06 ottobre 2008

Il mio corpo è una gabbia

All'esterno, il corpo della donna è meraviglioso. Il viso, prima di tutto, è un viso dolce senza avere nulla di molle: le labbra delineate che pure si indovinano soffici, gli alti zigomi tartari, il volto largo incoronato di capelli indecisi se essere castani o rossi. Sotto il collo bianco stanno spalle e scapole larghe, addolcite dal seno generoso e morbido; tutto è vasto e accogliente nella donna, le lunghe cosce color madreperla, il ventre rosato, i fianchi in cui solo un pazzo non sognerebbe di perdersi, e quel sedere tondo e magnifico. Solo gli occhi sono scuri e torbidi, e lo sono perché riflettono quel che c'è all'interno.
All'interno, si agita nella donna un malloppo nero e molliccio, eppure in grado di graffiarle le pareti dell'anima quando si divincola, quando urla, quando ha fame; per placare le richieste di quel fagotto opaco e per calmare il proprio dolore, la donna uccide. Dal suo stivale destro, la donna estrae un corto pugnale e colpisce più volte l'uomo sdraiato sul letto, seminudo e impacciato; pianta il coltello nello sterno di lui, nella pancia indifesa, sotto i testicoli già alti. Poi fa rotolare il corpo, perché quel sangue non macchi il materasso, e osserva il sangue di lui che defluisce, il sangue che la natura aveva convogliato in basso per tutt'altri scopi.
Quando la donna porta quegli stivali, gli uomini osservano ammirati la bellezza di quelle gambe; e non immaginano di star contemplando la propria morte.
Poi, un giorno, la donna incontra un uomo. Lei indossa i suoi stivali, si dirigono assieme all'abitazione di lei. Lui ha le braccia lunghe, vede che lei è bella, ne è felice e non può fare a meno di abbracciarla; quando la cinge, le braccia di lui sembrano smisurate. Quel che è strano, però, è che l'abbraccio di lui zittisce le urla della cosa nera; il malloppo si muove, prova a ferire l'anima della donna, ma i suoi lamenti sono quelli di un bambino assonnato. Poco dopo, la donna sente che il fagotto dorme.
Quando si risveglia, sono passati mesi o forse anni, ma la donna e l'uomo sono ancora vicini, sdraiati sul letto, nudi per il caldo e perché nudi e vicini stanno bene. Lui dorme su un fianco, sogna dei sogni suoi; la donna si sveglia di soprassalto appena avverte quella sofferenza flaccida e acuta che conosce bene. Per tutta la notte, il corpo meraviglioso di lei è scosso e agitato dal risveglio del malloppo nero, dalle sue urla e dalla sua fame.
Quando arriva la mattina, l'uomo si sveglia e si gira verso la donna, verso il corpo bellissimo che ben conosce. Lei dorme, sfinita; sopra il corpo irrigidito dalla lotta e dalla stanchezza i capelli di lei sono diventati bianchi. Ma dagli occhi chiusi, che ora dormono appoggiati sugli zigomi tartari, dagli occhi è fuggito quel che c'era di torbido.

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