02 novembre 2006

Ortaggi di un mondo crudele

Il ravanello aveva appena bussato alla porta della stanza che subito entrò, trafelato. Il commissario lo guardò con severità. Il fatto che lui trattasse i novellini con gentilezza, e forse con una certa pietà per quel lavoro che si erano scelti, pietà che ad alcuni pareva una sorta di tenerezza paterna, non avrebbe dovuto autorizzare né la giovane primizia rubiconda né chiunque altro a prendersi queste libertà. In fondo agli occhi lo accolse con stanchezza, in ogni caso: sapeva che quell'ingresso irrispettoso significava un'altra notte insonne, lontano da casa. Probabilmente sua moglie aveva dimenticato del tutto il calore delle sue radici che un tempo la scaldavano nel letto, o forse non ci aveva mai contato troppo: le mogli degli sbirri sanno come va. Indubbiamente lo sapeva anche lei, che la luna di miele non sarebbe durata a lungo. Questi pensieri assurdi erano figli del disincanto e della rabbia sorda del poliziotto, più che di un qualche percorso razionale. Lui lo sapeva, e si arrabbiava con se stesso.
"Ehm, Commissario...?", disse finalmente la recluta.
"Cos'è successo?", rispose quello, e già stava riassettandosi le bretelle per uscire. La fondina, quella era sempre rimasta al suo posto.
"Sembra che sia successo qualcosa di brutto nella Città Sud".
"Qualcosa di brutto? Davvero?", ghignò l'altro di rimando. "Già. Sembra che nessuno ci chiami mai ad una festa. Solo cose brutte per gli sbirri!", biascicò svogliato e inutilmente triviale. Si alzò dalla sedia, andando verso lo spolverino che aveva comprato tanti anni prima, da studente.
Il Commissario Carota non era stato sempre quel solido monumento al cinismo che i suoi colleghi conoscevano. C'era stato un tempo, a lui sembrava un milione di anni fa, in cui il suo cuore pulsava di passione e di speranza. Era la gioventù, certamente, che prende in giro tutti: ma era anche la sua ingenua fiducia nel mondo. Aveva spianato con sicurezza perfino irrisoria tutte le difficoltà che gli si presentavano davanti, negli anni dell'Accademia, e si era gettato in quel lavoro con una forza inaspettata, una forza che ora non riconosceva più come sua. Adesso si guardava e si vedeva esangue, quasi che le delusioni -o forse è più corretto chiamarle le esperienze di vita?- gli avessero cavato il suo stesso carotene, lo avessero devitaminizzato come una cottura di molte ore. Gli sembrava perfino ingiusto infilarsi l'impermeabile decisamente liso, ma di una certa elegante sobrietà, che a suo tempo aveva fasciato il giovane entusiasta che gli aveva lasciato il posto. D'altra parte gli sbirri non fanno shopping: fanno loro difetto il tempo e i soldi. Forse il prossimo Natale sua moglie gli avrebbe fatto un regalo, e si sarebbe potuto buttar via quel capo odioso.
La tangenziale scorreva rapida sotto di loro. Il commissario guidava e la recluta osservava avida le luci della città. Il poliziotto più anziano ormai era interessato solo alle zone oscure. Sapeva per esperienza che erano le più interessanti e soprattutto le più vere. Era all'ombra di sinistri palazzoni che succedeva tutto.
"Siamo arrivati alla Città Sud", disse il Commissario, "e quei lampeggianti fanno pensare che abbiamo già trovato anche la via giusta".
Si fecero largo tra viscidi lupini e porri ottusi, giunti lì per ammirare la scena o forse appena usciti dal locale male illuminato che si ergeva davanti a loro.
"E' un locale notturno", rifletté il ravanello, impallidendo chi sa perché.
Il Commissario Carota gli rise in faccia.
"E' un bordello. Questa merda è un bordello. Nella Città Sud non ci sono locali notturni: ci sono solo bordelli", e spinse via degli asparagi che spuntavano curiosi. "Anzi, secondo me non ci sono neanche locali diurni".
Qualche agente del posto di polizia di zona, grosse melanzane dallo sguardo triste, o stupido, o entrambe le cose, cominciò a mulinare i manganelli, con gesto ampio ed abituale, per mandare a letto chi intralciava l'indagine.
Un rozzo cetriolo ebbe la scorza spezzata da un colpo: la linfa gli calava addosso senza che quello se ne desse per inteso. Forse era ubriaco. I suoi amici lo riportarono a casa.
