10 ottobre 2008

1939

Ultimamente, quando mi avvicino ad una donna, mi piace confidarle che sono del '39.
-Hai 70 anni?, chiede lei.
-69, rispondo, e ammicco; ma non troppo, perché ho un'età e una morale. Man mano che andiamo avanti a discutere e guardarci, le racconto di me, di mia madre che mi ha allevato con tanti sacrifici durante la guerra, di mio padre che non è tornato dalla Russia e l'abbiamo saputo solo qualche anno dopo la fine di tutto, lo stesso giorno in cui la radio ha detto che era morto il Torino; e per me quel giorno è finito tutto, avevo dieci anni ed ero senza padre e senza eroi.
Quando poi, supponendo che io non sia del '39, mio padre fa il postino ad Anzio e si diletta di modellismo. Mia madre, sempre che non mi abbia partorito nel '39, non sa neanche dove sia, la Russia.
Se beviamo ancora un po', dico alla donna quanto sia ingrato vivere sapendo di essere ormai vicini alla data di scadenza, vivere nella provvisorietà di sé; e contare il tempo che ti separa dall'ultima volta che hai visto gli occhi di una donna standole sopra, e aver dimenticato come è fatto un corpo di donna giovane e sodo. Mi piacerebbe essere ancora un po' vivo, stanotte, le dico così, e le mie dita lunghe sono da un po' sulla sua schiena, discrete. Lei mi guarda negli occhi.
Più tardi siamo a casa mia, e io ho messo sul piatto un vinile di Achille Togliani. Lei, che lo vede da vicino, è stupita dal mio ventre piatto, dai miei peli soffici e neri, dall'ardore e dalla fermezza dei miei stanchi assalti di sessantanovenne. Arriva quasi ad insinuare dubbi sulla mia età.
-Chétati e suggi, le suggerisco. Lei si placa, convinta dal mio eloquio d'antan, e io posso tornare a rievocare un incontro di boxe cui immagino di aver assistito alle Olimpiadi di Roma del '60.

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