29 settembre 2006

L'adolescenza fa male all'amore

Ero lì che guardavo il mondo che girava intorno a me, poi d'improvviso lei sorrise.
"Chissà chi è costei che mi sorride", mi venne spontaneo pensare. Poi arrossii, quando mi sovvenne la possibile lettura volgare del mio pensiero*. Fortuna che non mi aveva sentito nessuno**.
La ragazza si avvicinava a passi lenti e misurati. Ogni passo che faceva era un passo in meno che la separava dal limitare della sua giovinezza. Io lo sapevo, ma ero contento perché lei era bella.
Si sedette vicino a me sulla panchina verde. Io non avevo nulla di intelligente da dirle. Per fortuna, arrivando al parco tre ore prima, avevo trovato sulla panca una copia di Libero ed avevo letto l'editoriale del giorno. Feci uno sforzo per ricordarne esattamente il contenuto e le espressioni e poi, con un bel sorriso, le ripetei tutto il contrario.
Lei mi ascoltava con attenzione, anche se ognuno dei suoi guanti di lana indugiava sul suo omologo di destra/sinistra, sinceramente stupito della sua esistenza, e lei non poteva non tenere d'occhio un simile, raro, spettacolo della natura.
"Interessante", disse alla fine. E sorrise ancora, abbandonando i guanti alla loro capoeira di polpastrelli yoruba. "Ma io ero qui per parlare di Ševčenko".
Disse proprio così, con i due gabbiani a posarsi sulla "s" e sulla "c"***, e io seppi che mi piaceva, oltre ad essere bella.
"Sai che oggi è il suo compleanno", riprese lei, e mi guardò negli occhi.
"Anche di Berlusconi", risposi io, e volevo toccarle la punta del naso.
"Vero, ma Ševčenko è giovane e biondo e a lui si può perdonare".
"Non è poi giovanissimo, oramai".
"Infatti tante cose non gliele perdoniamo".
Io sollevai il viso per guardarla bene e dirle che era bella, ma proprio in quel momento Numana entrò in collisione con un meteorite che cambiò di pochissimo l'inclinazione dell'asse terrestre, quel tanto che bastava a far entrare il mondo in Jack Frusciante è uscito dal gruppo.
Io sulla mia panca sentii solo un rumore secco, come uno gnomo con il casco integrale che prende la rincorsa e sbatte fortissimo contro una cassetta della posta, e non diedi troppa importanza alla cosa.
Stavo per spiegarle ciò che pensavo di lei, e pensavo di lei che era come il gol di Андрій Миколайович Шевченко alla Juve tanti anni fa, inaspettato e meraviglioso, quando la mia bocca disse in effetti:"Che poi quando ti ho visto è stato subito come i Negu Gorriak che si calano e poi suonano Gora Herria, è stata una di quelle botte che dopo può succedere di tutto, tipo che anche Gary Lineker si sarebbe fatto espellere in cinque minuti se ti avesse visto, se avesse avuto una come te che lo aspettava in bici davanti White Hart Lane, allora il vecchio Gary non ci avrebbe pensato un minuto ad allungare un pugno al balordo con la maglia degli Wolves, che gli sussurrava cose sulla madre (brutte cose, lasciami dire, cose lette e memorizzate tanti anni prima al cesso del scuole medie, giù a Swindon). Che poi tutto il pubblico l'avrebbe applaudito, al vecchio Gary che usciva, perché allora c'era ancora un odore di 4 Skins nell'aria cockney, e un pugno era pur sempre una bella risposta. E poi Gary sarebbe uscito dallo stadio, con la sua incredibile maglia bianca e la faccia da Lord, e sarebbe salito sulla sua, di bici, e ti avrebbe seguito fino al primo parco, mentre la gente a White Hart Lane continuava ad applaudire e gli Wolves non sapevano se battere quella punzione o andare a chiedere scusa. Kazzo, io ora come ora mi sento così! e sono felice! Felice che ci siamo solo noi due qui, e andiamo in bici e il resto della gente al parco parla ma è già morta e non lo sa. E io ti voglio prendere per mano e ridere con te mentre io parlo di non so cosa e tu ti nascondi nell'erba alta".
Che diavolo avevo detto?
"Scusa giovane, morto a chi?", disse uno degli altri nel parco, sentitosi denigrato e non avendo evidentemente colto il pathos adolescenziale.
La ragazza mi fissava con gli occhi sbarrati. Fu proprio allora che gli ingegneri danesi del pronto intervento rimisero a posto l'asse terrestre e annullarono ogni possibilità di spiegarle i motivi della mia uscita.
Lei si alzò dalla panchina, senza perdermi di vista. Non sapendo che aspettarsi da me, si allontanò pian piano, dapprima camminando all'indietro, poi si girò e corse via.
Io avevo perso per sempre colei che così profondamente mi aveva colpito, e senza neanche che fossi riuscito a dire una sola parola su Valeri Lobanovski.
Sentivo che avrei potuto amarla, se solo Enrico Brizzi non si fosse messo tra me e lei, molesto ed inatteso come un canguro in camera da letto, un giorno che volete fare l'amore con la vostra donna.
Io me ne andai maledicendolo aspramente (Brizzi, non il canguro). Salii sulla mia bici e mi lanciai a perdifiato per la discesa di via Justin Fashanu, cercando di raggiungere una velocità sufficiente a rendere impossibile ogni tentativo di tenere gli occhi aperti senza piangere. Ed era proprio la scusa di cui avevo bisogno, mentre pedalavo via dal mio dolore, e saettavo come Girardengo, solo più alto e ska.

*Per capire la possibile lettura volgare cui accenna il protagonista di questo post bisogna avere una certa familiarità con la scrittura armena e con gli archivi segreti di Laiazzo/Ayas. Ma non è importante, anche togliere le zecche a vs. nonna non è male come hobby.
**Che i pensieri si possano ascoltare o no, è materia controversa. La Sony in ogni caso dispera di riuscire a presentare il suo Thinkplayer prima del 2009.
***Per l'idea dei gabbiani, grazie Milan. Kundera.

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