05 gennaio 2010

I piccoli sepolcri

A me non devono mai portarmi nei cimiteri, perché sono un tipo emotivo e troppo fantasioso. E poi entro troppo in empatia con la gente morta. Coi morti giovani, mi dicono, entrano tutti in simpatia, perché è stato loro negato tanto, o tutto, e non è giusto; coi morti bambini ancora di più, e mi pare ovvio. Ma a me dispiace anche per le donne sposate, perché penso ai bambini rimasti orfani, al marito vedovo che non sa neanche come cuocersi la zuppa (stiamo parlando di mariti di inizio secolo, inconsolabili ma formalmente perfetti nella loro bella grafia floreale). E mi addoloro anche per i vecchi, poverini: voglio dire, una vita di lavoro e uno li ripaga ammazzandoli, con la futile spiegazione che le loro cellule sono troppo vecchie per continuare a campare? Alla faccia della gratitudine, mi vien da dire.
Per questo motivo, ed altri che mi parevano chiari quando ho iniziato a scrivere questo post, ma al momento di scriverli invece si nascondono, quelle puttane, scolorano e scompaiono e mi tocca restare sul vago come un qualsiasi opinionista di quelli che vanno per la maggiore; per questo motivo, dicevo, i cimiteri sono una trovata assurda e andrebbero aboliti. I morti, pur morti e tendenzialmente poco portati al movimento o anche all'esposizione concitata dei propri punti di vista, comunque si accalcano, fanno folla, e quando sono tanti creano in noi persone sensibili un sovraccarico emozionale che è difficile da gestire; tutta quella vita, quella morte, quella sofferenza e quei caratteri curiosi su lapidi affisse da mani a loro volta morte da tempo, tutto questo è pesante e causa pensieri che in tempi di crisi e di ricerca di lavoro uno si risparmierebbe volentieri.
I vostri morti teneteveli a casa, mi viene da dire allora, per quando vengono a visitarvi parenti e amici, come peraltro si è lungamente fatto nelle più rispettabili tradizioni classiche. Mi pare anche la soluzione più giusta e che maggiormente tiene in conto la sacra necessità di salvaguardare il legame di sangue e di spirito tra i defunti e i loro discendenti. "Come sta tuo zio, ci va ancora a vedere la Ternana?", domanda ad esempio un tale in visita, sorseggiando un tè nero, un gradevole Assam; "Zio è lì, sopra il camino. No, a vedere le Fere non ci va più, da quando è in un'urna zincata non lo fanno entrare neanche come accompagnatore" (questo post ha anche lo scopo civico di sollecitare i vertici della Ternana Calcio 1925 ad una diversa politica di accoglienza allo stadio per i diversamente vivi). I morti sono una cosa strettamente personale, o in ogni modo familiare, e devono restare in famiglia. A metterli via, sembra quasi che uno si vergogni dei propri morti.
Poi in realtà io da morto mi troverei benissimo in un cimiterino da qualche parte nelle mie valli verdi, interrato, non piazzato in un loculo come un aggeggio da ferramenta da tirar fuori al momento della richiesta del cliente, e me ne starei lì a guardare le colline da sotto e le bocche di lupo che mi crescono tra le costole ormai irrimediabilmente scarne. Alla gente che viene al cimitero a visitare dei parenti o ci capita perché è lungo una stradina panoramica, lo prometto, non darei noia, e non richiederei a nessuno un contegno empatico nei miei confronti. Se volete, anzi, potete anche cogliere le bocche di lupo e regalarle alle vostre donne, ché tanto le mie costole, ancorché ormai irrimediabilmente scarne, sono fertili e qualcos'altro ne verrà sempre fuori.

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