25 dicembre 2007

Ridare senso alle festività


Proprio stasera, all'uscita della tradizionale adunata nazista di mezzanotte, mi sono imbattuto in Heinrich Himmler.
-Allora, gli faccio, mica male, no? Hai visto quanta gente c'era anche oggi?
Lui mi ha guardato freddamente, si è sfregato le mani con ostentazione e si è limitato a dire "bah". Non capivo proprio cosa ci fosse di stonato: la spianata era piena di gente! I vivaci gagliardetti rossi con la svastica garrivano da un capo all'altro della grande piazza, giungendo quasi a lambire le sponde del lago. E a lui tutto questo non andava bene?
-Enrico, gli chiedo allora con vera preoccupazione, che c'è che non ti torna? Ti senti bene?
-Ma sì, ma sì. Nulla che non mi aspettassi. Solo, mi rattrista sempre constatare la meschinità della massa.
-Ma perché? A me pare invece una grande manifestazione di affetto popolare, questa partecipazione in forze!
-Senti, mi fa lui severo, lo sai quante adunate abbiamo fatto il mese scorso? Sei! E secondo te c'era tutta questa gente? Ma neanche sommando tutte le volte! E ti assicuro che il nazismo non è cambiato dal mese scorso.
Io lì ho mi sono messo una mano sul mento e ho pensato un po' prima di rispondere.
-Beh, è normale che sia così: in fondo il mondo cambia, cambiano tante cose, c'è meno gioventù, meno irruenza e meno ottimismo, se vuoi... Però questa folla, anche se occasionale, dimostra comunque il permanere forte delle radici naziste nella coscienza della Nazione.
A questo punto der treue Heinrich [il fedele Enrico], titolo con cui Hitler in persona ha voluto onorarlo, mi ha guardato con occhi di ghiaccio e sorriso impeccabile, manifestamente indeciso se sbellicarsi dalle risate o prendermi a sberle.
-Radici naziste un cazzo, caro mio. Questi vengono all'adunata di oggi perché fa figo, perché bisogna farsi vedere. E basta. Li vedi che lasciano i loro Suv all'ingresso, entrano con le signore impellicciate, le cinte di Dolce e Gabbana con la sigla Blut und Ehre e si esibiscono nel saluto tutti impettiti, come se non avessero fatto null'altro tutta la loro squallida vita. Poi tornano alle loro banche ebraiche e alle loro prostitute moldave, miserevoli servitori del grande capitale, viscidi clienti di speculatori, bottegai e trafficanti, imprenditori al soldo della globalizzazione e della mondializzazione... Cialtroni, borghesi, merde, nazionalsocialisti della domenica! Le radici naziste, dice! ...Ma andate tutti a fare in culo!
Il soliloquio è andato avanti ancora un po', sempre meno irritato e sempre più rassegnato. Poi gli ho battuto una mano guantata sulla spalla, con sincera comprensione, e l'ho trascinato al bar a berci una grappa di lacrima.

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21 dicembre 2007

Il piccolo colzenteraio* (una storia di Natale)

