09 luglio 2009

Cronaca di una malattia

I sintomi, prima di tutto bisogna chiarire i sintomi. Quando è con una donna, quando parla con una donna, l'uomo si astrae dalla conversazione, pur continuando a portarla avanti e a risultare anzi simpatico e brillante, e pensa solo alla sua interlocutrice con qualche vestito in meno, poi in diversa angolazione e con altre assonometrie, poi con ancora meno vestiti e in prospettive ancora differenti. A quest'uomo piace molto parlare con le donne. Fin qui, dunque, tutto normale: che dovrebbe fare, uno? Parlare con tavoli, crostate, maschi, castori? Bisogna essere seri. Bisogna essere seri ed obiettivi, quando si ha a che fare con una patologia.
All'uomo non piace semplicemente discutere ed immaginare. L'uomo che si avvicina ad una donna sente uno strano scatto alla mascella, la propria espressione di sempre mutare: l'uomo non può vedersi, ma sente sul proprio volto un sorriso lontano e felice, il sorriso di uno che ha nuotato a lungo, o il ricordo di una risata di ieri, o la profezia di una felicità necessaria (ancora quasi invisibile, ma inevitabile). E poi gli occhi, gli occhi e lo sguardo: lo sguardo dell'uomo, se parla con una donna, obbedisce a strane polarità, si abbassa per un momento a cercare qualcosa in qualche lontananza, poi si solleva di colpo negli occhi di lei e vi entra come in un qualcosa di familiare. E quando parla lei, il silenzio dell'uomo è disteso al fianco di lei, attento e vicino; quando invece parla lui, le sue parole sono carezze.
Dice il medico che nasce tutto da una introiettata volontà di piacere, che la psiche ha plasmato il corpo e la pratica, che non si può parlare di fascino ma solo di istinto, non più di conquista ma solo di patologia, e che l'uomo deve curarsi se vuole ritrovare la propria sanità e reinstaurare un rapporto finalmente sensato con l'altro sesso. L'uomo è sul lettino, annuisce, ha coscienza di tutto e concorda su ogni cosa. Non è normale piacere a tutte, dice il medico, ma lo dice con un fastidio che ha poco a che fare con la distaccata deontologia della professione.
Fatto sta che un giorno l'uomo è in una stanza bianca, aperta su un parco pieno di voci e di canti di animali; una tenda, bianca anch'essa, vela la luce del sole. L'uomo siede sul letto, i palmi appoggiati a lato delle cosce, lo sguardo e la mente vagano chissà dove. Entra un'infermiera esile, dai capelli castani (una ciocca le scende sul viso), e dice qualcosa al malato distratto: questi alza la testa, i suoi occhi sono subito in quelli di lei, e dicono - come si dice senza parole - di aver trovato in quegli occhi ciò che prima cercavano nelle loro distanti profondità. In caso di attacchi si deve chiamare il primario e iniziare la procedura d'urgenza; l'infermiera ovviamente lo sa, però esita.
La guarigione richiederà tempo.

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