Il ritorno dall'isola
Oggi sono in vena inspiegabilmente magiarofila; ripubblico dunque un testo che scrissi per un blog purtroppo chiuso, e ne approfitto per salutare e ringraziare di tutto la tenutaria di quello spazio. C'è in arrivo anche un post nuovo, se per caso vi state preoccupando.
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Sono il soldato semplice Péter Pan, dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, e sto facendo ritorno a casa, a casa mia, da cui sono partito che ero poco più di un bambino. Là abbraccerò mia madre, che ormai ha quasi quarant'anni; poi salirò sulle mie montagne, meno aspre di quelle su cui ho combattuto, più consce di essere il presagio di una grande pianura fertile, attraversata da fiumi grandi e belli, ornata del lavoro dei sudditi dell'Imperatore; infine cercherò la donna che ho sognato a lungo nelle notti passate nei ricoveri di fortuna, una donna che ancora non conosco ma già sento di amare, e la guarderò negli occhi profondi di cui non saprei dire il colore. Nella mia terra voglio fermarmi: ho visto il mondo in fiamme e non mi è piaciuto. Voglio tornare, voglio dormire nella casupola in cui sono cresciuto e dimenticare di essere partito.
La mia casa è là in fondo, ormai ci sono quasi. Ora ci entrerò, saluterò appena mia madre, poi mi butterò sul letto e dormirò mille ore, finché i miei piedi non avranno dimenticato i sassi delle Alpi. Io non sapevo che si potesse essere così stanchi. Per fortuna, ora sono a casa.
Ma che succede, dio mio? Perché mia madre non mi vede? Per quale motivo la mia finestra è sbarrata? Perché non mi è permesso entrare? Solo ora ricordo: sono il soldato semplice Péter Pan dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, nato il 21 agosto 1897 a Ruszkabànya Krassò-Szörèny; un cecchino dai piedi di capra come quelli del demonio, nascosto tra le pietre del Monte Grappa, mi ha colpito il 19 settembre 1918. Mi ha fissato nel mirino mentre parlavo col soldato Jozséf Nagy; io parlavo ancora, forse sorridevo, ed ero già morto.
Sono il soldato Péter Pan e non posso più tornare a casa.
(il racconto è stato ispirato da questa amara vicenda)
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Sono il soldato semplice Péter Pan, dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, e sto facendo ritorno a casa, a casa mia, da cui sono partito che ero poco più di un bambino. Là abbraccerò mia madre, che ormai ha quasi quarant'anni; poi salirò sulle mie montagne, meno aspre di quelle su cui ho combattuto, più consce di essere il presagio di una grande pianura fertile, attraversata da fiumi grandi e belli, ornata del lavoro dei sudditi dell'Imperatore; infine cercherò la donna che ho sognato a lungo nelle notti passate nei ricoveri di fortuna, una donna che ancora non conosco ma già sento di amare, e la guarderò negli occhi profondi di cui non saprei dire il colore. Nella mia terra voglio fermarmi: ho visto il mondo in fiamme e non mi è piaciuto. Voglio tornare, voglio dormire nella casupola in cui sono cresciuto e dimenticare di essere partito.
La mia casa è là in fondo, ormai ci sono quasi. Ora ci entrerò, saluterò appena mia madre, poi mi butterò sul letto e dormirò mille ore, finché i miei piedi non avranno dimenticato i sassi delle Alpi. Io non sapevo che si potesse essere così stanchi. Per fortuna, ora sono a casa.
Ma che succede, dio mio? Perché mia madre non mi vede? Per quale motivo la mia finestra è sbarrata? Perché non mi è permesso entrare? Solo ora ricordo: sono il soldato semplice Péter Pan dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, nato il 21 agosto 1897 a Ruszkabànya Krassò-Szörèny; un cecchino dai piedi di capra come quelli del demonio, nascosto tra le pietre del Monte Grappa, mi ha colpito il 19 settembre 1918. Mi ha fissato nel mirino mentre parlavo col soldato Jozséf Nagy; io parlavo ancora, forse sorridevo, ed ero già morto.
Sono il soldato Péter Pan e non posso più tornare a casa.
(il racconto è stato ispirato da questa amara vicenda)
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