10 luglio 2008

Breve romanzo triste d'amore e di Bisanzio

I.

Il dottor Nobile non ha problemi con la propria vita né con il proprio lavoro, e non gli interessa granché che tanti anni di studio intenso ed appassionato siano risultati in fondo sprecati e non trovino alcuna applicazione nella sua attività quotidiana; anzi, lui crede davvero, nel profondo della sua anima vasta e non del tutto conoscibile, che quel posto allo zoo sia stato una benedizione e un colpo di fortuna. Al dottor Nobile piace fare quel che fa, perché in realtà le incombenze che gli sono richieste sono assai leggere: trovare i nomi per i cuccioli che vengono al mondo e all'occorrenza, quando nessun altro può farlo, spalare via gli escrementi delle bestie.
In pratica, spetta a lui battezzare dei piccoli e portar via la loro merda; e quando la mette giù così, anche il distaccato cuore del dottor Nobile non può che gonfiarsi d'orgoglio paterno.

II.

E al diavolo, davvero, al diavolo gli anni impiegati a studiare l'Impero Romano d'Oriente, le diottrie gettate al vento seguendo polemiche ingiallite tra studiosi morti, al diavolo gli involontari tuffi di gioia al solo leggere il nome di Basilio il Bulgaroctono, al solo ripercorrere i suoi crudeli trionfi. Meglio, molto meglio il posto allo zoo, i bambini con il gelato colante e la faccia sporca davanti alla gabbia delle tigri, le scimmie tristi che gli domandano con gli occhi colmi di distante dolore quand'è il termine della loro pena, le merde disumane e le scope di saggina. Meglio.

III.

E poi lei appare d'improvviso, come gli slavi nei Balcani, e non c'è modo di contenerla. Lui ha una tuta gialla e un sacco maleodorante che non si decide a buttare via, perché lei è sulla panchina, ha un libro ed un sorriso inspiegabile, e al dottor Nobile il volto di lei sembra circonfuso d'oro. Se ne vedono a Ravenna, di volti così, ma sono volti di morti e lei è viva e lo guarda.

IV.

Il dottor Nobile scopre un giorno l'esistenza di una colonia di formiche accanto alla siepe rada e malaticcia che delimita il suo giardino condominiale. Resta lì chinato delle ore intere a rimuginare che fatica sarebbe lavorare con quelle bestie, trovare un nome ad ognuna delle milioni di larve che aprono gli occhi (ma le formiche aprono gli occhi? o nascono già gonfie d'innatismo cartesiano, e non hanno bisogno di sapere nulla per vivere nelle loro profondità?). Non pensa alla merda, lui che è di animo nobile, o crede davvero che solo perché sono piccole la merda di milioni di larve non pesi, non sia una condanna che può spingere a terra un uomo anche più forte di lui.

V.

Per qualche motivo il dottor Nobile è appeso ad una voliera quando la donna della panchina ritorna e sceglie proprio quell'angolo del giardino zoologico. Giovanni Nobile, che pure sta fissando il volto severo di un rapace, si sente più ghermito dagli occhi che ha alle spalle; perciò scende dalla voliera, raccatta con la mano sinistra la scopa di saggina e dà la mano destra alla donna.

VI.

Ho perso Giustiniano II, volevo rileggere del suo esilio e del suo sogno folle di perdere il naso e conservare il potere, invece sono cinque minuti che ho il libro sotto mano e mi accorgo solo ora che sto leggendo Il gioco del mondo di Cortazar. Ho perso la Storia dell'Impero bizantino e ho riperso il naso di Giustiniano II. Però stanotte voglio leggere.

VII.

Lei ritorna allo zoo nei giorni successivi.

VIII.

Nella testa di lei c'è quell'uomo alto e strano, vestito di giallo, e quello che dovrebbe essere il patetico tucano simbolo dello zoo, cucito su una toppa che campeggia sul suo petto, agli occhi di lei è un'aquila nera.

IX.

Nascono due orsetti e il dottor Nobile è seduto su una panchina, il mento appoggiato alla scopa, a pensare seriamente come chiamarli. C'è di mezzo la televisione che è già venuta a filmare i due ursidi senza nome, ci sono i giornali che reclamano le foto e le scolaresche tenere e rumorose che non vedono l'ora di spaventare i teneri cucciolotti (tra pochi mesi, delle pesanti macchine di morte sotto il loro pelo morbido). Eraclio e Costantino gli sembrano nomi adatti per due animali tanto potenti e fieri, ma il direttore dello zoo vorrebbe qualcosa di più breve e più esterofilo: Giovanni Nobile, dottore di ricerca con numerose pubblicazioni all'attivo, propone allora Krum e Tervel, nomi maestosi di animali potenti, quali dovevano sembrare i Bulgari dall'alto delle mura imprendibili di Costantinopoli.
Il direttore preferisce Johnny e Jim.
"Almeno Jules", sussurra il dottor Nobile, gli occhi bassi sulle sue scarpe sformate.
Jules è troppo difficile da pronunciare.