Fuori c'erano le luci, la felicità di tutti, l'andirivieni degli ultimi ritardatari o degli eterni indecisi alla ricerca del regalo di Natale per i loro cari; dentro, nel freddo stanzino al piano terra, in quello che fino a poco tempo prima doveva esser stato un garage e che del garage conservava l'apparenza fredda e inospitale, c'era il suo lavoro. Il ragazzo telefonava a perfetti sconosciuti per pochi soldi ed era costretto a subirne spesso gli insulti o il sarcasmo, senza che neanche questo servisse a rimpinguare il suo magro salario. A fine giornata, poi, tornare a casa sfinito era la sua unica ricompensa; contemplare le vetrine e le luminarie, la festa di chi poteva permettersi di festeggiare, la sua unica prospettiva. Il ragazzo guardava dalla finestra sporca e angusta che dava sulla strada e non poteva accettare quello che vedeva; perciò un giorno decise che sarebbe tornato al lavoro di notte, e avrebbe dato a quel posto lurido e a quella società che lo emarginava il solo ringraziamento che sentiva di dover esprimere. E così fece: sul tavolo della cucina, tolti i piatti della sua modesta cena, preparò una bottiglia incendiaria, la infilò nel giaccone, uscì di casa e volse di nuovo i suoi passi verso lo stanzino sporco e trillante che ben conosceva.
Giunse sul posto e subito spaccò la finestra che tanto odiava, deciso a far passare di lì l'ordigno, poi fece qualche passo indietro per calibrare meglio il lancio. Era già col braccio proteso, quando iniziò a nevicare. Un fiocco dopo l'altro, la morbida coltre bianca si posò su di lui, sulla molotov, sulla sua rabbia e il suo risentimento, e tutto ricoprì. Il ragazzo mosse la testa verso l'alto, a contemplare la neve che scendeva silente; poi rimase assolutamente fermo, lasciando che ogni cosa scomparisse in quella pace inaspettata. Allora gli balenò il sospetto che non tutta la felicità del Natale gli fosse preclusa.
Lo trovarono il mattino dopo, ancora nella stessa posa della sera precedente, innocuo, pentito, assiderato e morto.

*Nel senso di operatore di call center.

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18 dicembre 2007

Un banale intreccio amoroso

Ora che stava per sposare l'altro, sentiva più forte la nostalgia e il desiderio del suo coniglio bianco. Sedeva alla finestra e fumava una sigaretta scostando con la mano libera le tendine polverose; ma tornava sempre a rivolgere il viso verso l'interno della stanza, verso il letto ampio ed antico, fatto di severo legno scuro e coperto di panno verde. Le pareva inconcepibile che avrebbe dormito in quel letto anche dopo il matrimonio, che quel materasso spesso avrebbe sopportato gli amplessi freddi e necessari di una coppia di sposi che non si amavano. Lei non amava il suo promesso sposo. Lui forse amava lei, ma che importanza poteva avere? Lei ora non l'amava, dunque essi non si amavano. Ben presto egli avrebbe rinunciato a quel poco di passionale che ancora viveva nei suoi slanci; lei, viceversa, avrebbe conosciuto ed apprezzato la bontà e l'integrità di lui e il rapporto si sarebbe riequilibrato. Il loro sarebbe stato un matrimonio felice, lei lo sapeva e giudicava bene.
Tuttavia, non avrebbero dovuto dormire in quel letto. Quel letto andava fatto a pezzi, bruciato, gettato in mare, disperso; la nudità salda e legittima del futuro marito non avrebbe mai potuto cancellare in quel letto il ricordo del calore dell'altro, della sua pelliccia liscia, del suo bianco leggero incuneato nel rosa fremente di lei. Quelle notti fugaci, in cui lei aveva amato il suo piccolo cuore di coniglio bianco, aveva stretto il suo corpo, aveva implorato il suo seme come l'unica cosa calda e viva che potesse sciogliere il gelo annoiato e assopito di lei, avrebbero deriso in eterno la piatta quotidianità di un matrimonio borghese, cui invece il coniglio si era sottratto scegliendo di andar via. Proprio su quel letto le aveva chiesto di seguirlo: lei non aveva risposto e il coniglio bianco se n'era andato. La donna allora distolse lo sguardo, si sentì avvampare e si vestì.
Il suo coniglio bianco era ancora al porto, quando lei giunse correndo. Vide sul ponte della nave, attraverso la balaustra, le sue lunghe orecchie bianche (bianche come era bianco ovunque il suo corpo, bianche come i batuffoli di pelo che lei trovava sul suo corpo, bianche come il bisogno abbagliante di lui che adesso le rompeva il respiro) e si fermò.
Oltre le transenne c'era una breve scala e poi c'era lui, il coniglio bianco che partiva per una terra lontana. Da questa parte, sulla terraferma, c'era invece il promesso sposo, c'era la famiglia di lei, c'era quel letto e c'erano tutti i ricordi di una vita, compreso quello delle notti con il coniglio bianco. Quel ricordo straordinario sarebbe svanito se lei avesse salito le scale della nave, perché si sarebbe fatto normalità e abitudine. La donna in cuor suo aveva già deciso; un'ora più tardi, in perfetto orario, l'enorme scafo lasciò il porto, con a bordo un piccolo cuore innamorato e deciso, nascosto nel petto di un coniglio bianco.

