17 aprile 2010

Io, sulle cose che faccio

Martedì 13, come molti sanno, ho partecipato ad un incontro-lezione presso l'università di Perugia (vedi immagine), in cui si è parlato del rapporto tra la Storia e il raccontare storie, in senso buono.


Quelli che appiccico anche qui, dato che non tutti hanno il mio contatto facebook (eppure potreste: è lì a destra) o hanno facebook (già questo me lo spiego di più), sono i miei spunti di riflessione sui temi di cui sapevo si sarebbe parlato. Mi interessa che li leggiate, perché per me sono importanti. Grazie per l'attenzione.

***

Motivi (personali e poetici) di elezione di una certa storia.

La mia esperienza personale e per così dire professionale, anche se non sono certo che lo storico sia una professione (e comunque nel dubbio non me la fanno fare) viene dal dottorato in Storia dell'Europa che ho frequentato a Roma tra 2005 e 2009, e prima ancora dal caso fortunato che mi ha fatto avvicinare alla vita di Ancona e del suo porto tra '500 e '600. Poi sicuramente c'è che sono affezionato e appartengo ad una certa storia e ad una certa comunità: sono marchigiano della provincia di Ancona, e nei primi documenti che ho sfogliato per la mia tesi, e anche in alcuni di quelli che ho utilizzato in questo libro, c'è la mia cittadina, la mia campagna, direi la mia comunità. Poi studiandoli ho compreso che anche altri territori dell'Adriatico erano e sono parte del mio bagaglio e, se non è una parola troppo abusata, della mia identità. Questa storia è la mia Storia, in qualche modo, e scriverla è stato in qualche modo anche una maniera di rendere omaggio a quello che sono o che sento di essere. Che poi di solito è la stessa cosa.

Il rapporto con il tempo, col passato.

La sensibilità e la passione per la storia mi appartengono da sempre. La ricordo come una delle mie prime passioni, una passione che non mi ha mai abbandonato. Si tratta dunque in larga parte di un qualcosa di istintivo, a volte perfino di un'ossessione. Poi oltretutto provengo da posti in cui la storia è evidente, non si può ignorarla. Non sono convinto dell'argomentazione secondo cui ricordare serve a non dimenticare e ad evitare gli errori del passato e così via; penso che per come è fatto l'uomo qualche errore lo commetterà sempre. Errare è umano, no? Anzi, credo che più o meno gli errori e anche i pregi dell'umanità siano sempre gli stessi, proprio perché l'umanità in fondo è sempre quella. Magari gli errori vecchi si ammantano di forme nuove, ma i peccati che li causano - la paura, l'arroganza, l'ingordigia, eccetera - sono e restano quelli. Penso allora che la storia la si debba studiare perché è giusto, perché è il motivo per cui siamo in una certa maniera e non in un'altra. La nostra storia ci ha reso quel che siamo, più o meno come succede con la biologia o con altre scienze; se vivessimo in una realtà a quattro dimensioni e non fossimo forme di vita a base carbonica, saremmo diversi. Allo stesso modo saremmo diversi se avessimo avuto un'altra storia: perciò credo sia fondamentale, per capirci, studiare il nostro percorso. Una società, o per meglio dire una comunità (mi piace molto il termine comunità, e il concetto che incarna) che non conoscano la propria storia le giudicherei come una persona che non conosce il proprio nome e va in giro senza documenti, non ha idea della propria famiglia e non sa nulla della propria professione. Diciamo che sarebbe difficile avere un'esistenza efficiente, ecco.

Il rapporto con il luogo della storia, il luogo nel presente e il luogo nel passato.

A mio modo di vedere, i luoghi sono e devono essere eterni. Nella percezione umana, perlomeno, perché ovviamente mutano con il tempo, ma hanno tempi diversi dai nostri. Ovviamente, i luoghi cambiano anche per intervento dell'uomo, e cambiano anche di molto: ma in questo caso quella che è cambiato è appunto la parte umana del luogo e della storia. Per il resto, il luogo in sé resta lo stesso. E penso che il luogo debba restare lo stesso, altrimenti non si può più parlare di storia: si parlerà di storie diverse, di società diverse, eccetera. Visto che ovviamente il tempo scorre, lo spazio dev'essere fermo perché possa esistere un'appartenenza e dunque lo studio della propria identità.
Su una nota stilistica, anche per non dover calcare troppo sull'elemento antropico del paesaggio (anche se questa forse è una scelta più che altro inconscia), tendo, più che a descrivere minuziosamente, a dare rapide pennellate, impressioni, dettagli slegati: mi piace pensare di star costruendo uno scenario in cui si muoveranno i miei personaggi. E oltretutto in questo caso mi pare evidente che lo scenario debba essere rispettoso della realtà storica. Quindi è bene non esagerare con le licenze.