X.

Quando è vestito di giallo il dottor Nobile è bellissimo. Si vedono dopo il lavoro, e lui le sembra persino un po' ridicolo vestito borghese, come se a lui non competesse la normalità. Invece Giovanni è bello (bello di una maniera misteriosa di esserlo), solo quando è vestito di giallo e quando è nudo; ma questo lei non lo sa ancora.
Forse non è ancora successo, forse la nudità di lui esiste solo agli occhi di lei nella sua pienezza, forse il corpo nudo del dottor Nobile attende gli occhi di lei e l'oro che le circonda il capo.

XI.

Questa donna deve avere pensieri meravigliosi, perché coi pensieri e con gli sguardi di lei fuoriesce l'oro dalla sua testa, e io amo quell'oro e non lo temo, e con lei sono più alto e più felice, e se porto la tuta e sono sporco va tutto bene (benissimo, benissimo); e con in mano la mia scopa di saggina potrei gettarmi e sparire in una torma di giannizzeri e avrei paura solo del tempo perduto lontano da lei.

XII.

Il dottor Nobile spala la merda e fischietta, e accarezza la renna sul muso, dagli enormi occhi intelligenti e cisposi. Il dottor Nobile parla alla renna, o pensa di parlarle, e le racconta storie complesse, che a volte finiscono bene.
La renna non distoglie lo sguardo dalla tuta gialla dell'uomo che lavora. Fuori dalla gabbia, alcuni uomini osservano la scena e si sentono diversi da entrambi.
Se lo sapesse, Giovanni Nobile non si stupirebbe delle loro conclusioni, e anzi continuerebbe a fischiettare.

XIII.

Se arriva lei e si mette ad osservarlo, anche da un vialetto e molte gabbie di distanza, Giovanni Nobile si sente come richiamato alla superficie da una forza superiore; è di nuovo umano e vicino. Giovanni Nobile si sente come Eraclio che non sapeva più attraversare il mare dopo venti anni a combattere nel deserto, e dovettero gettargli un ponte di barche e ricoprirlo di sabbia e fronde per farlo tornare a morire a Bisanzio.
Lei, è orrendo spiegare le metafore ma talvolta bisogna, lei è il suo ponte di barche e su di lei Giovanni Nobile attraverserebbe tutti i mari.

(XIV.

I seni di lei sono piccoli e puntuti, teneri come burro, e dirigono le loro lunghe cime verso l'esterno, come due minuscoli corni fatati; per lui quei seni sono il Bosforo e i Dardanelli, e quando ne bacia l'interno, quando la testa di lui è in quel mare salaticcio, Giovanni Nobile è tutti i turchi del mondo ed è a buon diritto amante e conquistatore.

XV.

Le mani e gli occhi di lui e di lei, i seni e le cosce e il bacino, non esistono più; tutto si fonde inestricabilmente, tutto è uno, trasfigura e si illumina, e il sorriso di lei e la sua serena felicità fanno scendere sui due amanti una fitta polvere d'oro.)

XVI.

Lei un giorno smette di recarsi allo zoo.

XVII.

Il dottor Nobile carezza il piccolo cerbiatto che gli mangia dalla mano. Hanno lasciato che lo chiamasse Niceforo, perché i cerbiatti non interessano a nessuno e sono belli solo finché sono piccoli.
Secondo Giovanni Nobile, per sostenere una mostruosità del genere bisogna essere pazzi o distratti o aver smesso, senza motivo e senza senso, di guardare negli occhi il cerbiatto che cresce e diventa più forte, pian piano avvicinandosi di più alla propria morte gloriosa.

XVIII.

Si dice che quando Costantinopoli sarà liberata e le sue chiese torneranno alla fede, l'Imperatore uscirà come un caldo respiro dalle mura di Santa Sofia e restaurerà il diritto e la giustizia. Con lui torneranno le figure sui muri e l'oro intorno alle loro teste e ai loro sorrisi lontani; allo stesso modo Giovanni Nobile sa che lei c'è ancora, ed è solo riparata in qualche muro in attesa di tempi più propensi alla bellezza e più favorevoli all'amore.
Ma tornerà, e con lei tutto l'oro e la pace del mondo. Lui l'attende, vestito di giallo.

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