Orgoglio paterno
Mi sono ricordato oggi di quella volta, nell'autunno del 2005, che la mia ragazza di allora mi chiamò per dirmi che aveva qualche giorno di ritardo: dodici. Dodici giorni sono tanti. In dodici giorni, in altri tempi, in altri luoghi, un messaggero del Khan dei Mongoli avrebbe percorso a cavallo immani distanze nell'impero del proprio padrone, sfrecciando ventre a terra in mezzo a pianure silenziose e pacifiche e incrociando sul proprio cammino solo rare vergini sedute su carichi d'oro. In dodici giorni un giovane d'oggi, meschino come sono meschini i tempi che viviamo, finisce per impaurirsi un mondo e pensa cose che non andrebbero pensate, si pente di cose di cui non ci si dovrebbe pentire.
I dodici giorni divennero diciassette, poi venne fuori che non c'era nulla da contare e che si era trattato solo di un falso allarme. In seguito finì tutto, poche settimane dopo, e io provai un gran sollievo e un enorme senso di libertà.
Adesso mi ritrovo a pensare che se quei diciassette giorni fossero diventati trenta, sessanta e così via, oggi avrei per casa, ammettendo per comodità che io possegga una casa, un attrezzo di quasi cinque anni; e dovrei inventarmi un modo per dargli da mangiare e qualche storia per farlo crescere sveglio e dormire felice. Ipoteticamente, giacché non esiste, lo avrei chiamato Coso; per una femmina, invece, mi sarebbe piaciuto più Caterina. Se Coso fosse qui intorno gli troverei un pallone e un prato; in casa gli direi di smettere di infastidire il gatto, supponendo che ci sia anche un gatto (ipotizziamolo nero). Coso avrebbe la testa grossa - è normale, è l'età - e i capelli castani, diversi dai miei, con qualche riflesso rosso, come ne avevo io alla sua età.
Al quasi cinquenne comincerei a insegnare qualche parola in dialetto, perché non mi convincono i bambini che parlano solo italiano. Molte altre cose, presumo, le deciderebbe la madre o le vedremmo insieme.
Se Coso esistesse, sarei un po' preoccupato per lui e molto contento, di avere un Coso e della sua vita all'inizio; di quella vita che ancora, in potenza, gli permetterebbe quasi tutto.
E poi, boh, molta altra roba la saprei se lo conoscessi, Coso. Ciao Coso, ciao F.: è andata così.
categorie: raccontini
I dodici giorni divennero diciassette, poi venne fuori che non c'era nulla da contare e che si era trattato solo di un falso allarme. In seguito finì tutto, poche settimane dopo, e io provai un gran sollievo e un enorme senso di libertà.
Adesso mi ritrovo a pensare che se quei diciassette giorni fossero diventati trenta, sessanta e così via, oggi avrei per casa, ammettendo per comodità che io possegga una casa, un attrezzo di quasi cinque anni; e dovrei inventarmi un modo per dargli da mangiare e qualche storia per farlo crescere sveglio e dormire felice. Ipoteticamente, giacché non esiste, lo avrei chiamato Coso; per una femmina, invece, mi sarebbe piaciuto più Caterina. Se Coso fosse qui intorno gli troverei un pallone e un prato; in casa gli direi di smettere di infastidire il gatto, supponendo che ci sia anche un gatto (ipotizziamolo nero). Coso avrebbe la testa grossa - è normale, è l'età - e i capelli castani, diversi dai miei, con qualche riflesso rosso, come ne avevo io alla sua età.
Al quasi cinquenne comincerei a insegnare qualche parola in dialetto, perché non mi convincono i bambini che parlano solo italiano. Molte altre cose, presumo, le deciderebbe la madre o le vedremmo insieme.
Se Coso esistesse, sarei un po' preoccupato per lui e molto contento, di avere un Coso e della sua vita all'inizio; di quella vita che ancora, in potenza, gli permetterebbe quasi tutto.
E poi, boh, molta altra roba la saprei se lo conoscessi, Coso. Ciao Coso, ciao F.: è andata così.
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