20 novembre 2006

Limiti del ricordo

Io, prima di essere io, fui un oleandro sull'A14, finiti i viadotti, quando vedi le case bianche e il mare, è tutto piatto e le cicale già rompono i coglioni. Mi venne addosso una Fiat 1100. Guidava uno che ne aveva costruite tante, di 1100 uguali, prima di poterne prendere una per sé. Lesse "Canosa" e si rilassò, si rilassò troppo. D'altronde non sentì nulla. A me mi trovarono la mattina dopo, spezzato e sporco di sangue, e non mi diedero molto peso.

Prima di essere oleandro fui un calabrone. Ronzavo ronzavo, in barba alla fisica, ed ero felice perché non sapevo nulla. Poi un professore ligio alla teoria dovette aizzare un uccello contro di me. Quello mi inghiottì. Mentre mi mangiava ancora ronzavo, ma non ero più granché felice, visto che qualcosa avevo intuito.

Prima di essere calabrone fui un capovillaggio giù nel Belucistan. Avevo pecore, capre e terreni; avevo scavato pozzi, avevo figli e nipoti che mi riempivano gli occhi e il cuore. Ero felice. Un giorno vennero i soldati pachistani, che cercavano non so cosa. Io uscii a parlare con loro, perché ero vecchio, avevo autorità e mai un venerdì ero mancato alla preghiera. Rispetto a Giobbe fui fortunato, perché mi ammazzarono per primo. Quando morii avevo ancora figli e nipoti, capre e pecore e terreni.

Prima di essere capovillaggio in Belucistan fui agave ai margini del deserto, dalle parti di Oaxaca. Da agave rimpiansi spesso di non aver avuto formazione né mente filosofiche, perché di tempo per pensare ne avevo quanto ne volevo. E' anche vero che se fossi riuscito ad arrivare ad una rigorosa sistematizzazione del mio pensiero, esso sarebbe morto con me. Così morii da solo. Non mancano pagine al vostro libro di filosofia.

Prima di essere agave fui una donna, curiosamente sempre dalle parti di Oaxaca. Meglio: una donna, lo sarei diventata se non fossi morta di febbre a 12 anni. I miei fino ad allora mi avevano sempre impedito ogni lavoro pesante, avevano tenuto distante da me ogni minaccia ed ogni preoccupazione. I miei occhi scuri avevano visto solo giochi e le mie gambette non erano mai state gravate di pesi. Non un solo giorno della mia vita fui infelice.

Prima di essere un abbozzo di donna ad Oaxaca fui un'anziana donna a Marienburg. Lo so che per diventare anziana dovetti prima essere bimba, giovinetta, donna; ma a me sembrava che quella vecchiaia eterna non avesse avuto inizio, che i miei capelli sbiaditi non fossero mai stati biondi. Ricordo solo che il mio Jörg non tornò da Waterloo. Ma non mi lamento per questo, perché non tornarono in tanti. I suoi lineamenti si sarebbero dissolti nella nebbia di queste paludi, se -previdente- non li avesse lasciati a Haro, Erich, Hanno ed Antje. Per non vedere lacrime nei suoi occhi viola non feci mancare nulla a nessuno dei miei figli: Haro, l'unico a poter ricordare il volto di suo padre, volle andarsene da queste terre. A Berlino, parla e scrive di pace ad altri illusi come lui. Erich è a Schlochau, ha numerosi figli belli e forti, ha insegnato loro un mestiere. Antje è salpata per Riga, è moglie di un pastore, i suoi occhi sono diventati grigi quando ha compiuto quattordici anni. Hanno ha ricercato il fantasma di suo padre, che non l'ha mai tenuto in braccio, nelle fortezze e negli accampamenti. Mi hanno detto che a Sadowa il suo braccio non ha tremato; sul Reno è stato selvaggio nell'attaccare i francesi. Così mi è parso di capire, perlomeno, perché le mie orecchie non sentono quasi più. Le mie gambe però non hanno mai perso la forza e sono avvezze a trascinare il peso di quattro figli; nessuna faccenda di casa o di campagna vale a spaventarle. Questo l'ho creduto finché un giorno la legna non mi è parsa troppo gravosa, presso un sentiero percorso mille volte. Sono caduta con la faccia nella neve, come cadde il mio Jörg, sessant'anni fa, sulla terra impastata di schegge e sangue.

