11 giugno 2009

La mia vita con il piccolo

È nato, non atteso, quando mi sono trasferito all'estero. Io ero lì che cercavo di spiegare un concetto complesso a questi barbari e lui è intervenuto così, senza neanche avvertirmi, coi suoi termini infantili e la semplicità banale della sua sintassi. Per fortuna che qui sono gente ingenua e di buon cuore, lontana un milione di chilometri dalla furbizia maligna di noi latini: hanno sorriso e hanno rivolto i loro sguardi chiari verso di me, verso il frugoletto che mi si era arrampicato in collo.
Mio figlio, la lingua straniera.
Da allora non mi ha più lasciato, e io mi sono anche affezionato a lui. È cresciuto, si è fatto un pochino più acuto, scandisce meglio le parole e ha smesso di balbettare. Non che sia diventato un grande oratore o abbia acquistato anche solo una risposta mediamente pronta: ma insomma, sarà che a forza di star qui sono cambiato anche io, fa tenerezza anche a me. Ha qualcosa di me alla sua età e perfino, questo è strano, qualcosa di me adesso. Ho scoperto che gli piacciono molto le donne: non so se è normale, alla sua età, ma mi capita spesso di osservarlo mentre si avvicina (dopo lunga indecisione, le mani nervose a giocherellare col boccale di birra; vien davvero voglia di abbracciarlo) ad una ragazza, riversandole addosso, con la voce più profonda che possiede, le quattro assurdità che conosce del mondo e della vita. Non so se è normale che mio figlio ricerchi una tale compagnia. Forse no, tuttavia la cosa non mi stupisce granché; mi sorprende molto di più, e non riesco a celare a me stesso l'orgoglio paterno - ingiustificato - che mi riempie, quando la ragazza prescelta gli sorride, gli parla come se fosse uno grande, a volte gli prende la mano e lo porta via con sé.
Io non intervengo, in quei casi. Mi fa comodo lasciarlo fare, in fondo, se non altro perché non sempre c'è bisogno di parlare, e quando si sta zitti il piccolo svanisce.

categorie:

visite dal 24 ottobre 2006