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12 dicembre 2007

La decadenza della vecchia Europa

...una piccola agenzia di viaggi, teddy tour, propone visite guidate nella capitale tedesca per gli orsetti di peluche. Sono previste visite ai principali monumenti della città, una gita in bici e un picnic al parco (con relative fotografie). Finora il viaggio è stato effettuato da 107 orsetti. I prezzi variano dai 39 euro per la visita di base di un orsetto tedesco ai 139 euro per quella di lusso di un orsetto straniero. (fonte: Internazionale, riportata da a.)

berlino pelosa
Un orso di sani principi in meritata villeggiatura, pensosamente colto mentre rievoca i bei tempi andati (foto sotto).



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11 dicembre 2007

L'uomo che tiene le forbici

C'è un impiegato sperduto in un piccolo ufficio nascosto in un edificio gigantesco ed anonimo. Oggi porta un impermeabile grigio; a ben vedere, porta sempre un impermeabile grigio. Nessun altro possiede abiti di quel punto di grigio; ma nessuno gli domanda dove l'abbia comprato, quel curioso capo di vestiario, e dunque la sua unicità è tutelata. E' pur vero che nessuno gli fa mai domande, perché nel suo ufficio è solo, perché cammina spedito e un po' gobbo come un volatile da cortile, perché ha i capelli grigi (però di un grigio diverso) ed uno sguardo insieme stanco e stupito. Entra in ufficio allo scoccare esatto della mezzanotte, sistema il suo thermos sulla scrivania e legge un libro. All'inizio il libro durava pochi giorni, al massimo una settimana, poi le parole e la copertina cambiavano e l'uomo apriva sulla sua scrivania (con gentilezza e cautela, non volendo spezzare la costina che è la spina dorsale del libro) un volume diverso. Adesso invece le parole non cambiano più: da anni ormai l'impiegato si siede al suo posto, apre il libro e legge le poche frasi che ormai conosce a memoria. Poi chiude il volume, consunto dagli anni, benché ancora rigido e integro nella costina, e aspetta.
Di lavoro quest'uomo interrompe i sogni: quando diventano troppo corporei, specie se sono belli, e il sognatore non ha più voglia di risvegliarsi e si aggrappa a quella realtà sognata come all'unica che desidera vivere, allora l'uomo prende i suoi attrezzi speciali (anche loro attaccati e smussati dagli anni, come il libro e l'uomo stesso, ma come questi sempre efficienti) e li termina. Allora il sognatore si ritrova sveglio suo malgrado e dà la colpa della brusca e inaspettata caduta agli operai di fuori, ai bambini che vanno a scuola, al furgoncino che fa manovra proprio sotto le sue finestre: ma in fondo il sognatore interrotto sa che le sue querule lamentele non colgono il bersaglio. Ed è anche per questo, per l'incapacità di capire cosa sia successo, che sente in bocca un sapore amaro.
Però l'unico che sa tutto è l'uomo vestito di grigio, solo nel minuscolo ufficio disperso nell'edificio enorme e senza nome. A volte, ai sognatori più sgomenti e dispiaciuti, lascia in dono un pallido ricordo del sogno che ha dovuto terminare: quel ricordo accompagna la loro giornata, si dissolve pian piano nel caffè e negli impegni quotidiani, addolcendoli un poco.
A mattina inoltrata, l'uomo prende il libro e il thermos e torna a casa. Sul treno che lo riporta a casa legge le parole che ben conosce: Vi parlano molto della vostra educazione, ma forse un bel ricordo, un ricordo sacro, custodito dall'infanzia è la migliore educazione possibile. Se un uomo può raccogliere tanti di questi ricordi, allora sarà salvo per tutta la vita. E se anche un solo buon ricordo rimarrà con noi nel nostro cuore, anche quello potrà servirci un giorno per la salvezza. Poi scivola sullo schienale, si addormenta rapidamente e forse sogna.

