Il Mistero della Merda a Palazzo (Duftkrieg und Literatur)
C'era una volta, tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un Re che viveva nella sua corte insieme ai camerlenghi, ai conestabili, ai buffoni, ai principali vassalli e a tutto quel personale necessario affinché un organismo complesso come una corte vada avanti ben funzionante e gradevole come un orologio svizzero.
Ci rendiamo conto che un simile esordio potrebbe spingere il lettore a collocare questo racconto nella dimensione del fiabesco e dell'inverosimile, ma protestiamo a gran voce l'autenticità e, lo vedremo tra poco, la drammatica serietà delle vicende che narriamo. Per dimostrare d'altra parte la veridicità di questo racconto ci conviene farla breve e fare direttamente la parola agli sfortunati protagonisti della storia.
"Maestà", disse dunque un giorno di tanto tempo fa, in quel paese lontano lontano, il Gran Camerlengo attorniato dai camerlenghi minori, dai conestabili, dai vassalli, dai buffoni e da tutto il personale di corte, "mi pare di avvertire un deciso puzzo di merda". Così dicendo, il Gran Camerlengo arricciò il lungo naso aristocratico.
Il Re assunse allora un'espressione grave e decisa e domandò ai suoi notabili di chi fosse la colpa di quella puzza di merda. I notabili assunsero a loro volta un'espressione grave, ma più pensosa, e dichiararono recisamente di non avere risposte certe ad una tale questione.
Se la corte vagava nel dubbio, però, il fetore era ben reale, e non era in alcun modo reso più leggero dall'afa di quei giorni: si era d'estate, e i cattivi odori assediavano da ogni lato la cittadella dei potenti. Il sovrano fece allora sgomberare il lussuoso palazzo, con le sue cantine e le sue dépendance, a favore di un altro palazzo altrettanto fastoso, fornito di altre cantine e di altre dépendance. Una volta completato il trasferimento, tuttavia, ci si accorse con terrore che anche la puzza aveva seguito la corte. A quel punto il monarca si arrabbiò moltissimo e decretò che se lui doveva puzzare, allora tutto il regno sarebbe vissuto nel tanfo più pestilenziale, e che dunque le fogne reali sarebbero state chiuse fino a che non venisse risolto il Mistero della Merda a Palazzo. Il reame navigava già da tre giorni nella merda, a seguito di tali disposizioni, quando giunse a corte, come ogni settimana, il fanciullo incaricato di lustrare gli stivali del Re con le sue rapide ed efficienti manine. Il Re si sottomise a quell'incombenza come ad un impegno impossibile da rifiutare, ma la situazione era tale che nulla poteva distrarre l'animo nobile dal sovrano dall'imbarazzo e dal fastidio di quel prolungato fetore.
Ma quell'intreccio stava per risolversi in maniera del tutto inaspettata. Non appena ebbe avvicinato le sue piccole esperte mani ai morbidi stivali di squisita fattura, il bambino esclamò infatti a gran voce: "Maestà, siete voi a puzzare di merda". Ed era vero: sotto gli stivali reali c'era infatti una cacata di enormi dimensioni, ricordo di una qualche visita alle scuderie, che né i camerlenghi, né i conestabili, vassalli, buffoni e funzionari vari avevano saputo individuare e rimuovere.
A questo punto dobbiamo ripeterci: questa narrazione non è favolistica, né appartiene al benemerito genere dei raccontini morali. Prova ne sia che il fanciullo fu frustato a sangue per lesa maestà, e solo la generosità del monarca salvò quel maleducato dal patibolo. Ad ogni modo, bruciati gli stivali e rimossa la ragione del tanfo, il re poté di nuovo respirare. Si provvide anche, espletate le necessarie pratiche, a far riaprire le fognature dei quartieri popolari.
Qualche giorno dopo, nonostante tanta sollecitudine, nelle plaghe più sporche e povere del reame si iniziò a mormorare di un'epidemia di colera.
categorie: raccontini
Ci rendiamo conto che un simile esordio potrebbe spingere il lettore a collocare questo racconto nella dimensione del fiabesco e dell'inverosimile, ma protestiamo a gran voce l'autenticità e, lo vedremo tra poco, la drammatica serietà delle vicende che narriamo. Per dimostrare d'altra parte la veridicità di questo racconto ci conviene farla breve e fare direttamente la parola agli sfortunati protagonisti della storia.
"Maestà", disse dunque un giorno di tanto tempo fa, in quel paese lontano lontano, il Gran Camerlengo attorniato dai camerlenghi minori, dai conestabili, dai vassalli, dai buffoni e da tutto il personale di corte, "mi pare di avvertire un deciso puzzo di merda". Così dicendo, il Gran Camerlengo arricciò il lungo naso aristocratico.
Il Re assunse allora un'espressione grave e decisa e domandò ai suoi notabili di chi fosse la colpa di quella puzza di merda. I notabili assunsero a loro volta un'espressione grave, ma più pensosa, e dichiararono recisamente di non avere risposte certe ad una tale questione.
Se la corte vagava nel dubbio, però, il fetore era ben reale, e non era in alcun modo reso più leggero dall'afa di quei giorni: si era d'estate, e i cattivi odori assediavano da ogni lato la cittadella dei potenti. Il sovrano fece allora sgomberare il lussuoso palazzo, con le sue cantine e le sue dépendance, a favore di un altro palazzo altrettanto fastoso, fornito di altre cantine e di altre dépendance. Una volta completato il trasferimento, tuttavia, ci si accorse con terrore che anche la puzza aveva seguito la corte. A quel punto il monarca si arrabbiò moltissimo e decretò che se lui doveva puzzare, allora tutto il regno sarebbe vissuto nel tanfo più pestilenziale, e che dunque le fogne reali sarebbero state chiuse fino a che non venisse risolto il Mistero della Merda a Palazzo. Il reame navigava già da tre giorni nella merda, a seguito di tali disposizioni, quando giunse a corte, come ogni settimana, il fanciullo incaricato di lustrare gli stivali del Re con le sue rapide ed efficienti manine. Il Re si sottomise a quell'incombenza come ad un impegno impossibile da rifiutare, ma la situazione era tale che nulla poteva distrarre l'animo nobile dal sovrano dall'imbarazzo e dal fastidio di quel prolungato fetore.
Ma quell'intreccio stava per risolversi in maniera del tutto inaspettata. Non appena ebbe avvicinato le sue piccole esperte mani ai morbidi stivali di squisita fattura, il bambino esclamò infatti a gran voce: "Maestà, siete voi a puzzare di merda". Ed era vero: sotto gli stivali reali c'era infatti una cacata di enormi dimensioni, ricordo di una qualche visita alle scuderie, che né i camerlenghi, né i conestabili, vassalli, buffoni e funzionari vari avevano saputo individuare e rimuovere.
A questo punto dobbiamo ripeterci: questa narrazione non è favolistica, né appartiene al benemerito genere dei raccontini morali. Prova ne sia che il fanciullo fu frustato a sangue per lesa maestà, e solo la generosità del monarca salvò quel maleducato dal patibolo. Ad ogni modo, bruciati gli stivali e rimossa la ragione del tanfo, il re poté di nuovo respirare. Si provvide anche, espletate le necessarie pratiche, a far riaprire le fognature dei quartieri popolari.
Qualche giorno dopo, nonostante tanta sollecitudine, nelle plaghe più sporche e povere del reame si iniziò a mormorare di un'epidemia di colera.
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