Straordinaria amministrazione
Mentre ricercava alcune pratiche di una certa importanza che aveva riposto chissà dove, il sindaco di Piacenza si trovò tra le mani un barattolo di bolle di sapone. Istantaneamente dimentico del proprio dovere e della decenza municipale, andò in bagno e si mise a soffiarle davanti allo specchio, per poi seguirle salire con sguardo ammirato e perso. Ben presto si accorse però che il soffitto, invidioso, fermava le bolle e anzi le faceva scoppiare tutte. Dopo aver brevemente considerato il da farsi, l’uomo politico scese in cantina a prendere la cassetta degli attrezzi, una pala e un paio d’altri utensili.
I coniugi Pedrotti erano seduti fianco a fianco sul divano, quando dalle piastrelle divelte della sala emerse il capo rispettabile e coperto di polvere del primo cittadino di Piacenza. Questi salutò i suoi vicini ed amministrati e promise loro un abbonamento al teatro comunale; poi ridiscese e si rassettò gli abiti. I coniugi Pedrotti si guardarono attoniti. La loro meraviglia non diminuì di certo qualche minuto dopo, quando dal buco nel pavimento cominciarono a salire bolle di sapone, trasparenti e multicolori. All’interno del buco c’era il volto estasiato del sindaco, che continuava a soffiare con una certa maestria. Tuttavia, nonostante gli sforzi e la bravura dell’uomo, la vita delle bolle si manteneva breve ed effimera; quasi nessuna riuscì ad arrivare al soffitto di casa Pedrotti. La maggiorparte scoppiava a metà strada tra questo e il buco. Il sindaco prese pensosamente atto di ciò.
Il giorno successivo, al consiglio comunale, una mozione della maggioranza deplorava la mancata valorizzazione di una specificità territoriale come il gioco delle bolle e proponeva che Piacenza fosse la prima città d’Italia a costruire una stanza a misura di bolla, in cui cioè queste non scoppiassero, ma potessero continuare a librarsi leggere per l’aria. L’opposizione era in bagno e la proposta passò. Gli studi e poi la progettazione vera e propria dell’opera richiesero molto tempo; i migliori ingegni piacentini si applicarono con zelo alla questione; furono fatti giungere scienziati e ingegneri perfino da Alessandria e Pavia. Per un periodo collaborò al progetto anche un algerino, già addetto nel deserto libico alla costruzione delle tubature dell’acqua fossile, il quale per la verità non faceva che mangiare felafel e criticare ogni soluzione che veniva escogitata; finché non si stufò dell’incompetenza altrui e prese un treno per Milano, dove si impiegò nel settore spaccio al minuto.
Quando infine ogni cosa fu a posto, qualche mese e svariati milioni di euro dopo, i responsabili si recarono in municipio a dare la bella notizia; trovarono il sindaco sull’altalena, mentre l’assessore ai lavori pubblici lo spingeva e gli raccontava storie buffe. Nessuno dei due rammentava alcunché della stanza miracolosa, né dell’istituendo Festival della Bolla. Il sindaco fece qualche vaga promessa, disse che Piacenza non avrebbe dimenticato la sua vocazione di città acqua e sapone, ringraziò gli scienziati e li congedò; poi si affacciò ad una finestra, vide una ragazza con una quarta di reggiseno e la propose per una onorificenza comunale. La rivoluzionaria stanza pro-bolla che avrebbe potuto mutare il destino di Piacenza giace dimenticata in un magazzino del comune. Ogni tanto gli autisti delle linee urbane vanno lì a farsi una canna a fine turno o a giocare a squash.
categorie: raccontini
I coniugi Pedrotti erano seduti fianco a fianco sul divano, quando dalle piastrelle divelte della sala emerse il capo rispettabile e coperto di polvere del primo cittadino di Piacenza. Questi salutò i suoi vicini ed amministrati e promise loro un abbonamento al teatro comunale; poi ridiscese e si rassettò gli abiti. I coniugi Pedrotti si guardarono attoniti. La loro meraviglia non diminuì di certo qualche minuto dopo, quando dal buco nel pavimento cominciarono a salire bolle di sapone, trasparenti e multicolori. All’interno del buco c’era il volto estasiato del sindaco, che continuava a soffiare con una certa maestria. Tuttavia, nonostante gli sforzi e la bravura dell’uomo, la vita delle bolle si manteneva breve ed effimera; quasi nessuna riuscì ad arrivare al soffitto di casa Pedrotti. La maggiorparte scoppiava a metà strada tra questo e il buco. Il sindaco prese pensosamente atto di ciò.
Il giorno successivo, al consiglio comunale, una mozione della maggioranza deplorava la mancata valorizzazione di una specificità territoriale come il gioco delle bolle e proponeva che Piacenza fosse la prima città d’Italia a costruire una stanza a misura di bolla, in cui cioè queste non scoppiassero, ma potessero continuare a librarsi leggere per l’aria. L’opposizione era in bagno e la proposta passò. Gli studi e poi la progettazione vera e propria dell’opera richiesero molto tempo; i migliori ingegni piacentini si applicarono con zelo alla questione; furono fatti giungere scienziati e ingegneri perfino da Alessandria e Pavia. Per un periodo collaborò al progetto anche un algerino, già addetto nel deserto libico alla costruzione delle tubature dell’acqua fossile, il quale per la verità non faceva che mangiare felafel e criticare ogni soluzione che veniva escogitata; finché non si stufò dell’incompetenza altrui e prese un treno per Milano, dove si impiegò nel settore spaccio al minuto.
Quando infine ogni cosa fu a posto, qualche mese e svariati milioni di euro dopo, i responsabili si recarono in municipio a dare la bella notizia; trovarono il sindaco sull’altalena, mentre l’assessore ai lavori pubblici lo spingeva e gli raccontava storie buffe. Nessuno dei due rammentava alcunché della stanza miracolosa, né dell’istituendo Festival della Bolla. Il sindaco fece qualche vaga promessa, disse che Piacenza non avrebbe dimenticato la sua vocazione di città acqua e sapone, ringraziò gli scienziati e li congedò; poi si affacciò ad una finestra, vide una ragazza con una quarta di reggiseno e la propose per una onorificenza comunale. La rivoluzionaria stanza pro-bolla che avrebbe potuto mutare il destino di Piacenza giace dimenticata in un magazzino del comune. Ogni tanto gli autisti delle linee urbane vanno lì a farsi una canna a fine turno o a giocare a squash.
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