D.C. prestavano le cure del caso, Condoleezza Rice in persona allestì un teatrino di marionette, in cui si vedeva un pupazzo dalle fattezze di Glenn Strömberg bastonare a sangue il burattino dello Zio Sam. Bush allora si fece serio e assunse decisioni degne di un capo. La sera stessa il Belize (BZ) fu bombardato, terrorizzando allo stesso modo le popolazioni indie autoctone, quelle di origine africana e i tedeschi mennoniti; il che dimostra una volta per tutte l’unicità della razza umana. Dopo aver ascoltato la notizia alla radio, il sindaco di Bolzano fece due calcoli con le dita dei piedi, poi si travestì da contadino delle valli e attraversò clandestinamente il confine austriaco, sostenendo in seguito di essere nativo di Innsbruck e di aver perduto i documenti rincorrendo il suo maiale Günther. Poiché parlava malissimo il tedesco, i tirolesi non ebbero dubbi e lo considerarono uno dei loro. Il soviet belberbulbelga, dopo i primi momenti di comprensibile timore, prese atto dell’inefficacia della risposta militare americana e si apprestò ad annettere Bisceglie.
A questo punto, dopo il fallimento della prova di forza statunitense, era forse inevitabile che succedesse: la Provincia di Brescia assunse degli ingegneri nucleari indiani, precedentemente impiegati come camerieri nei ristoranti sul Lago di Garda, e diede inizio alla realizzazione dell’Atomica Bresciana (AB). Ma questo accadde molto dopo ed è tutta un’altra storia.

*L’antica Castelnuovo, per gli appassionati di storia veneta.
**Sia pure provvisoriamente.

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