11 marzo 2011

Un amore

Sarà per i vialoni larghi o per il silenzio perfetto e intatto che a volte cala sulla città e sembra inghiottirla per secondi interi, o forse le cause sono altre e non hanno nulla a che vedere con queste; fatto sta che ci sono notti, alla periferia meridionale di Roma, che sembrano notti di paese e di campagna: capita a volte, perciò, di uscire da una casa rumorosa e piena di risa e di discorsi e di ritrovarsi ingoiati in quella oscurità inaspettata e misteriosa, e nonostante i lampioni, nonostante le insegne, ti viene naturale e istintivo alzare gli occhi al cielo e pensare di vedere le stelle.
Fu in una notte così che una ragazza chiuse alle proprie spalle il portone del condominio dove vivevano i suoi amici, dai quali aveva trascorso la serata, e si avviò in strada: prima di far scattare la serratura controllò, come faceva sempre, che non si vedessero losche figure in strada e che i marciapiedi fossero sgombri. Doveva fare poche centinaia di metri, ma una ragazza sola ci pensa sempre. Tirò su il bavero del suo elegante cappotto nero, per il freddo e perché non voleva farsi guardare in faccia, e cominciò a camminare svelta. Per strada non incontrò nessuno. A metà del percorso, tuttavia, ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa di strano e sospetto nel silenzio che pareva fagocitare tutto e accelerò ulteriormente il passo; ma si calmò subito, arrossì perfino un poco sotto il bavero e diede la colpa di tutto a quella notte particolare.
Giunta davanti al cancello di metallo che dava accesso a due scale di appartamenti (lei stava nella seconda, al terzo piano), sentì una voce che veniva dall'altra parte della strada. Non comprese le parole, ne avvertì soltanto il tono dimesso e gentile; però si affrettò ad aprire il cancello e a passare dall'altra parte.
- Signorina!
Stavolta capì. Al sicuro dietro il cancello di ferro, non si mosse e attese che quella voce si avvicinasse.
- Signorina, ha da fare?, disse la voce, trafelata, e dietro quella voce apparve tra le auto parcheggiate in maniera piuttosto arbitraria un ragazzo con un giaccone scuro, molto pesante. Teneva una mano all'altezza del petto e si muoveva con goffa delicatezza, come se nascondesse qualcosa di fragile e prezioso all'interno del giaccone.
- Devo andare a letto, domani ho lezione. La domanda era evidentemente assurda, ma lei aveva comunque deciso di rispondere.
- Cosa studia?
- Faccio lettere, domattina ho lezione di paleografia.
- Ah, paleografia! Bellissimo, davvero! Non speravo nulla di meglio...
La ragazza sorrise e poi ribatté, con un pizzico di stanca sufficienza.
- Le interessa? Conosce l'ambito? Io credo che faremmo meglio ad andare a letto, è tardi anche per te. Le era parso normale e automatico passare al tu: quel ragazzo poteva avere due o tre anni più di lei.
- No, signorina, aspetti un secondo. Ecco, questi sono per lei. Sono... per te. Così dicendo, il giovane aprì il giaccone pesante (lei fece per ritrarsi e si addossò al muro) e ne trasse un mazzo di fiori: erano tutti bianchi, tranne un paio di garofani rossi nel mezzo.
La ragazza prese i fiori attraverso le sbarre del cancello, con estrema cautela e senza mai smettere di controllare con gli occhi ogni mossa di lui.
- Sono molto belli, disse infine. Il ragazzo, sotto il giaccone, aveva una giacca blu e una camicia a righe strette, con una cravatta scura. - Come mai sei vestito così? Mi aspettavi? Mi seguivi?
- Io... no. Io non ti conosco. Abito qui di fronte (e fece un gesto con la mano, verso un palazzone rosso, che a quell'ora era quasi nero). Studio anch'io, ma faccio tutt'altra facoltà... Tu non sei di Roma, no?
- No.
- Neanche io. La settimana scorsa è morto mio padre, sono tornato da poco.
- Mi dispiace, ma io...
- No, figurati, era un uomo anziano, era malato da un po', non è questo il punto. È solo che mi sono reso conto che sono qui senza un vero motivo, da anni - sì, mi laureerò, probabilmente avrò un lavoro, ma non è questo - e non ho un punto fermo, non ho stabilità, sono un uomo, mio malgrado, e non ho costruito nulla.
- Credo che sia normale, e comunque è molto tardi per discutere di filosofia...
- No, no, non voglio discutere di massimi sistemi, voglio restare al mio caso personale, che è già abbastanza complicato per me...
- Del tipo, correggimi se sbaglio: sei giovane, hai avuto una disgrazia, saresti già confuso di tuo, adesso lo sei doppiamente e non sai bene cosa fare della tua vita. Ti assicuro che è un problema diffuso, e adesso però vado a letto.
- Ma io so benissimo cosa fare, scusami: cioè, non è che mi vesta sempre così e vada in giro per Roma alle due di notte. Io vorrei chiederti di sposarmi.
- Ma tu mi conosci o ce l'hai con me. Lo sai che è reato, sì?
- Io non ti conosco, te l'ho detto. Io ero qui davanti, ti ho vista rientrare, avevi questa ciocca di capelli che usciva dal cappotto... Ho solo pensato che eri bella...
- E mi hai chiesto di sposarti.
- Sì.
- Ma che facevi in strada, vestito così?
