07 giugno 2011

Due notti agitate

Mi è capitato qualche tempo fa un fatto abbastanza curioso e, almeno sul momento, piuttosto spiacevole.
Nonostante fosse un sabato sera, ero andato a dormire presto, perché venivo da un venerdì di baldorie che mi aveva lasciato pochissime ore di sonno; inoltre avevo da leggere un volume che mi interessava molto, un russo, e avevo calcolato di poter scorrere un buon numero di pagine prima di cedere al sonno. Faceva caldo, un caldo abbastanza precoce e fuori stagione, cosicché prima di mettermi a leggere aprii il vasistas, con l'idea di richiuderlo poi nel momento in cui avrei spento la luce; poi però cambiai idea, perché faceva ancora caldo, e decisi di dormire così, in fiduciosa attesa di un refolo d'aria.
Di norma mi sdraio a pancia in giù, con le braccia stese sotto le cosce per non disperdere calore; ma, come detto, quella era una nottata calda, perciò dormii supino. Non ricordo i sogni che faccio, di solito, ma so che quella notte caddi subito in un sonno profondo e feci sogni gradevoli; lo so con certezza perché questa era la sensazione che provavo quando mi svegliai. Quando mi svegliai, si era alzato un po' di vento, ma non fu il freddo a destarmi, né il mattino o la sazietà di sonno, perché doveva essere ancora notte fonda: furono invece due braccia robuste che mi spingevano sulla spalla, dal lato interno del letto (dormo in un matrimoniale ma ne occupo una sola metà), e mi scuotevano con una certa forza. Non avevo la forza di spalancare gli occhi, perciò pensai di aprire la bocca e dire qualcosa: non volevo gridare e non volevo creare nessuna confusione, ma mi sarebbe piaciuto sentire la mia voce e capire se stavo sognando un sogno diverso, brutale, o se quella spinta e quelle braccia esistevano davvero. Ma per quanto mi sforzassi di aprire bocca, non riuscivo a emettere alcun suono, come se le braccia che mi spingevano (non so perché, ma ero sicuro che fossero braccia, e che oltre a scuotermi mi artigliassero) in qualche maniera mi avessero anche tappato la bocca. Credetti di essere in procinto di smettere di respirare, eppure la cosa non mi sconvolse più di tanto: mi infastidiva solo l'ignoranza in cui mi dibattevo, perché davvero non sapevo capire cosa stesse accadendo. Alla fine spalancai gli occhi e scesi dal letto: mi avvicinai al vasistas e trovai che era ancora aperto, ma nell'oscurità non vidi le braccia o il corpo di nessuno.
Tornato a letto, non durai molto a riaddormentarmi, nonostante la sensazione di spiacevole sorpresa che mi era stata lasciata da quello strano episodio. Ero molto stanco, per fortuna, e quando mi risvegliai di nuovo mi sentivo perfettamente riposato. Tutto quel giorno lo trascorsi lontano da casa, per dei piccoli e piacevoli impegni familiari; quando tornai a casa per cena, e poi quando andai a letto, mi sentivo tuttavia piuttosto inquieto.
Lessi ancora il libro russo della notte prima, poi lo posai, feci per dormire ma non vi riuscii; ripresi dunque il grosso volume e lo terminai, e allora davvero dovetti rassegnarmi a dormire. Ma non mi addormentavo. Mi ronzava in testa, più che la paura di una ripetizione della notte precedente, una domanda: che cosa era davvero successo? Avevo sognato? E quale pensiero opaco, quale inquietudine aveva dato vita a un sogno tanto terreno e spiacevole? Cosa avevo fatto, per dirla in termini rozzi, per meritare quel trattamento?
A quel punto, non so perché, mi venne in mente che a mio nonno una volta fu lanciata una fattura: lui tornava dal campo con la sua coppia di buoi, e la prima persona che incontrò nel tragitto verso casa fu la vecchia che era stata chiamata per guarire una sua sorella malata. Non so se quella vecchia avesse avuto una disputa con la famiglia di mio nonno, magari sul compenso richiesto per quella prestazione, oppure se semplicemente avesse voluto dare eloquente prova dei propri poteri, fatto sta che lanciò a mio nonno una fattura, e lui cadde subito in una tremenda prostrazione, tanto che il giorno dopo non riuscì neppure ad alzarsi. Mio nonno non era mai stato malato, e anche ora che ha superato da un po' gli otto decenni di vita si fa fatica a ricordare una sua indisposizione. Alla fine diedero a quella vecchia - a dire il vero non so se fosse vecchia, non ricordo; ma l'immagino così - trentacinque lire in belle monete sonanti, la fattura fu sciolta e mio nonno s'alzò.
Mi vergognai di aver pensato a quella storia e forse, se di notte si arrossisce, arrossii; e tuttavia non potevo ancora dormire, perché non capivo. Eppure la stanchezza cresceva: e nella stanchezza, e in quello strano torpore preoccupato, mi venne in mente di aver toccato una donna, poco tempo prima, una donna che non era la mia ragazza e forse era qualcosa per qualcun altro; non lo sapevo e non me ne ero troppo interessato. Fu come rassegnarmi: non dico che intravidi un legame con quelle strane braccia uscite dal buio, perché non ci poteva essere oggettivamente alcun legame, ma considerai semplicemente che le cose accadono e che vanno accettate. Finalmente dormii un poco; la mattina dopo non ero certo fresco, ma potevo almeno considerarmi più sereno.
Mentre facevo colazione, con la bocca piena, canticchiai qualcosa senza neanche averne coscienza; è questo un modo buffo e sempliciotto di dirsi felici di vivere e, a quanto pare, in famiglia lo facciamo solo io e mio nonno.

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