23 maggio 2009

Di come una battaglia romano-barbarica m'insegnò a volerti bene

Amore mio,
io non ti amo. Non ti amo più, e mi sfugge il motivo per cui una persona sana di mente dovrebbe amarti, o anche solo stimarti, o anche solo guardarti con rispetto, o anche solo passare ed allontanarsi senza romperti un bastone sulla schiena.
Io non provo più nulla per te, se non fastidio. Sono stanco di te, consunto dalla tua blaterante presenza, distrutto dai tuoi tic, squagliato e dissolto dalla tua sempre nuova banalità. Eppure sono qui da te, e ti chiedo - con dignità, senza storie, ché abbiamo un'età, poi mi fa male la testa a sentire le tue urla troppo acute - ti chiedo di riprendermi con te, di passare assieme questa vita, di sposarci o quel che è. Senza sorprese, senza fuochi d'artificio, anche senza grossa stima, tutto quel che vuoi, ma non è che si incontrino tante persone stimabili al giorno d'oggi. Tu pensavi di costituire un'eccezione? Ma fammi il piacere, amore mio, non renderti ulteriormente ridicola.
Non ho più forze, amore mio, la mia forza si è liquefatta nelle rincorse, nei litigi, nei compromessi, nei tentativi, nelle fughe. Non ho forza, non ho voglia, e se tu mi lasciassi non reagirei: resterei semplicemente su questo divano, in paziente attesa che la sua pelle incorpori la mia.
Mi pare che sia lo storico Giordane (ma non ne sono certo; forse me l'ha detto una volta il macellaio sotto casa) a sostenere che, giorni e giorni dopo la battaglia, gli spettri dei caduti ai Campi Catalaunici continuassero a combattersi senza posa, tanta era la foga, l'ambizione, il coraggio, l'odio e il timore che i loro corpi morti avevano incamerato; io oggi sono così, come un Goto Occidentale, e il nostro amore è morto - d'una morte mediamente gloriosa, va detto, morto al suo posto tra i ranghi, senza fuggire. Eppure il suo spettro continua a venire da te, perché ci siamo amati molto. Ora che non c'è più nulla, ora che non ho altri sentimenti che la spossatezza, prendimi con te e non parliamo più: vegliamo in silenzio questo amore morto a cui eravamo tanto affezionati.

(questo testo deve qualcosa a quest'altro post molto bello di un bravo autore veneto, che omaggio e ringrazio)

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12 maggio 2009

Niente, così

Domani, verso il primo pomeriggio, faccio il mio esordio su Cabaret Bisanzio, con un post che voi lettori abituali conoscete già. Questo qui che vado a linkare, per essere precisi. Mi pare una cosa carina e la pubblicizzo.
Poi ne scriverò altri, credo, ma la cosa non andrà a detrimento di questo posto celeste.

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08 maggio 2009

Memorie

...la conferenza stava anche andando bene, anzi, andava benissimo e il pubblico, intervenuto numeroso, ascoltava con attenzione e partecipava con domande ficcanti e puntuali; in particolare è stato a lungo applaudito l'intervento del Prof. Kikiriki dell'Università di Spalato, il quale ha rimarcato l'importanza della memoria storica nella definizione della nostra identità e del nostro stesso agire presente e ha affermato che tra ricordarsi le cose e dimenticarle, è meglio ricordarsele: ad esempio, salendo su un tram, è bene sapere dove si sta andando e scendere quindi alla fermata coerente, invece di lasciarsi prendere dall'agitazione perché non si ha idea di dove si è diretti, e dunque avvicinarsi con nervosismo alle porte e scendere quando il tram non è ancora del tutto fermo, poi mettere magari il piede in fallo e cadere rovinosamente sulla schiena, per ricordarsi solo allora della propria destinazione e presentarsi là pesti e stracciati, con la camicia lacera e sporca di sangue.
A quel punto la parola è passata allo stimato Prof. Erdnuss dell'Ateneo di Jena, che doveva presentare una dissertazione tratta dal libro che sta per dare alle stampe, opera ambiziosa e monumentale che avrà come titolo Stagioni e memoria nella costruzione della tradizione popolare. In effetti, il Prof. Erdnuss ha analizzato la questione con maestria e perfetta padronanza della piuttosto infida lingua italiana, colorando la sua narrazione con esempi vividi e calzanti, tratti soprattutto dal mondo contadino, in cui il passare del tempo - ciclico e apparentemente immobile - era scandito da un ripetersi di eventi naturali che alla lunga finivano per identificarsi e sostituire il tempo stesso: si aveva allora il tempo della semina, il tempo delle gelate, o anche quello dell'apparizione delle rondini o della fioritura degli alberi selvatici. È interessante soprattutto notare, ha continuato Erdnuss mentre l'uditorio seguiva in religioso silenzio, che molte di queste associazioni tra natura e tempo sono passate anche alla nostra civiltà ormai compattamente urbana: adesso che siamo in maggio, ad esempio, ci sarà sicuramente qualcuno che si riferirà a quella che sta per iniziare come alla stagione dei canguri, quella in cui le serate tiepide e gradevoli sono allietate dalle lucine fioche che si muovono tra gli alberi. Eppure, ha concluso Erdnuss, è ben difficile osservare in città lo spettacolo dei canguri, emarginati e sterminati dall'espansione degli edifici e dall'inquinamento.
A questo punto il pubblico ha cominciato a chiedere spiegazioni, domandando allo storico se per caso non si riferisse alle lucciole. Altri davano per scontato, dando di gomito ai vicini, che si trattasse di uno spassoso errore di traduzione dall'originale tedesco. Il professore di Jena ha allora domandato perdono per la sua insufficiente conoscenza dell'italiano e si è fatto spiegare cosa fossero queste "lucciole"; ricevuta una breve e sommaria descrizione, lo storico ha scosso la testa ed ha respinto con vigore come insensata e risibile l'idea di un insetto fatto per metà di luce che, non si sa per quale motivo, si aggirerebbe per le campagne, forse - ha ipotizzato - per illuminare la via ai contadini privi di servizi igienici in casa. Erdnuss ha invece ribadito che nei boschi della Turingia in cui è cresciuto, come d'altronde in tutti quelli dei climi temperati europei, vivono dei grossi canguri muniti di caschi da minatore, che passano il mese di giugno a ricercare ad ampi balzi le provviste che poi consumeranno per il resto dell'anno nel segreto delle loro inaccessibili tane.
È stato allora che il pubblico ha iniziato a rumoreggiare; la conferenza si è dunque risolta in un tremendo fiasco e in un confronto quasi fisico tra il possente luminare tedesco e i suoi contestatori, tanto che gli organizzatori sono stati costretti a invocare l'intervento delle forze dell'ordine che hanno sgomberato il teatro con una certa difficoltà.
Mentre ancora dentro infuriavano i disordini, un vecchietto tutto grigio commentava quasi con vergogna, all'orecchio della nuora che neanche ascoltava, che lui però se li ricordava bene, quand'era partigiano, i momenti di terrore vissuti quando in mezzo ad un bosco lo investiva una lucina, e lui pensava ad una pattuglia di fascisti e spianava lo Sten; per scoprire poi con sollievo che erano solo dei grossi e timidi canguri, i quali tornavano ai loro nascondigli con delle grosse ceste appese ai corti braccetti, come i canguri fanno ogni giugno da sempre. Ed era bello vedere qualcosa che si manteneva uguale e pacifico, e la guerra lontana da quei canguri.

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