10 dicembre 2009

Del socialismo, del bianco e di altre cose che si rovinano

La colpa di tutto (tutto!) in fondo è del socialismo. Del socialismo e di Gary Lineker, alleati in un abbraccio vizioso che ha condotto un uomo di ventinove anni ad essere de facto un fallito. In termini strettamente tecnici, badate: non crediate che stia cercando conforto o comunque mi voglia lamentare di qualcosa.
Telecapodistria trasmetteva - trasmette ancora, ma le hanno cambiato o indebolito le frequenze, e oggi fa più fatica a superare il mare e ad inerpicarsi per le colline marchigiane; e in ogni caso da quando è crollato il comunismo fanno vedere solo merda - Capodistria, dicevo, trasmetteva le partite di calcio internazionali, dei campionati di Germania Inghilterra e forse Spagna. Ed era un sogno stare seduti in casa (raramente in poltrona, ché un bimbo ha una diversa frenesia che mal si concilia con quel genere di seduta; più facilmente sul cavallo a dondolo in legno, anche lui molto sloveno come foggia e concetto, che ha trasbordato la mia infanzia fino alle soglie della giovinezza, perché era robusto e ci sono rimasto seduto molto a lungo) e vedere le squadre tedesche coi nomi buffi - Uerdingen, Wattenscheid, Colonia; quest'ultima fa ridere perché normalmente la colonia la metteva nonno, oppure ci andavo nei tempi già per me remoti in cui ero piccolissimo, tipo due o tre anni prima - e quelle inglesi con le loro maglie bellissime.
Le squadre di calcio italiane, negli anni Ottanta, come peraltro oggi, avevano delle magliette orrende, con dei profondi scolli a V e delle colorazioni banali e stinte; stinte nell'anima, prima che nella stoffa. Potrei fare un'eccezione per l'Hellas Verona gialloblù, specie in certe rare versioni a quadri che oggi ricordano solo alcuni cataloghi di calcio in punta di dito; ma non mi spingerò oltre nella difesa dei nostri vessilli. Viceversa, in Inghilterra c'erano magliette da calcio celesti e rosso scuro (la parola "amaranto" l'avrei imparata solo tempo dopo; per me, dunque, l'Aston Villa era celeste e rosso scuro, o al limite bordeaux), bianche e blu a righe orizzontali, oppure gialle e verdi, ed erano tutte bellissime. Ricordo distintamente una partita tra Arsenal e Norwich City giocata sotto la pioggia e risoltasi in una mezza rissa in cui si sarebbe segnalato un irlandese di nome David O'Leary. In quella partita io sostenevo da lontano ma convintamente il Norwich, per via delle brillanti divise gialloverdi, che non potevano che entusiasmare il gusto primitivo di un bambino; solo il tempo e l'educazione alla bellezza mi portarono a riconsiderare la mia posizione, e a stimare le maniche bianche dei londinesi come un segno di eleganza difficilmente superabile.
Ma il migliore di tutti aveva la maglietta bianca; e nonostante quell'assenza di colore era già ai miei occhi infantili e tonti il più grande. Il bianco è spesso pesantezza, volgarità, ostentazione; un marchigiano, che vive nell'armonia, queste cose le capisce d'istinto, anche se non ha ancora ricevuto il sacramento della comunione. Eppure, per Gary Lineker non era così: il bianco delle divise del Tottenham era lo specchio fedele di una pulizia e di un'onestà tanto sincere da suscitare solo ammirazione, e mai invidia. Lineker e la sua maglietta bianca ripulivano perfino i sentimenti di chi semplicemente guardava: potevi voler diventare come lui, da grande, un uomo adulto e rispettabile che si guadagnava la vita giocando, e che nel suo giocare si era mantenuto lindo, divertito e onesto come un bambino che non abbia ancora iniziato la scuola calcio (lì, tutto ti insegnano tranne che l'onestà, o come si faccia a diventare, o restare, Lineker. Ma queste sono divagazioni).

Un modello, capite? L'ometto in bianco era un modello, ché dimostrava come si potesse essere belli e candidi e puliti come la sua maglietta anche da adulti, e come si potesse giocare sempre secondo le regole, senza una sola tentazione in tanti anni di carriera - senza un solo cartellino giallo! - e giocare comunque molto bene; anzi, benissimo, in maniera davvero ammirevole agli occhi capaci delle telecamere inglesi e dei ripetitori ancora jugoslavi, ma per poco, di Telecapodistria.
Dunque è colpa sua, perché non è vero che giocare con la maglia bianca sia sempre possibile. A volte, invece, uno si trova a pensare che la vita adulta sia molto più simile ad una rissa tra divise vagamente rosse (maniche zuppe e terrose, che han perso il loro bianco) e altre originariamente gialle e verdi, ma anche loro sporche e sudate e tanto lontane dalle tinte di partenza. Soltanto che Lineker giocava bene anche con la pioggia, e sempre pulito e forse perfino bianco e asciutto ed elegante; mi ha fregato, Gary Lineker, mi hanno fregato lui e i programmi televisivi delle reti comuniste.
Dovrei togliermi un momento questa maglietta bianca e citarli per danni, la Jugoslavia e Gary Lineker, ma come si fa? Erano entrambi tanto adorabili.

(pubblicato anche su Cabaret Bisanzio)

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