24 ottobre 2007

Il racconto di una madre

Ora che dorme nel suo letto, la maglia a righe biancorosse appoggiata sull’uomo morto, il pappagallo variopinto che sonnecchia sul trespolo, beh, guardandolo ora, tutti voi lo giudichereste un bambino normale. Un bambino normale che dorme il sonno sereno dei bambini normali, con i suoi incubi colorati, spaventosi e innocui.
Ma io ricordo il giorno in cui ho saputo di essere incinta, la paura, il terrore; e in tutto quell’aver paura ero molto felice. Poi la mia gioia fu spezzata e mi morì dentro, quando i medici mi dissero che il figlio che avevo in grembo era un pirata. Mi mostrarono l’ecografia: la macchiolina nera che si intravedeva appena, riuscivo a scorgerla?, non poteva essere altro che una benda da corsaro. Uscendo dall’ospedale mi sentii mancare: il mio ragazzo mi prese sottobraccio e mi condusse a casa. Ora è mio marito, non ha mai smesso di sorreggermi. Quella volta riflettei a lungo; poi decisi che poteva anche essere un pirata, ma era il pirata che usciva da me; perciò decisi di sfidare il buon senso scoraggiato degli amici e le mezze parole di sfiducia degli altri, perciò volli tenerlo. Quando nostro figlio è venuto alla luce, mio marito mi stringeva una mano; ha visto spuntare il tricorno e ha avuto la forza di continuare a sorridere, di farmi credere che tutto andasse per il meglio.
Oggi devo dire che aveva ragione lui, o avevano ragione le nostre speranze. Adesso che tutto vive nel ricordo, il suo primo Aaaahhhrrr, il momento in cui mi resi conto con orrore che sul cranio gli stava spuntando una bandana, tutto questo non mi inquieta più. Eppure, per quanto fosse mostruoso, per quante razzie e soprusi potesse compiere, io sapevo già che restava mio figlio. La mattina gli mettevo a posto la sciabola e la cartuccera e lo mandavo a scuola. Gli altri bimbi lo evitavano, perché puzzava di rum e perché saltava sulla cattedra e prendeva a piattonate la maestra. Non è stato facile crescerlo, ci sono stati momenti di sconforto che sembravano infiniti; poi sentivo la sua voce per le scale, i suoi Corpo di mille balene!, e di nuovo trovavo la forza per sorridere e tornavo a preparargli le gallette.
Pian piano, col tempo, ha imparato a dire grazie quando una vecchietta gli mormora che è proprio un bel pirata, e a togliersi il pugnale dalla bocca; se gli regalano una moneta, si inchina fin quasi a far cadere il pappagallo dalla spalla, poi la infila nello stivale e corre a giocare con gli altri bambini. A volte, di sera, mi sorprendo a domandarmi che sarebbe stato della mia vita se lui non fosse stato così: poi però lo osservo raggomitolato nelle sue coperte, mi avvicino piano piano e lo accarezzo sul capo. Lui cerca di raggiungere le sue pistole, poi si raddolcisce subito e bisbiglia un Ahr flebile e strascicato. Lo bacio a lungo, dolcemente, e so che è il mio pirata e non poteva capitarmi di meglio.

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