Il rapporto con il documento.

Il documento è il legame che resta con una realtà passata, lontana, spesso frammentaria e difficile da ricostruire, ma comunque reale. Quindi credo che sia fondamentale, in qualsiasi direzione uno poi scelga legittimamente di muoversi, non tradirlo. Una ricostruzione di un passato storico non può essere basata su una falsificazione di quel passato, e penso che fin qui siamo tutti d'accordo. Ovviamente altra cosa è l'interpretazione del documento e anche l'immaginazione di quello che non dice, che si può fare ad esempio partendo dal tono delle parole del documento, dall'impressione che lascia. In questo senso il rapporto quasi fisico con il documento è fondamentale: bisogna provare ad entrarci dentro, ad immergersi in quello che si dice per capire quello che invece è taciuto. A quel punto comunque il risultato finale, un po' come il tempo, è galantuomo: una storia, ben scritta o ben narrata quanto si vuole, sarà credibile soltanto se poggia su interpretazioni credibili.

Il rapporto con la scrittura: quella che è esperienza di lettura e quella che è esperienza di elaborazione.

La scrittura è un sogno, una sensazione che si sprigiona quasi materialmente nel momento in cui incontri uno spunto valido, nel momento in cui fai nascere una storia; io quando scrivo vedo la storia che voglio narrare, e in parte - ovviamente con tutti i limiti razionali del caso. Non sono pazzo - la vivo. La scrittura è un modo di schierarsi a fianco dei propri personaggi, non necessariamente prendendo le loro parti, ma sempre cercando di capirli, di condividere il loro sentire. La scrittura storica, in particolare, ritengo sia un tentativo di rendere comprensibile il passato al presente, di far dialogare l'umanità passata con quella presente. Di dar voce ai morti, se vogliamo, ma senza retorica. Semplicemente perché non sono sempre stati morti; una volta erano vivi, e avevano delle cose da dire.

Il Mediterraneo: una riflessione su questa entità (solo geografica?).

“LʼAdriatico è forse la regione marittima più coerente. Da solo, e per analogia, pone tutti i problemi impliciti nello studio dellʼintero Mediterraneo”. Parole di Braudel. Io scrivo di Adriatico in un'epoca di conflitto e contrapposizione, e appunto l'Adriatico riassume questa contrapposizione che appartiene all'intero Mediterraneo. Oltretutto, si è anche in un'epoca di crisi, perché il Seicento decreta definitivamente quello che è già evidente all'epoca di Filippo II e della sconfitta dell'Invicibile Armada, cioè la marginalizzazione di tutto quel mare, dopo il fallimento del tentativo imperialistico spagnolo, che avrebbe forse portato oggi ad una sorta di globalizzazione cattolica, radicalmente diversa da quella anglo-protestante in cui ci troviamo a vivere. Io qui aggiungo peraltro un purtroppo. In ogni modo la crisi del Mediterraneo cattolico affossa anche quello musulmano, chiarendo che al di là degli scontri politici e religiosi a volte i destini geografici sono più forti e comuni. Si parla quindi di una guerra fra poveri, una guerra fra chi non è in grado di battere l'altro ed è sempre costretto a convivere: io non sono d'accordo con chi tratteggia la convivenza tra musulmani e cristiani nel Mediterraneo, magari per motivi politici o sociali contemporanei, come un esempio da imitare, o con tratti irenici che non appartengono alla realtà storica. La convivenza era una coesistenza forzata, dovuta alla debolezza comune. Questo non toglie che una coesistenza ci fosse, e che anche se entrambe le parti si strutturavano largamente anche in contrapposizione all'altro, comunque di fatto lo accettassero: anzi, l'esistenza stessa del nemico è fondamentale a creare la mia identità, credo che questo sia chiaro e già molte volte detto. Partendo da storie piccole e quotidiane, come ho voluto fare io, si coglie forse meglio la realtà della vita in quel mare, perché ci sono minori rischi di un pregiudizio che distorca l'interpretazione come quando si ha a che fare con guerre, trattati, eccetera. Io penso che per motivi proprio dovuti al suo sviluppo storico, alle vicinanze anche etniche di tante popolazioni, nonché alla geografia stessa, una certa unità del Mediterraneo sia sempre esistita. Solo che è una unità umana, non politica né storica, dunque come tale contraddittoria, limitata, piena di falle.

visite dal 24 ottobre 2006