20 maggio 2010

Un incontro in treno

La gente comune li odia e li disprezza, la loro nascita è per tutti un funesto presagio e viene ricordata per molto tempo; tanto che per conoscere la loro età è necessario ricorrere ai registri di nascita, che tuttavia non vanno oltre i mille anni, mentre gli altri sono andati perduti in incendi o durante disordini. Il modo più comune per sapere la loro età, è quello di chiedere loro quali re o grandi personaggi ricordano e quindi consultare gli annali di storia, poiché senza dubbio l'ultimo re di cui hanno memoria era salito al trono prima che loro avessero compiuto ottanta anni.
Costituivano la vista più mortificante che si possa concepire e le donne erano più orribili degli uomini. Non si portano addosso soltanto le deformità della estrema vecchiaia: un che di spettrale, veramente indescrivibile, si impossessa di loro aumentando con gli anni; fra una dozzina riconobbi il più vecchio, sebbene tra loro non corressero più di un secolo o due.
(J. Swift, I viaggi di Gulliver)

L'altro giorno in treno ho incontrato un immortale. Se ne stava lì, con il suo gilet grigio milletasche da normale uomo di mezza età e gli occhiali scuri, a guardare il mare celeste tra Falconara e Marina di Montemarciano. Mi sono seduto vicino a lui, e davanti a quello che sembrava un giovane cinese abbronzato e sovrappeso, per uno strano caso: ero salito in un'altra carrozza, che tuttavia evidentemente non mi aveva ispirato, prima di arrivare nello scompartimento dell'immortale.
-Com'è che non posso morire?, mi ha chiesto ad un certo momento, mentre io non gli badavo, con le doppie deboli e l'accento strascicato degli anconetani. In realtà la gran parte del colloquio si è svolto in dialetto; però, data la vicinanza del vernacolo marchigiano con l'italiano, posso portarlo in lingua senza tradirlo.
-Mi scusi?
-Sono immortale, mi ha spiegato allora, senza ottenere commenti da parte mia.
Mi sentivo un po' a disagio, seduto tra un cinese e un immortale e incapace di comprenderli entrambi. Il cinese aveva un portatile sulle ginocchia e indossava una maglietta con disegni manga: in generale, pareva totalmente avulso dalla nostra realtà.
-Non ci credi?, mi ha allora domandato di nuovo il tizio. La bocca, aprendosi, rivelava i larghi squarci tipici degli alcolizzati e di altri tossicodipendenti. Dal tipo umano, però, ho creduto più probabile si trattasse di un normale ubriacone.
-A che?
-Che sono immortale. Tu morirai, un giorno?
-Sì, io penso proprio di sì, ho risposto, un po' goffo e imbarazzato.
-Io no. Io non posso morire.
-...È una bella sfiga, ho detto allora io, perché mi erano venute in mente le pagine di qualche libro letto tanto tempo fa. E perché in effetti non morire mai, probabilmente, è un'esperienza frustrante.
La conversazione si è quindi arenata per un po'; io ho continuato a guardare il cinese perduto nel suo mondo e il mare di là dal finestrino dell'immortale, cercando però di non far cadere il mio sguardo su di lui.
-Com'è che sono eterno? Bella sfiga!, ha chiosato dopo qualche secondo il tizio, non so se perché davvero avesse condiviso la mia affermazione o per una qualche captatio benevolentiae. Io da parte mia, ho lasciato cadere lì la cosa.
-Vai a Bologna?
-Sì, ho detto io.
-Bella città, Bologna.
-Eh, abbastanza, via. D'improvviso eravamo una coppia di banali, mortali, conversatori da treno.
-Ci pensi mai alla morte? Già qui si tornava ad essere un po' stranini.
-A volte, ho detto io. In realtà ci penso piuttosto di rado, perché quando ci penso non mi piace.
-Non sempre?, ha chiesto lui, sinceramente stupito. Credo in effetti che un immortale non possa avere altri pensieri che quello della propria condanna.
-No, non sempre.
-Tu ci credi che sono immortale?
