04 maggio 2007

You are not an open book

Era quasi notte. Mani blu in tasche amaranto, camminavo per una strada male illuminata, alla periferia della città. Procedevo rapido ma pensieroso. Mi pareva tutto così incompleto e nebuloso: la polvere di luce che scendeva dai lampioni senza riuscire davvero a rischiarare, il respiro solido che usciva dalla mia bocca, i muri sbrecciati, lo stesso freddo irresoluto di un inverno senza neve. Ad interrompere le mie riflessioni giunse un rumore familiare, eppure inatteso a quell’ora e in quel luogo: il suono che fa una penna incidendo parole sulla carta. Mi fermai, poi decisi di seguire il rumore. C’era una filanda abbandonata da decenni, ormai priva di infissi. Dentro la filanda, baluginava una luce fioca. Entrai. Non ero solo nell’edificio, anzi: c’erano così tanti corpi che lì dentro il respiro non si tramutava in nuvoletta. Corpi di giovani maschi, per lo più; tutti guardinghi e impauriti, tuttavia con un lampo di consapevole fierezza negli occhi. Evidentemente orgogliosi del proprio vizio. Là in fondo, gli spacciatori. Mi avvicinai di lato per osservare la compravendita, stando ben attento a non dare l’impressione di voler fare il furbo e saltare la fila: non ero lì per cercare guai. Per rendere manifeste le mie intenzioni di semplice osservatore, non tolsi nemmeno i guanti e non tirai giù la cerniera del giacchetto. Appoggiato ad un pilastro, potevo vedere la scena e ascoltare con sufficiente chiarezza gli scambi di battute.
-Allora, che cerchi, disse con calma l’uomo che dirigeva il commercio, il possessore della merce. Notai con una certa sorpresa che era perfettamente sbarbato.
Dall’altra parte quella calma non c’era. Il maschio sui trentacinque anni si guardava intorno di continuo, tradendo un nervosismo al limite della nevrosi. Portava ai piedi belle scarpe inglesi e indossava un vestito di taglio elegante, ma il volto –che mi pareva vagamente familiare- non vedeva un rasoio da parecchi giorni e i capelli erano sporchi.
-Io, disse infine, con voce tremolante e sgradevole, io… io cercavo una metafora.
Spacciatori di letteratura. Pensavo fossero una leggenda, invece erano lì, a cinque metri da me. Non che la cosa mi stupisse: considerato il numero di scrittori in attività nel nostro Paese, la concorrenza, la necessità di ben figurare in qualche concorso o di spedire finalmente il racconto che ti hanno richiesto ormai due mesi fa, è perfettamente normale e logico che talvolta l’ispirazione e la fantasia debbano venir aiutate artificialmente. Specie se c’è qualche scadenza in vista.
-Beh, vediamo che si può fare, disse il pusher. E sorrise con l’innocenza di un bambino.
-C’è questa donna, bellissima, amata dal protagonista del mio racconto… Ma non riesco ad esprimere in un’immagine perché questa donna è così bella. Mi viene in mente solo che i suoi capelli biondi erano un sole, o un campo di grano, e lui…
Non finì neanche la frase, conscio della pochezza delle sue idee e improvvisamente vergognoso della sua patetica nudità.
L’altro continuava a sorridere.
-Hai fatto bene a venire, da noi, direi. Vediamo che si può fare. Se è bionda avrà anche gli occhi azzurri, dico bene?
-Celesti, li ha celesti. E’ finlandese: lui l’ha conosciuta ad un salone dell’architettura…
-Basta, per cortesia, lo interruppe lo spacciatore, stavolta senza ridere.
-Ma chi diamine te la pubblica questa merda?
Lo scrittore mosse le labbra, poi abbassò gli occhi. Probabilmente voleva rispondere a tono, ma in quel momento l’onore cedeva il passo al bisogno.
-Comunque sia, fece il pusher, ad una donna dagli occhi celesti si dovrebbe attagliare bene questa frase, dimmi che ne pensi. Tirò fuori da una tasca una biro e scribacchiò qualcosa su un foglio di carta ruvida che consegnò al compratore.
-“I suoi occhi avevano la pace e la luce di un mattino innevato”? Beh, può andar bene, credo. Si può fare di meglio, però può andar bene.