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06 dicembre 2007

La gente non ne può più

Spettabile Autorità Costituita,
così non si può più andare avanti. Non posso più tollerare di trovare ogni giorno il mio bel terrazzo, la pupilla dei miei occhi, buttato all'aria e devastato da questi vigliacchi neri, che colpiscono quando non li vedo e poi si affrettano a mettersi al sicuro quando si sentono minacciati. Ogni giorno, badi bene, ogni giorno. Ora, questi misfatti vanno avanti da troppo tempo: è bene che vi si ponga un freno. Perché ad un certo punto, mi scusi se faccio dell'antipolitica, il cittadino dice basta: e quando dice basta, poi il cittadino si fa giustizia da sé. Quindi, se non volete che io sia costretto a tirare fuori il fucile da caccia dei miei nonni, mandate qualcuno a togliermi dal balcone questi cazzo di merli.
Distinti saluti.

Il Cittadino Esasperato.

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Amabile Cittadino,
come la comprendiamo! Il Suo dramma è il nostro dramma; il Suo terrazzo è il nostro terrazzo; la Sua salvia è la nostra salvia; e se per caso coltiva ganja, ce ne lasci un paio di grammi. Tuttavia, dico tuttavia, la situazione è complessa: i merli che la disturbano, sono Suoi? Nel qual caso si configurerebbe la fattispecie di maltrattamento di minore e saremmo costretti a toglierLe la patria potestà su tutte le uova che produce, rompendosi il culo per la gloria della madrepatria marchigiana. Ma poniamo per comodità il caso che i merli non siano Suoi figli; Lei sa dire se sono cittadini della UE? Se non lo fossero, Lei sarebbe passibile di denuncia per favoreggiamento dell'emigrazione clandestina e nutrizione impropria di straniero (con erbe aromatiche e terriccio, mi pare di capire, cibi assolutamente controindicati nella dieta del guatemalteco e in genere dei nostri ospiti extracomunitari). Infine, ciò che più conta: qual è la situazione contrattuale dei suddetti uccelli? Si tratta di una collaborazione a progetto volta alla devastazione della Sua proprietà? Lei ha intenzione di assumerli a tempo indeterminato, costruire altri terrazzi, faticarci una vita per riempirli di vasi fiorenti e poi farsi distruggere il tutto dai volatili? O crede più opportuno avvalersi di agenzie di lavoro interinale e chiamare di volta in volta i merli che le occorrono? Mi faccia sapere e invii i documenti attestanti la regolarità della situazione contrattuale dei Suoi collaboratori, le prove della Sua appartenenza alla razza ariana e una marca da bollo dell'Impero Songhay (il portoghese schiavista da 54 euro andrà più che bene).
Freneticamente vorticando su un solo piede, porgo i miei più saporiti saluti.

Ing. Xavier Xilofoni, Capo dell'Ufficio Uccelli della Regione Marche e Primo Oboe Condominiale.

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Spett. Autorità Costituita,
oggi i merli hanno rapito il mio gatto. Lo hanno sollevato in volo in tre e se lo sono portato via. Per fortuna il felino si è liberato mentre sorvolavano Chiaravalle, è caduto sui tetti senza gravi danni ed è tornato a casa in corriera. Mi è toccato anche pagare l'euro aggiuntivo per il biglietto a bordo.
Aiutatemi, vi prego. Allego le mutandine di mia moglie e tre figurine Panini del Modena 1992/93.
Vi saluto con l'altra mano.

