24 settembre 2008

Amore tra idraulici

Gli idraulici sono uomini e come tali si amano. Chi nega questo è un nemico dell'umanità e dell'idraulica. Invece gli idraulici si amano: gli sguardi giocano a rincorrersi, le mani si carezzano fugaci passandosi una chiave, le labbra lasciano uscire liquide parole dolci, bagnate da una perdita troppo profonda per essere individuata.
Il corpo e l'anima degli idraulici piacciono ad altri idraulici. L'acqua di un rubinetto che perde stilla sul volto e sul corpo dell'uno; l'altro osserva la brina sulle labbra dell'amato, e sospira.
Le massaie si domandano a volte perché ci voglia tanto tempo a tappare quel guasto alla doccia; nell'altra stanza, i due idraulici non sanno più cosa sia, il tempo, e una pioggia sottile benedice i due amanti abbracciati.

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03 settembre 2008

La sciabola

Su un muretto vicino alla chiesa cattolica del Sacro Cuore di Gesù, nella parte meridionale di Norimberga, una ragazza bionda aveva dimenticato un libro aperto, con la costina in alto. C'era poca gente in strada; e nessuno guardava quando dalle pagine bianche del libro cominciò ad uscire, con circospezione, uno stivale nero che si vedeva esser stato lucidato con estrema cura, eppure sporco di polvere.
Seguendo il suo stesso stivale, saltò fuori dal libro il conte Aleksandr Anatol’evič Masloboev, del reggimento Preobraženskij. Questi era inciampato in una virgola mentre andava a capo in una fase concitata di un combattimento attorno ai bastioni di Sebastopoli, in un racconto secondario dell'Ottocento russo; dopo di che si era trovato a sfondare con la punta del suo stivale una parete bianca che non aveva visto. Oltre la parete, attorno al suo stivale, Masloboev vedeva una luce chiara, sebbene non bianca quanto quella del suo lungo soggiorno a San Pietroburgo.
Tuttavia, rifletté Masloboev, sempre meglio del sangue di Sebastopoli, sempre meglio anche della polvere di Kazan, dove un buon impiego attendeva il conte al termine della guerra, dopo il congedo; sempre che ci fosse stato un congedo, sempre che la guerra finisca. Masloboev saltò a terra, si rassettò i calzoni turchini, nascose la sciabola nella siepe a fianco del muretto e si avviò rapido per la Humboldtstraße. La gente intorno a lui parlava tedesco, come il suo padrone di casa a San Pietroburgo. Quella coincidenza per poco non gli strappò un sorriso; di certo non poté che ripensare con simpatia al vecchino, il quale pretendeva di masticare un pessimo russo, e alle sue due figlie, floride e rossicce, che mantenevano nella piccola casa di legno una pulizia ed un lindore che non competevano ad una stamberga di San Pietroburgo.
D'altronde non si è tedeschi per caso, concesse a se stesso Masloboev, mentre percorreva la silenziosa Breitscheidstraße. Per qualche motivo, le automobili parcheggiate al lato della strada non lo turbavano affatto. Entrò in una birreria e pagò con un rublo d'argento, poi rimase a lungo davanti all'edificio che recava la scritta riedificato nel 1954, prima di infilare la Allersbergerstraße e dirigersi verso il centro della città.
Diversi anni dopo, nel medesimo quartiere in cui era arrivato a Norimberga, Masloboev fu investito e ucciso da un'auto, avendo voltato a sinistra senza prestare attenzione. Di lui rimasero, per lo sconcerto del suo investitore e della polizia, solo pochi caratteri tipografici sull'asfalto della Comeniusstraße; e la sciabola lucente, lucente come il mattino o la notte di San Pietroburgo, che aveva appeso al muro nella casetta sulla Ludwigstraße, in cui viveva con una ragazza turingia che parlava un po' di russo.

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