Si sforzava di sminuire la merce ricevuta, ma i suoi occhi brillavano. Provai un moto di repulsione; ciononostante, volli restare a guardare.
-Bene, fece lo spacciatore, ora paghi e te ne vai con il foglietto.
-E non sono mai stato qui.
-Non mettere in dubbio la mia professionalità, per favore.
Lo scrittore portò la mano al portafoglio e fece per trarne il denaro. Esitò, poi si rivolse di nuovo allo spacciatore.
-E senti…
Che schifo di incipit!
-Senti, continuò, hai anche una frase da mettere nella parte finale della storia? C’è un’ultima notte d’amore, ma entrambi sanno che la loro relazione finisce lì e che quello è un addio, sia pure meraviglioso. Io avevo abbozzato qualcosa come “la chiusura della loro passione fu all’altezza dell’inizio”, che dici?
Udendo quelle parole imprecise e dissonanti, storse la bocca anche il gigante biondo dai tratti esteuropei che faceva da angelo custode al pusher, impedendo che i clienti creassero disordini o pensassero di svignarsela senza pagare. Il venditore di parole preferì non commentare, anche se l’espressione del suo viso non si sforzò di fare altrettanto.
-Dico che hai ancora bisogno di me, rispose infine laconicamente.
-Considera che le sensazioni descritte sono quelle dell’uomo.
-Capisco. Dunque…
Si accinse a scrivere. Nel cesellare mentalmente la sua frase, il pusher tirò fuori la lingua e l’appoggiò all’angolo della bocca, come un bambino impegnato coi videogiochi. Poi ebbe l’illuminazione e vergò le lettere che cercava. Diede un’occhiata al biglietto e lo passò allo scrittore.
Questi lesse ancora a voce alta:
-“Quella notte lui eiaculò lacrime”? Mi pare eccessivo…
E fece per ridare il biglietto all’uomo, che però rimaneva a braccia conserte.
-Non è previsto rimborso, lo sai bene. La frase, una volta scritta, esiste ed è comprata. E se ti viene in mente di prenderci in giro imparando la frase a memoria, io e lui ti ritroviamo. Questo è il mondo reale, non siamo dentro Fahrenheit 451.
Faccia-da-slavo annuì gravemente.
In quel momento fecero irruzione nell’edificio i poliziotti. Tutto avvenne troppo velocemente perché si potesse credere ad un semplice controllo particolarmente fortunato. Qualcuno provò a scappare, ma in maggior parte gli uomini di lettere si rivelarono fiacchi ed appesantiti da cene e aperitivi in società; cosicché la loro unica reazione fu un confuso e ignobile vociare, che doveva servire a chiarire la loro presenza in quel luogo di malaffare. Davanti a me, all’altro capo della costruzione, il venditore e il suo compare si erano volatilizzati all’istante. Lo scrittore affermato lesse con avidità i biglietti, volendo evidentemente far sparire le prove prima che gli sbirri riuscissero a superare la massa piagnucolosa all’ingresso e a dirigersi da lui. Aveva gli occhi bassi sulla carta, quando uscii dall’ombra del pilastro e lo colpii con un calcio al ginocchio. Si abbatté pesantemente a terra, con i foglietti che biancheggiavano a pochi centimetri dal suo corpo dolorante. Un paio di pedate bastarono a rintuzzare i suoi tentativi di afferrare e strappare le frasi, poi giunsero gli agenti. Afferrarono e riconobbero l’artista; e infilarono in una busta trasparente i due corpi del reato, tracciati in bella grafia con inchiostro nero. Quindi si volsero verso di me, stupiti dalla mia presenza:
-Tu che ci fai qui? Sei uno scrittore anche tu? Sei venuto a cercare roba?
-No, passavo di qui per caso. Io sono solo un ragazzo.
Sorrisi. Mi chiesero se volessi testimoniare contro lo scrittore e li assicurai che l’avrei fatto. Purtroppo non avevo visto bene i due spacciatori, almeno così dissi, e non potei esser loro d’aiuto. Più per scrupolo che perché sembrasse loro possibile che fossi un intellettuale, mi perquisirono alla ricerca di letteratura incriminante. Non trovarono nulla e mi lasciarono andare.
In strada, mi rimisi a camminare tranquillo, di nuovo respirando nuvole.

Categories:

visite dal 24 ottobre 2006