- Aspettavo. Abitano tanti studenti, qui, attendevo che qualcuna rientrasse a casa.
- Mi hai scelta perché hai visto me, perciò?
- Sì.
- Ma che vuoi da me?
- Voglio chiederti di sposarmi.
- Ma perché dovrei? Che vuoi da me? Io non ti conosco.
- Neanche io ti conosco, ma cosa vuoi conoscere? Mio padre mi ha detto, dieci giorni fa, con quel tono saggio e ridicolo che hanno le persone deboli e malate, di trovarmi una brava ragazza, "quando sarà il momento". Ma quand'è il momento? Io ho bisogno ora di una persona, non voglio aspettare altri anni vuoti e inutili.
- E la cerchi così, a caso?
- Beh, ma si cerca sempre a caso, non c'è modo di scegliere la persona giusta, ammesso che ne esista una. Io poi sono un tipo abbastanza riservato, non riuscirei forse neanche a portare avanti tutta quella indagine - dai, diciamo così - che sarebbe necessaria per trovare uno straccio di persona, non dico giusta, ma insomma, plausibile. Allora ho deciso che avrei provato con una sconosciuta, ho comperato i fiori... e sono qui. Cioè, ho deciso un'ora fa, ma qui c'è un fioraio sempre aperto.
- Quello in piazza, sì.
- Ché poi dicono che i fiorai aperti di notte nascondano qualche traffico illegale...
- Sì, è noto, lo dicono tutti, ma non ho mai capito cosa dovrebbero nascondere... Ma perché di notte? Ti rendi conto che è da malati? Tutta questa storia è da malati, ma perché farlo di notte?
- Tu fermeresti degli sconosciuti di giorno? Considera che io vivo qui nel quartiere, eh.
- Questo ha senso, in effetti. Ma tutto il resto...
- Beh, ma che senso dovrebbe avere?
- Forse che due persone si piacciono, si innamorano, poi stanno insieme, e via così, insomma, poi pensano a tutto quello che deve venire? Non lo so, dimmi tu.
- Ma non è che l'amore in sé garantisca chissà cosa... E poi l'amore può arrivare dopo. Dicono che funzionino meglio le unioni programmate, rispetto ai matrimoni d'amore.
- Si dicono tante cose, molte però sono stupidaggini e molte altre non funzionano sempre, anche se sono ragionevoli... Io poi ho già un ragazzo.
- Sei fidanzata?
- No, non sono fidanzata. Mi vedo con una persona.
- E che futuro pensi che abbia questa cosa?
- Non posso certo dirlo ora... Si vedrà.
- Ossia nessun futuro e nessuna importanza. Io invece ti sposo domani, se mi dici sì. Ci laureiamo, troviamo un lavoro, facciamo quel che dobbiamo fare. Mio padre mi ha lasciato qualche soldo, se dovessimo avere delle difficoltà. Come ti chiami?
In fatto d'amore, e in generale quando si discute di opinioni umane, non esiste probabilmente una tesi giusta e una sbagliata, e le persone si lasciano convincere piuttosto da chi espone le proprie tesi in maniera calma ed eloquente oppure da chi ha una bella voce e un modo gentile e sottile di mettersi dalla parte della ragione. Quella sera, il ragazzo con i fiori e la cravatta non diceva nulla di nuovo, a lei che studiava da anni discipline umanistiche e aveva letto o sentito qualsiasi genere di paradosso; ma i suoi capelli castani e la barba che ricresceva soffice - si era rasato ormai una settimana prima, per il funerale del padre - l'avevano colpita più di tante trovate balzane sull'amore e sulla famiglia.
Quella notte lei declinò tutte le sue offerte, lo salutò cortesemente ma con decisione attraverso le sbarre grigie del cancello e se ne andò a letto. Poi però sognò quella barba biondastra e morbida e il giorno dopo andò da lui, nel palazzo rosso. Lo trovò che mangiava un piatto di pasta alle acciughe con i suoi coinquilini e gli disse soltanto di sì.
Si sposarono qualche mese dopo, alla Chiesa Madre del paese della sposa, un borgo bianco su una collina bassa del Sud Italia: la madre di lei aveva molto insistito, e lo sposo da parte sua non aveva alcun motivo per opporsi alla cerimonia religiosa. Vissero qualche tempo a Roma, in affitto, si laurearono entrambi con ottimi voti e trovarono un impiego. Poi lui decise di tornare al suo paese d'origine a seguire la piccola impresa che era stata del padre e lei lo accompagnò, perché poteva lavorare anche da lì. In seguito ebbero due figli maschi; in mezzo ai due parti c'è stata una terza gravidanza, ma lei si è sentita male mentre guidava in una strada di campagna e ha perduto il bambino. Sarebbe stata una femmina. Nonostante tutto, si sono voluti molto bene praticamente da subito e non hanno più smesso di volersene.
Un giorno, dopo una brutta litigata, lui le racconta una cosa che non le ha mai detto, e cioè che quella notte a Roma prima di lei aveva visto rientrare a casa una ragazza bionda, e che però non era riuscito a dirle nulla, un po' perché l'aveva notata all'ultimo momento, un po' per timidezza; e vorrebbe raccontare alla moglie questa storia per malignità e per ferirla, ma mentre ci ripensa si rende conto che non esiste il caso e che si sceglie sempre, ed è contento della propria scelta: abbraccia la moglie, con una mano le accarezza i capelli che le cadono a ciocche sul volto, e le dice che la ama.

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