Un poliziotto scortò i due colleghi appena arrivati fin dentro il bordello. L'interno non era né sovraccarico né pacchiano, e per gli standard del quartiere era arduo perfino considerarlo particolarmente lurido. Era un posto normale. Carota rimuginò tra sé che la sua ributtante volgarità stava proprio nel fatto che era così normale. Stava per confessare la sua riflessione al ravanello, ma si fermò. Non avrebbe capito. E poi non voleva mostrarsi debole.
"Commissario, mi segua", fece un cavolfiore dalla larga faccia butterata. "Questa stanza è quella in cui è stato consumato il delitto".
"Come l'hanno...?", esordì Carota. "Voglio dire, che spettacolo devo aspettarmi?".
"Non una bella scena, Commissario".
Carota sorrise, suo malgrado, ed entrò nella camera. Il ravanello volle seguirlo come un cagnolino al guinzaglio, ma non avrebbe dovuto. Al centro della piccola stanza, arredata con il povero gusto di una verdurina appena matura, stavano i brandelli di una zucchina tagliata alla Julienne, con la meticolosità dei criminali. Il ravanello uscì di corsa. Andava a vomitare. La prima volta è normale, Carota lo sapeva. Poi uno si abitua e smette, oppure cambia mestiere. Non si può mica continuare per sempre a vomitare sul lavoro.
Carota non vomitava, ma si sentì invaso da un freddo triste che da tempo non ricordava. Aveva visto decine di cadaveri, forse centinaia, dopo un po' un ortaggio sano smette di contarli: aveva visto propri simili aperti, smembrati, sminuzzati, tritati alla mezzaluna. Aveva visto patate cotte al vapore e pomodori alla parmigiana, nelle truculente vendette della malavita cittadina. Perciò queste cose non le osservava quasi più. Lui guardava i particolari, e questa volta ne era stato colpito con forza: le rozze stampe pseudo-erotiche erano le stesse di ogni locale del genere, ma su un comodino di poco pregio stava un braccialetto di spago, il portafortuna della vittima; e sotto il comò a cassettoni, stranamente antico e bello, la verdurina non aveva fatto in tempo a far sparire del tutto le scarpe di tela, che adesso occhieggiavano ad un metro e mezzo circa dai resti della vittima. Anche sua figlia portava quelle stesse Converse di tela, quelle alte e storiche che c'erano anche nella sua giovinezza di tanti anni prima, e che erano tornate di moda di recente. Una povera piccola verdurina, uguale a mille altre, fatta a pezzi da una furia che non poteva aspettarsi. Carota si avvicinò. Le scarpe erano state infilate sotto il comò con la punta rivolta verso il muro. Slacciate com'erano, presentavano un'apertura piuttosto ampia, quasi del tutto fuorì dalla copertura del mobile. Carota si chinò con delicatezza, e prese in mano le scarpe. Diede loro un'occhiata, scostando le linguette.
Poi uscì, senza posare le scarpe. Il ravanello si era reso di nuovo presentabile e lo aspettava lì nel corridoio, sul quale affacciavano tutte le stanze delle altre verdure. C'erano dei clienti spaesati, rimasti lì a disposizione delle autorità. C'erano le altre, per lo più del bordello, frutti verdi pressappoco dell'età della morta, impietrite dal terrore. E c'era un grosso peperone rosso, seminuda, che fissò con ironica fierezza il commissario. Una volta doveva essere stata l'attrazione della casa, ma cominciava già ad avvizzire.
Il commissario si avvicinò al novizio e gli chiese come si sentisse, con vera tenerezza di cui entrami si stupirono. Il ravanello non rispose e lo guardò, rosso e bianco per l'imbarazzo e per il malessere. In fondo al corridoio troneggiava una porta di legno laccato. Normalmente essa restava chiusa a chiave, perché di lì si andava all'appartamento del tenutario, un anziano carciofo con la pelle quasi del tutto liscia, e della sua famiglia. Era un bordello a conduzione familiare: a suo modo, un posto molto più morale e sicuro del 99% dei luoghi simili. Ora la grossa porta bianca era aperta, perché il proprietario era stato richiamato all'interno dalle urla delle sue dipendenti, che avevano trovato la vittima quando già il crimine era stato consumato. La polizia aveva ovviamente setacciato la casa per controllare che non si trovassero estranei e che tutto fosse in ordine. Ora il carciofo, visibilmente provato ed impaurito, entrò nella stanza di un'altra sua protetta per farsi interrogare. Voleva che i poliziotti lo interrogassero lì, in maniera da chiudere la porta di casa sua e risparmiare quelle brutture alla sua famiglia. Carota guardò negli occhi il vecchio: vide subito quel desiderio, tanto pressante quanto onesto e trasparente, che chiedeva solo di risparmiare ogni stilla di dolore ai propri cari.