Prima di essere una vecchina a Marienburg, fui una tartaruga gigante nel Pacifico. Credo di aver vissuto cento anni e di aver visto navi di ogni foggia navigare ed inabissarsi. Forse ero sulla spiaggia quando Cook scoprì l'Australia, giusto qualche decina di migliaia d'anni dopo che l'avevano scoperta gli aborigeni. E' possibile; tuttavia, checché ne dicano i naturalisti, le tartarughe vivono, non ricordano, quindi sinceramente non saprei che dirvi.

Prima di essere tartaruga gigante fui un gatto su una nave delle Province Unite. Mi presero da una cucciolata di pulciosi a Leida; un marinaio che andava ad arruolarsi voleva compagnia per il viaggio fino alla capitale. I miei fratelli, se sono vissuti, non hanno visto che le ossa schifose lanciate dalle puttane, ossute anch'esse e quasi altrettanto disgustose all'olfatto. Io ho visto Amburgo, che persino noi gatti che non distinguiamo il rosso e il giallo capiamo perfettamente, grigia com'è nel cielo, nel mare, perfino dentro chi ci vive. Ho dormito sul grano caricato a Riga, e poco ci mancava che non mi scaricassero a Lubecca e finissi col diventare un gatto grasso e pigro a Travemünde. Ho imparato a non aver paura quando lanciavamo tuoni di fuoco ad altre navi, e le fiamme riverberavano sull'oceano e sembravano volerlo estinguere. Lì un po' mi è dispiaciuta, questa cosa del non vedere il rosso. Certi giorni in cui il caldo sembrava squartarmi il pelo corto e grigio, ho visto che portavano persone nella stiva dove di solito io me ne stavo tranquillo con la scusa di cacciare i topi; ho visto che a decine ne finivano in acqua, ogni giorno, nudi e maleodoranti di morte e di sofferenze. Ad Ormuz mi hanno portato una gatta grande il doppio di me, con il muso schiacciato ed un buffo pelo folto come i pellicciotti dei signori di Amsterdam. Mi sa che era rossa anche lei. Ho visto dei pesci giganteschi, che lanciano acqua fin sul ponte delle navi. Altri cento pesci diversi li ho mangiati, ancora guizzanti. Se mi bagnavo, avevo il permesso di stare un paio di giorni in cabina con il capitano. Lì c'erano certi disegni del mare che solcavamo e delle terre che avevamo lasciato: una volta ho trovato Leida! Sono salito sul tavolo e mi sono fatto accarezzare, per leggere i disegni prima che il capitano li mettesse da parte. Ma sembra che su queste carte i gatti non vengano presi in considerazione. Poi un giorno ho visto dalla balaustra una strana ombra nell'acqua chiara: un pesce quasi rotondo, con delle buffe pinne corte corte, che nuotava placido. Mi ha stupito così tanto, quel pescione, che sono caduto in acqua per un movimento brusco della nave (da cucciolo non mi sarebbe mai successo). Ero vecchio e stanco, e non ho aspettato che Jan il frisone si buttasse per me. Però Jan mi ha ripreso. Riposo in una piccola baia di un'isola verde che dava acqua agli olandesi. I miei fratelli pulciosi e la mia mamma grigia sarebbero fieri di me.

Prima di essere gatto a Leida, fui un albero di sandalo alle Hawaii. Non vi tedierò con la mia noiosa vita. Solo un giorno scorsi, lontano, un monte che spesso brontolava esplodere e vomitare fuoco e fiamme. E questa visione rara e spettacolare fu l'ultima cosa che vidi. Equo, secondo me.

Prima di essere albero di sandalo alle Hawaii fui un cane bianco con una macchia marrone sul muso. Il posto dove vivevo si chiamava Antrim. I miei padroni erano servi degli O' Neill; il mio preferito era il giovane Aodh, che aveva le fiamme negli occhi. Quando Aodh partiva per combattere per il suo padrone, io gli abbaiavo dietro fino al bivio per Armagh, dove si riuniva agli altri galloglas e non aveva più bisogno di me. Quando tornava, io sentivo il passo e l'odore del suo cavallo e lo accoglievo felice. Un giorno sentii un cavallo che non era il suo, poi altri dieci e venti; e un odore forte, di morte data e ricevuta, di morte stantia. Volli fare il mio dovere di cane e corsi al bivio per Armagh. Gli Inglesi mi colpirono per gioco, proprio sul marrone della macchia.

Prima di allora non ricordo nulla.

Nota dell'angelo custode: vivendo si accumula sofferenza. Non biasimate chi vi impedisce di portarne troppa.

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