24 febbraio 2010

Silenzio (una storia di famiglia)

La casa è giù, giù in basso, e la valle è così stretta e profonda che agli abitanti della casa pare di essere al fondo di un imbuto; e sembra loro che la neve che scende ormai da quattro giorni scivoli giù per i pendii ripidi e si raccolga tutta intorno alla loro dimora di pietra, fino a soffocarla nel bianco e nel silenzio. Ma sbagliano, perché c'è neve, ed è ormai molto alta, anche sulle creste che chiudono la valle e sul piccolo cimitero in cima ad una collina, che dona alle tombe una veduta piuttosto ampia su quest'angolino di mondo.
Dentro al cimitero ci sono le tombe di numerosi familiari e parenti morti nel corso dell'ultimo secolo; e dovrebbe esserci anche il nonno, ma non c'è. Non c'è perché è morto quattro giorni fa, mentre i primi fiocchi facevano la loro comparsa al fondo dell'imbuto, e non c'è stato modo di portarlo via, con tutta questa neve; non c'è perché è ancora in casa, sdraiato sul letto, zitto zitto, e il suo silenzio si confonde con quello della neve e con quello della famiglia, che di là si scalda davanti al fuoco: qualcuno vi getta i gusci vuoti delle castagne appena estratte dalla cenere.
Il prete ha fatto in tempo soltanto a somministrare i sacramenti, poi si è gettato fuori, in mezzo alla neve che già si ammucchiava, diretto alla sua chiesa in cima all'erta. Sono rimasti d'accordo che appena avesse smesso sarebbe tornato, e avrebbe accompagnato la bara nel tragitto verso il cimitero.
Per quattro giorni, tuttavia, non ha smesso di nevicare; e quando nevica il mondo si ferma e la natura smette di fare il proprio corso, per cui neanche ai morti è consentito prendere iniziative. Così, sotto la neve, il nonno è restato in casa, e per quei quattro giorni è rimasto ancora uno della famiglia. Di là sul letto, sia pure in silenzio, sembrava osservare i bambini annoiati e le donne che tiravano la sfoglia di polenta.
Poi ha smesso di nevicare, e allora è stato il momento di portarlo via. Gli uomini hanno fatto la rotta, scavando una via nella neve con pale e vanghe. Il prete non poteva però avventurarsi in fondo alla valle, con la neve che gli arrivava a metà tonaca e anche più su; allora dalle case vicine hanno urlato che avrebbe aspettato il morto su in alto, al cimitero, e chissà com'era arrivata quella notizia. In ogni caso, le donne e gli uomini della valle hanno accompagnato la famiglia e la bara grezza su per la salita: le donne hanno recato conforto con i rosari, gli uomini con le pale.
Com’è la norma dopo le lunghe bufere, il cielo era pienamente terso, e il freddo era acutissimo: i raggi ghiacciati del sole si infilavano nei panni rozzi e pesanti dei contadini come coltellate. La bara, la si portava a slitta o a spalla a seconda dei tratti; per quattro chilometri le donne hanno mormorato qualcosa nel latino delle campagne marchigiane, mentre gli uomini si sono sforzati di trascinare la bara e trattenere le bestemmie. Alla fine, il corteo accaldato e gelido ha raggiunto il cimitero, dove il nonno, calato in una buca nel terreno sgomberato della neve, è potuto morire anche socialmente, ed ha abbandonato la famiglia.
Il corteo funebre si è ritrovato in seguito nella casa in fondo alla valle, dove si sono date pacche sulle spalle e si è bevuto del vino rosso; il nonno, piantato nella terra, è rimasto in alto, a vegliare sui campi e i boschi dove vive e lavora la famiglia, dove è vissuto e ha lavorato lui. Un merlo nero è atterrato sulla tomba, attirato dalla terra smossa di fresco, ed ha zampettato un po’ in cerca di cibo; poi è sparito in tutto quel bianco.

(domani anche su Microcenturie)

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