04 agosto 2007

Il primo portoghese nello spazio

Al mio oceano.
La mia città di qui non si vede, ma non m’importa granché. Quello che mi interessa è che si veda l’Oceano, e di quello ne ho finché ne voglio. Da bambino facevo lo stesso: andavo alla spiaggia, rivolgevo ostentatamente le spalle alla mia cittadina sonnacchiosa e mi mettevo a guardare l’Oceano. E l’Oceano era bello, bello, bello. Un giorno ho deciso che volevo partire; ma non potevo passare per la mia cittadina addormentata sulle dune, accoccolata e pigra come un gatto persiano, perciò pensai che avrei dovuto solcare l’Oceano. Però un giorno a scuola mi hanno detto che l’epoca delle grandi esplorazioni era finita da un po’, che non c’erano più destinazioni libere per mare, dato che ormai si sapeva sempre dove si sarebbe arrivati. Dunque partire non aveva più senso. Non ha senso partire se sai già dove vai.
Voi mi capite, vero? Non potevo andare avanti e non potevo andare indietro. Ero un ragazzino imprigionato sulla spiaggia e non sapevo cosa fare. Allora fuggii verso l’alto. Avrete letto anche voi del primo portoghese nello spazio: tutti i giornali hanno scritto di me. Tutto il Portogallo ha conosciuto il mio nome. Le bande cittadine hanno suonato per me e le ragazze mi hanno sorriso. Il presidente mi ha stretto la mano, grave, poi ci ha ripensato, mi ha sorriso e mi ha dato una pacca sulla spalla. L’arcivescovo ha mormorato qualcosa, quindi ha gettato dell’acqua e ha bagnato me e il mio casco rotondo; eppoi sono partito ed ero felice, perché non sapevo dove stavo andando. Guardando verso il basso, ho visto i fragori colorati dei fuochi d’artificio mischiarsi ai bagliori del mio razzo che saliva.
Credo che ormai il fumo si sia diradato, giù in Portogallo. L’arcivescovo starà rivolgendo altrove il suo aspersorio, il presidente avrà stretto fraternamente parecchie altre mani sconosciute, le ragazze staranno sorridendo ad altri uomini che non sono partiti. Io ogni tanto distolgo lo sguardo dalla notte in cui sono immerso e mi metto a cercare l’Oceano, con il casco rotondo appiccicato al portellone. Respiro. Poi ho sonno e dormo. Quando mi sveglio, è ancora buio: la mia navicella è una supposta grigia nel culo della notte. Rido.
Poi trovo di nuovo l’Oceano al di là del portellone, alla fine della notte, e sono felice. Mi viene in mente che sono uno dei pochi uomini ad aver realizzato il proprio sogno di ragazzino: sono partito davvero, sono il primo portoghese nello spazio. Quando tornerò, il presidente mi stringerà di nuovo la mano, la banda suonerà per me, le ragazze mi sorrideranno ancora. Mi fa un po’ male il cuore, e sono felice.

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