22 settembre 2010

Un viaggio in treno

Fin dall'inizio del viaggio il ragazzino aveva notato la bottiglietta d'acqua mezza piena (o mezza vuota) sul ripiano alla sua sinistra; né d'altra parte poteva essere altrimenti, visto che non c'era niente altro da notare, in quel treno semivuoto e triste, lanciato in mezzo al grigio di una domenica autunnale, su cui stavano pochi passeggeri addormentati e silenziosi.
Ovviamente adesso aveva sete. Aveva sete probabilmente perché vedeva la bottiglia, non per mancanza di liquidi; e poi perché non c'era nient'altro da fare e nessuno con cui parlare. Peccato che i suoi genitori gli avessero sempre detto di fare attenzione a toccare le cose abbandonate da qualche estraneo; e se la cosa valeva per il semplice "toccare", tanto più, gli sembrava, avrebbe dovuto evitare di bere l'acqua altrui. Chissà cosa poteva esserci, in quell'acqua; chissà quali potenti droghe, quali malattie, che sapore cattivo poteva nascondere. Allora il ragazzino che faceva per la prima volta quel viaggio da solo (tornava da una breve vacanza, l'ultima prima di un nuovo anno di scuola, passata in casa di certi parenti) decise solennemente che non avrebbe bevuto e che avrebbe dormito o guardato il paesaggio.
Ma a quell'età la mattina non si ha sonno, e poi la zia gli aveva anche fatto un caffellatte, che a casa non poteva bere; e fuori dal finestrino, nel panorama che il ragazzino osservò attentamente con la faccia schiacciata contro il vetro, era tutto grigio, noioso, liquido, e faceva venire voglia di bere. Perciò il ragazzino bevve, sentendosi vagamente costretto dall'enorme arsura che lo attanagliava e dalla mancanza di alternativa. Bevve un sorso, e vide il suo corpo ancora bambino trasformarsi: per prima cosa, la pelle divenne dura e color bronzo, come quella di certi insetti particolarmente coriacei (quelli che fanno meno schifo, perché non sono viscidi); le mani mutarono in sorta di potentissime chele, mentre lo sterno si gonfiò e si proiettò in avanti, lucido. Il ragazzino si rese conto che quel sorso lo aveva trasformato in un enorme scarabeo seduto in treno.
Poi ne bevve un secondo, perché aveva ancora sete. La trasformazione iniziata continuò, ma con una certa coerenza: le forme del corpo rimasero le stesse, soltanto si riempirono di luce. Lo scheletro duro, lucido e quasi metallico del ragazzo-scarabeo si fece cristallino e luminoso; questi allora volò attraverso il finestrino sulle città nebbiose traversate da quel treno, ne seguì per lungi tratti la corsa, poi se ne distaccò buttandosi in picchiata nelle piazze medievali, disturbando i piccioni e lasciando stupefatti i vecchietti riuniti per le chiacchiere domenicali. Infine il mostro rientrò in treno dal medesimo finestrino, si mise a pensare seriamente al difficile destino che l'attendeva (lui scarabeo in una famiglia e in una scuola fatte interamente di persone normali), poi s'addormentò; qualche minuto più tardi, una leggera pressione del controllore sulla sua spalla luminosa di gigantesco scarabeo antropomorfo bastò a svegliarlo e a scacciare gli effetti dell'acqua bevuta. Il ragazzino, un po' intontito dal sonno, tornò umano e mostrò il proprio biglietto al ferroviere.
Di nuovo lucido, decise che avrebbe rintracciato quel ferroviere e lo avrebbe ringraziato mille volte per averlo salvato dal triste destino di insetto luminoso; poi arrivò a casa, disfece la valigia e la sera guardò il Milan. Il giorno stesso e per sempre si dimenticò dell'intera vicenda e del controllore da ringraziare.

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