Il Cittadino Disperato.

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Liofilizzabile Cittadino,
Lei mi fa ridere di compassione e simpatia per la Sua deprecabile disgrazia! Mi sganascio e Le sono solidale. Mi chiede però il Prof. Ettore Corrimano della Soprintendenza per i Beni Artistici se i merli che tanto La preoccupano siano guelfi o ghibellini e in che stato di conservazione si trovino i seni di Sua nonna.
Lei vede che la questione non è facile; e se Lei mi tace informazioni tanto basilari, come pretende che possa toglierLe le castagne dal fuoco? Crede forse che io sia un Supereroe? No, non lo sono più, da quando la polizia mi ha notificato le proprie perplessità quanto al mio unico superpotere (mostrare il pene alle signore al parco). Da allora passo le serate in casa ascoltando Luca Carboni. Ma tornando a Lei, faremo tutto il possibile per venirle incontro, proprio come io venivo incontro alle signore al parco, e consentirLe così di riacquistare la primigenia fiducia nelle Istituzioni; senza la quale anche lo zabaione più zuccherato risulta amaro come il fiele.
Sommessamente canticchiando un motivetto samba, auguro a Lei e ai Suoi cari un felice Capodanno Curdo.

X. X. (XXX, IVA inclusa).

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Spett. Autorità Costituita,
i merli innalzano bandiere nere sul mio balcone e molestano le mie figlie nel tragitto per la scuola. E io non voglio uccelli accanto alle mie figlie, finché non le giudicherò mature; solo allora, solo allora, le porterò con me alla voliera dello zoo di Falconara, affinché scelgano in libertà e consapevolezza i loro uccelli. Ma devono essere di mio gradimento! Detto questo, rinnovo le mie preghiere, sicuro del vostro interessamento, e me la ridacchio senza motivo mentre mi faccio la barba.
Allego una seggiola di vimini e un negro che non sa ballare.
Muovo un po' il braccio al vostro indirizzo e rischio di venir equivocato.

Il Cittadino Annoiato.

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Vidimabile Cittadino,
non sa che Roma non fu costruita in un giorno? Hey hey hey. Ci dia tempo e provvederemo; ci dia spazio e colonizzeremo; ci dia del Lacrima e ci ubriacheremo; ci dia l'Umbria e la metteremo da parte per quando siamo tristi. Abbiamo letto la Sua pratica più volte, ricercando ogni possibile soluzione; ma l'avvocato d'ufficio dei merli, un porta cd che ho comprato ieri all'Ikea di Camerano, fa ostruzionismo, temporeggia, fissa il muro e non dice nulla. Non sarà facile uscire dall'impasse. Comunque, quando ho tempo torno all'Ikea e cambio avvocato. Ma lei conservi la fiducia nello Stato e nei suoi organi; io da parte mia conserverò lo scontrino.
Poi, quando tutto sarà finito, rideremo di questa vicenda, vedrà. Per adesso rido io; d'altra parte, si deve pur iniziare da qualche parte. Le sono vicino, vecchio mio, e le tocco il culo guardando da un'altra parte, come i passaggi di Zidane.
Mentalmente ripassando le province della Lombardia, auspico per la Sua vita una svolta presidenzialista.
Suo salatissimo,

Xavier.

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Spett. Autorità Costituita,
credo di nuovo in voi, in Dio, in Gilardino e nell'amore. Il problema è risolto, i merli non ci sono più, il balcone rifiorisce e io sto molto bene. Mi permetto anzi di invitare Lei e la Sua signora, quel troione, a pranzo a casa mia domenica. Mia moglie prepara la polenta.
I miei più sinceri e vigorosi saluti.

Il Cittadino Rinato

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