Storie a lieto fine
C'era una volta un uomo che teneva moltissimo alla propria libertà. Costui non permetteva che le sue azioni venissero anche minimamente influenzate dai consigli degli altri (tanto più da quelli più pericolosi di tutti, che venivano da chi gli stava vicino e gli voleva bene); allo stesso modo rifiutava le convenienze e i ricatti e studiava attentamente il modo di rifiutare sempre la scelta più comoda o più attesa. Questo lo portò ben presto ad avere rapporti tesi con familiari ed amici, ma a quell'uomo la propria libertà stava perfino più a cuore del proprio benessere.
Ben presto, tuttavia, quell'uomo, che era molto religioso, si rese conto che la maggiore difficoltà nell'esercizio della libertà è quella di sfuggire all'occhio onnipresente del Creatore o a quello impietoso del destino. Di conseguenza, egli decise di battere il destino e di affermare nell'assoluta improbabilità il suo libero arbitrio: cominciò a dedicarsi ad atti del tutto bizzarri e inconsulti, atti che, così almeno gli pareva, non potevano essere stati previsti da nessuna divinità.
Dapprima lasciò il lavoro, con generale soddisfazione dei suoi colleghi, poi acquistò con la liquidazione notevoli quantità di zenzero e un grosso montone, che divenne il suo migliore amico e principale mezzo di trasporto. In seguito comprò e regalò ad un postino un libro di grammatica armena, venerò un peperone come unico e vero Dio, lo mangiò, rubò la biancheria stesa ad asciugare dalle anziane signore del suo vicolo, scrisse un saggio del tutto privo di documentazione storica sul benigno sistema di governo degli Assiri, lo usò per incartare le uova, le scaricò nel wc, trasportò lo zenzero sul piazzale di un benzinaio, baciò il console della Malaysia, mise delle scarpe molto eleganti e andò a pescare col pensiero: si sedette sul molo con un secchiello al fianco e attese che i pesci vi saltassero dentro. Di ritorno dalla pesca, si recò in biblioteca; là apprese molto sulla progettazione di macchine agricole e ne fece la propria attività principale. Fondò infatti un'azienda di componentistica agricola e la diresse con competenza, divenne ricco e inviò grosse somme di denaro, senza alcun tornaconto personale, a regimi dittatoriali di mezzo mondo. Gli pareva così di agire più velocemente del proprio destino e di riuscire a disorientarlo.
Un giorno l'uomo era al parco e cercava di inserire il proprio pene, per nulla convinto della situazione, nelle orecchie pelose di un procione; a pochi metri di distanza, di là da una siepe che impediva all'uomo di gettare lo sguardo, stava seduta una donna bella e desiderabile, che -stava scritto nel destino da sempre- avrebbe donato all'uomo la serenità e la gioia che tutti noi andiamo cercando. Ma l'uomo non la vide e non la incontrò mai, perché era ormai riuscito nella sua impresa di seminare il proprio fato.
L'uomo rimase solo, e qualche tempo dopo contrasse accidentalmente un virus dei procioni che in breve lo condusse alla tomba. Così morì l'uomo che batté il proprio destino.
categorie: raccontini
Ben presto, tuttavia, quell'uomo, che era molto religioso, si rese conto che la maggiore difficoltà nell'esercizio della libertà è quella di sfuggire all'occhio onnipresente del Creatore o a quello impietoso del destino. Di conseguenza, egli decise di battere il destino e di affermare nell'assoluta improbabilità il suo libero arbitrio: cominciò a dedicarsi ad atti del tutto bizzarri e inconsulti, atti che, così almeno gli pareva, non potevano essere stati previsti da nessuna divinità.
Dapprima lasciò il lavoro, con generale soddisfazione dei suoi colleghi, poi acquistò con la liquidazione notevoli quantità di zenzero e un grosso montone, che divenne il suo migliore amico e principale mezzo di trasporto. In seguito comprò e regalò ad un postino un libro di grammatica armena, venerò un peperone come unico e vero Dio, lo mangiò, rubò la biancheria stesa ad asciugare dalle anziane signore del suo vicolo, scrisse un saggio del tutto privo di documentazione storica sul benigno sistema di governo degli Assiri, lo usò per incartare le uova, le scaricò nel wc, trasportò lo zenzero sul piazzale di un benzinaio, baciò il console della Malaysia, mise delle scarpe molto eleganti e andò a pescare col pensiero: si sedette sul molo con un secchiello al fianco e attese che i pesci vi saltassero dentro. Di ritorno dalla pesca, si recò in biblioteca; là apprese molto sulla progettazione di macchine agricole e ne fece la propria attività principale. Fondò infatti un'azienda di componentistica agricola e la diresse con competenza, divenne ricco e inviò grosse somme di denaro, senza alcun tornaconto personale, a regimi dittatoriali di mezzo mondo. Gli pareva così di agire più velocemente del proprio destino e di riuscire a disorientarlo.
Un giorno l'uomo era al parco e cercava di inserire il proprio pene, per nulla convinto della situazione, nelle orecchie pelose di un procione; a pochi metri di distanza, di là da una siepe che impediva all'uomo di gettare lo sguardo, stava seduta una donna bella e desiderabile, che -stava scritto nel destino da sempre- avrebbe donato all'uomo la serenità e la gioia che tutti noi andiamo cercando. Ma l'uomo non la vide e non la incontrò mai, perché era ormai riuscito nella sua impresa di seminare il proprio fato.
L'uomo rimase solo, e qualche tempo dopo contrasse accidentalmente un virus dei procioni che in breve lo condusse alla tomba. Così morì l'uomo che batté il proprio destino.
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