Un poliziotto relazionò Carota:"Non abbiamo rinvenuto nulla di strano o di compromettente. Vuole ripetere lei stesso l'ispezione?".
Carota rispose serio:"Agente, conosco la sua professionalità. Posso stare tranquillo, se è lei che ha effettuato la perquisizione".
"Allora posso congedare la famiglia del signor...?". Sulla porta stava la moglie del tenutario con i due figli adolescenti.
"No, perché?". Il commissario sorrise. "Credo che saranno contenti di far compagnia al loro capofamiglia, sarà roba di pochi minuti".
L'interrogatorio si svolse nell'ampio salotto del carciofo. I mobili erano migliori ma non dissimili da quelli del bordello, quanto a stile: forse nell'azienda finivano i pezzi troppo vecchi o quelli che non piacevano più in casa del capo. Il vecchio carciofo liscio era oculato anche in queste cose.
Carota si sedette su una sedia di legno scuro, senza toccare lo schienale. Dei quattro membri della famiglia che gli sedevano di fronte, il vecchio era di sicuro il più impaurito: terrorizzato dalla fine del suo buon nome e del guadagno, tremava senza ritegno. La moglie, ben più giovane e spinosa di lui, era calma, imperturbabile. Il figlio più grande, forse sui diciotto anni, sembrava anche lui teso. O forse posseduto da una qualche inquietudine. Il figlio più piccolo era semplicemente assonnato. Sul suo sguardo di tredicenne non si leggeva l'intelligenza necessaria a capire e a temere una situazione simile.
"Un bell'omicidio", disse Carota. "Spettacolare. Da un po' non vedevo una Julienne".
"Era arrivata da poco. Era gentile con tutti, era carina. Nessuno voleva farle del male".
"Non ne dubito, mio caro. E non dubito certo che per lei una zucchina così giovane e tenera rappresentasse un investimento, anche se è troppo educato per metterla in questi termini. Quanto poi ai clienti, io so che in un luogo così rispettabile e ben tenuto non arrivano i pazzi o i sadici che spesso infilzano le primizie in altri bordelli: nessun avventore dei suoi l'avrebbe voluta morta, e d'altronde non ci sarebbe stato né il tempo né la possibilità di perpetrare un delitto così freddo ed accurato e poi andarsene con tranquillità".
"Ma allora chi...?".
"Vedete, un assassinio del genere non giova a nessuno. Né alla sua buona clientela, che perde un luogo di svago e di ritrovo, né alle ragazze, che di certo non avevano motivi di gelosia (la zucchina era nuova e timida, e poi è noto che qui tutti i guadagni sono amministrati e ripartiti con somma sapienza da Lei, non è vero? Non si litiga per il denaro, quando il padrone ruba anche le mance!), nè di certo al padrone del locale, che vedrà svanire la sua magnifica fonte di reddito".
"Un pazzo! Un pazzo venuto da fuori!". Il carciofo gesticolava, fuori di sé. Carota ne ebbe quasi pietà, poi continuò.
"Sono in disaccordo su entrambe le sue affermazioni. Un pazzo non organizza così bene un omicidio e non riesce a lasciare indisturbato il luogo del delitto. E soprattutto l'assassino non veniva da fuori".
"Non vorrà mica accusarmi...! Ma è un'infamia, una follia!". Il vecchio ora urlava.
"Taccia. Guardi la faccia di suo figlio, piuttosto. Lui non ha perso capitale questa sera, eppure è sconvolto quasi quanto lei, ed in maniera ben più profonda".
L'adolescente rimase attonito; non fece in tempo a protestare con la voce la propria innocenza (gli occhi sbarrati già si dichiaravano estranei), che il padre lo aggredì con furore cieco:"Tu! Ti avevo detto di smetterla di girarle attorno, imbecille! Volevi averla tutta per te ed ora me l'hai ammazzata, non è così?".
"Stia zitto!", tuonò Carota. "Lei non ha mai capito nulla, vecchio cretino. Suo figlio la voleva e l'ha avuta, mentre lei era troppo distratto per notarlo. Ma sua moglie è più attenta di lei, non è vero, signora?".
Tutti tacquero. Nessuno trovò la forza di parlare, questa volta, tranne l'accusata. "Come osa, commissario? Su quali basi mi incolpa di questo delitto?".