-Eh. È difficile da credere.
-Tu morirai, un giorno?
Cominciava a ripetersi, e la cosa mi stava mettendo a disagio. Il cinese grassoccio e scuro non mi era di alcun aiuto.
-Io posso stare un mese senza bere, ci credi? Ma io sono un mostro, com'è che lo sono? Non era meglio se ero normale?
Non sapevo che dire.
-Tu ci vai al mare, d'estate?
Questa era una domanda facile.
-Sì, ci vado.
-Dove?
-A Senigallia.
-Sei di Senigallia?
-No, sono di Arcevia, ma non abito più lì. Sto... in giro.
-Cosa sono, 38 km da Arcevia a Senigallia [sono esattamente 38 km]? Quanto ci vuole, tre quarti d'ora?
-No, ci vuol meno, la strada è tutta dritta. Una mezz'oretta basta.
-Bella la vita, eh? Quando potevo bere anch'io, era bella pure per me.
Silenzio.
-Lo conosci T*, di Arcevia?, mi fa.
-No, il nome non mi dice nulla.
Lì mi è dispiaciuto non poterlo aiutare, e soprattutto non aver modo un giorno di fare due chiacchiere con questo T* a proposito dei suoi amici. Abbiamo smesso di parlare per qualche minuto; ma continuavo a rimuginare su quella strana compagnia, e alla fine ho dovuto chiedergli che cosa diavolo gli fosse successo, in che maniera fosse diventato un mostro (nel senso latino del termine? questo, però, non l'ho domandato, ritenendo per snobismo che non avrebbe colto la questione. Sbagliavo, probabilmente) e un immortale.
Lui mi ha guardato.
-È successo quindici anni fa, una notte.
A quei discorsi, che pure non poteva sentire per via delle cuffiette del computer e perché probabilmente neanche li avrebbe capiti, il supposto cinese ha appiccicato sullo zaino una grossa spilla con la bandiera sudcoreana, quasi a voler dire: "Sono un orientale, non possiedo anima né trascendenza; lasciatemi fuori dalle vostre futilità filosofiche da uomini bianchi". O almeno io l'ho interpretata così.
Dicevamo.
-È successo quindici anni fa, una notte. Mi sono trasformato, sono diventato un mostro: mi sono spariti i denti. Non sono caduti, eh!, sono spariti. Prima ero normale.
Silenzio.
-Brutta fine, eh?, ha detto, rivolto ancora a me.
Abbastanza, ho pensato. Ma non ho parlato.
-Quella è una voglia? Ora toccava a lui fare le domande.
-Sì.
-Com'è che ce l'hai?
A questo punto ho raccontato brevemente e senza grande enfasi lo strano caso della voglia di salame sul mio polso sinistro, apparsa dopo (dopo, non "in quanto") mia madre in gravidanza si era sfregata ostentatamente la mano destra sul polso opposto dopo aver espresso il proprio desiderio di una fettina di salame campagnolo.
-Io invece prima ero normale, ha commentato l'immortale, non l'avevo mica, quella. Lavoravo in comune, viaggiavo, facevo la bella vita. Ma è la forma di una fetta di salame? Non si può togliere?
-Sì, si potrebbe togliere, ma ormai son quasi trent'anni che ce l'ho, mi farebbe strano toglierla. Dopo un po' ci si abitua, ho detto, e l'immortale ha annuito gravemente.
Poi mi ha chiesto l'età, che scuole avessi frequentato ("Liceo Classico a Jesi". "Vittorio Emanuele II?". Esattamente), se avessi fatto il militare. Abbiamo parlato della nascita a Jesi dell'Imperatore Federico II, lo Stupor Mundi, e lui ha correttamente precisato che questi nacque nel 1194. Gli ho descritto un po', per come l'hanno raccontata a me, la scena del parto in piazza dell'anziana Costanza d'Altavilla, davanti ai maggiorenti locali che dovevano certificarne la maternità.
All'inizio del viaggio gli avevo dato una sessantina di centesimi. Prima di scendere a Cattolica, ha chiesto con estrema cortesia ad alcune ragazzine pesaresi il denaro per arrivare ad un euro per il caffè, poi se n'è andato. Il coreano non ha avuto reazioni di alcun tipo né durante la nostra conversazione né in seguito.
E questo è quanto so dell'immortalità umana.

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