"Andiamo, signora! Se perfino un povero scemo accecato dal denaro come suo marito nota il debole di suo figlio per la morta, lei avrà notato di certo anche la relazione... E oggi è andata a chiarire la vicenda. O forse c'era un ibrido in arrivo, e lei aveva già deciso di mettere fine allo scandalo?".
Ora fu la signora a sorridere. "Commissario, lei ha talento, immaginazione e sa narrare. Ma per incolpare qualcuno di un omicidio servono le prove. O vuole tornare a dirigere il traffico nelle campagne degli scalogni?".
"Signora, lei poteva entrare in quella stanza sollevando tensioni in quella verdurina, ma non certo sospetti di omicidio. La poveretta non avrebbe urlato né dato l'allarme e questo lei lo sapeva. Così è entrata a chiedere spiegazioni, poi l'ha colpita approfittando di un attimo di distrazione e mettendole nel contempo una mano sulla bocca: non le ha dato la possibilità di urlare, ma nei suoi ultimi istanti di vita si sarà difesa, o forse solo dibattuta, sfregando la sua tenera scorza contro la sua pelle spinosa. E' presumibile che qualcuno delle sue belle spine si sia spezzata e sia caduta. Ovviamente lei ha avuto il tempo di rimuovere questi frammenti: poteva chiudere la porta con le chiavi di suo marito ed eliminare dal terreno tutte le tracce".
"Dunque le sue prove risiedono nell'assenza di prove? Molto audace da parte sua, commissario!".
Carota si rizzò in piedi. "Grazie. Ma non è propriamente così: vede, lei ha controllato il pavimento con notevole perizia, ma non ha pensato che qualcosa potesse finire in quelle goffe scarpe da ginnastica che portano i giovani. E -guardi un po'- qui in questa scarpa c'è proprio un frammento che si direbbe di zucchina, confitto su una spina di carciofo". E rovesciò il contenuto della scarpa sul tavolo. Il ravanello, che era rimasto immobile fino a quel momento, lo raccolse con le pinzette e con cautela lo mise da parte.
Stavolta fu l'accusata a rimanere muta. Carota le si avvicinò, e le tirò con violenza una foglia, abbassandola fin quasi a strapparla.
"E questa linfa che le è rimasta qui in fondo, non farei spendere tempo e denaro alla nostra Scientifica per sapere a chi appartiene". Carota sogghignava feroce, e incuteva timore anche ai suoi colleghi. "Molto scomodo ripulirsi se si è un carciofo, non è vero, signora?".
"Io... Mi porti in Commissariato, la prego. Là sono pronta a spiegarmi. Qui, davanti alla mia famiglia, sarebbe un'umiliazione che non merito. Ho fatto solamente quello che dovevo". Due agenti fecero alzare l'assassina. Il marito farfugliava qualcosa di irrimediabilmente stupido. Il volto rigato di lacrime del piccolo cominciava invece ad esprimere emozione e dolore, pur nell'ottusità dell'insieme. Abbracciò la madre con forza. Dovettero staccarlo; questa si volse poi al figlio maggiore, che la respinse con un gesto di ribrezzo e lontananza. Carota distolse lo sguardo.
"Portatela via. Io vado a casa, se non avete bisogno di me non chiamatemi".
Uscì. Era l'alba. In macchina, il ravanello osservava i corpi gonfi e lividi sui marciapiedi, che tornavano dal lavoro notturno. Stavolta guidava lui. Taceva. Quella notte era cresciuto, forse.
Carota si fece lasciare piuttosto lontano da casa, perché aveva voglia di camminare. La mattina di inizio novembre gli portò in dono della brina, che gli comparve sul capo quasi senza che se ne rendesse conto. A casa, ancora una volta non riuscì ad evitare di sbagliare le chiavi e di far rumore nell'entrare. Poi si diresse verso la camera della figlia, che dormiva ancora del sonno dolce e pesante che dormono gli adolescenti, pochi minuti prima che la sveglia venga a rapirli al mondo della luce.
Osservò i suoi bracciali sul comodino e le scarpe di tela -dovrebbe mettere le altre, siamo in novembre- ai piedi del letto. Si chinò a baciarla. Sua moglie gli si avvicinò da dietro, un po' stupita e un po' intenerita.
"Amore", gli sussurrò, "è quasi mattina. Devi essere distrutto. Ora vado a prepararti un po' di colazione".
"Aspetta", fece lui stringendole piano un polso, "torniamo a letto. Ho i piedi gelati".

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